Dibattito sulla legge di Rinascita

Dibattito sulla legge di Rinascita
18/12/1985

Programma di intervento in attuazione della legge N. 268/1974 – (II° piano di rinascita).

PRESIDENTE. E’ iscritto a parlare l’onorevole Soro. Ne ha facoltà.

SORO (D.C.). Signor Presidente, onorevoli colleghi, il programma di spesa relativo al 1985 della legge di rinascita segue i tempi, diventati ordinari, della Giunta Melis. Sta per concludersi l’anno solare ma anche quello finanziario “1985” e noi ci troviamo, con un ritardo spropositato rispetto alla gravità della crisi, a esaminare questo programma di spesa. Questo fatto avviene contestualmente alla verificata incapacità della Giunta di approvare in Giunta stessa una proposta di bilancio per il 1986.
Le due cose rivestono valenza di carattere generale, non sono certamente scindibili per la concezione che noi abbiamo dell’uso delle risorse finanziarie e della programmazione. Il ritardo della legge numero 268, l’assenza di una proposta di bilancio per il 1986: due momenti di una politica che dovrebbero essere coordinati per consentirci un uso razionale delle risorse, per consentirci di valutare la manovra politica ed economica complessiva di questa Giunta.

Questi ritardi non sono colpa del destino cinico e baro, hanno una paternità precisa, portano per intero la responsabilità di questo Esecutivo e di questa maggioranza. E’ l’offerta complessiva di governo di questa Giunta che appare ogni giorno di più inadeguata a fronte di una crisi della società sarda che crescente in misura direttamente proporzionale all ‘inefficienza di guida e di governo. La valutazione degli indicatori della nostra economica – che sono noti a questo Consiglio – danno la dimensione della gravità di questa crisi: l’ultimo rilievo della disoccupazione in Sardegna ha constato il superamento del tetto dei 150 mila disoccupati con un incremento di circa 10 mila unità in un anno, la dinamica di incremento del prodotto interno lordo che nel 1 984 aveva segnato un cenno di ripresa non ha seguito quella tendenza, e particolarmente significativo appare l’arresto del settore industriale. Questa crisi è lo scenario all’interno del quale noi viviamo.

L’esperienza dell’autonomia in Sardegna ha segnato momenti di grande tensione morale; ha concorso a trasformare attraverso processi, spesso non privi di contraddizioni, la vita dei sardi, la fisionomia economica e sociale della nostra Isola. L’esperienza dell’autonomia si trova oggi in una fase di crisi acutissima, i processi economici sui quali abbiamo costruito le politiche del passato sono andati estinguendosi sostituiti da nuovi e più rapidi. 11 nostro rapporto con lo Stato è cambiato e la richiamata, inconcludente verbosità, di cui parlava l’onorevole Orrù, noi riteniamo non sia affatto marginale rispetto a questo cambiamento dei rapporti fra la Regione e lo Stato. La stessa politica per il Mezzogiorno vive un momento di grande crisi; siamo stati marginali come Consiglio regionale al di là del concorso individuale di alcuni rappresentanti del Consiglio e delle forze politiche; siamo stati marginali o assenti nel momento di formazione della nuova legge per il Mezzogiorno.

La stessa specialità della questione sarda si è andato appannando ed è oggi messa in discussione; sicuramente non ha più quella centralità nelle attenzioni del Parlamento e del Governo nazionali alle quali ci eravamo, forse ingenuamente, abituati; quella centralità che aveva trovato nella visita di Craxi in Sardegna la sottolineatura più autorevole.

In questo quadro il programma di spesa annuale della legge 268 poteva essere una grande occasione; si è detto poteva essere un ponte rispetto alla nuova legge dell’articolo 13, un momento di riflessione generale sulle politiche della Regione, sulle scelte di indirizzo attraverso cui misurare la forza e la volontà dell’istituto autonomistico di riprendere il cammino interrotto, infine era l’opportunità di analizzare lo stato di attuazione della legge di Rinascita al momento, della sua conclusione e di cogliere la divaricazione esistente fra gli obiettivi e i risultati. La Democrazia Cristiana ha proposto nella Commissione programmazione di aprire un grande confronto sullo stato di attuazione della legge di Rinascita per comprendere come mai questi obiettivi non sono stati raggiunti, per comprendere le ragioni per cui i circa 1000 miliardi del secondo piano di rinascita risultano allo stato delle cose impegnati per poco più della metà senza aver prodotto dei risultati, ma anche senza essere stati spesi. Questo confronto non si è potuto sviluppare perché la maggioranza ha sollevato il problema dei tempi, la fretta di concludere, la fretta che induce al pressapochismo. Abbiamo la sensazione che si proceda secondo uno schema per cui questa fretta, questo pressapochismo, stiano diventando il metodo ordinario di governo di questa Giunta.
Sostenevamo la necessità di una rilettura dell’attuazione della legge 268, di una riflessione critica sullo sviluppo di questo processo che, aperti nei primi anni settanta, è arrivato ad una fase, come dicevo prima, di crisi che non riguarda soltanto le scelte contenute nella seconda legge di Rinascita, ma riguarda l’intero sistema dell’autonomia regionale.

Richiamando i tre obiettivi (che erano fondamentalmente: sostegno al settore agro-pastorale e riforma dello stesso, sostegno all’occupazione industriale e interventi nel settore delle infrastrutture urbane e più in generale delle condizioni di vita) contenuti in quella legge (che ha una sua storia ed anche una sua data) nella lettura critica che noi ne facciamo non possiamo certamente dimenticare che essa è figlia della storia, è figlia di quei tempi, è nata attraverso una partecipazione popolare dei sardi e delle forze politiche intorno agli obiettivi delineati dalla Conunissione parlamentare d’inchiesta. Una legge quindi che noi giudichiamo senza la presunzione dell’atteggiamento critico a posteriori, ma con la consapevolezza che gli obiettivi contenuti in quella legge non sono stati per intero perseguiti. Oggi infatti assistiamo alla caduta verticale degli investimenti in Sardegna (collocandosi in questo senso la Sardegna al primo posto tra le regioni italiane), alla presenza di 150 mila disoccupati (raggiungendo anche in questo un primato che non ci fa certamente rallegrare e al decollo della stessa riforma pastorale a 1 2 anni di distanza dalla sua concezione (e qui occorrerà che l’assessore Muledda rifletta sulle valutazioni emerse dal confronto in Commissione.

Certamente siamo vicini alla spendita delle risorse impegnate in questo Piano di Rinascita; ma quanto tempo c’è voluto? Quanto è attuale quella proposta? Quanto attuali sono quelle risorse rispetto agli obiettivi prefissi, quanto attuali sono il sistema, le procedure che hanno portato ad un tempo di impegno e di spesa che è fuori dai tempi reali di una società che si dice essere quella dell’in formazione e dell’innovazione tecnologica? Si, la riforma agro-pastorale che sta per decollare produrrà più reddito per gli occupati, ma ci porterà ad una ulteriore contrazione degli addetti; così come l’altro obiettivo contenuto nella legge 268, quello dell’equilibrio territoriale, sembra allontanarsi dallo scenario delle cose reali e si allenta anche nella considerazioni e nell’attenzione delle forze politiche.

Oggi, non solo, noi constatiamo che gli obiettivi della legge 268 non sono per intero raggiunti, ma anche allo stesso tempo che le risorse, forse inadeguate, sono state spese solo per la metà in tempi e quantità incredibilmente sproporzionati rispetto all’acuirsi della crisi sarda. Questa divaricazione, fra il tempo in cui fu pensata la legge 268 ed il tempo reale nel quale si realizza, rappresenta la causa principale, insieme alla settorialità ed al vincolismo di cui la legge è permeata, della limitatezza dei risultati conseguiti. Noi non possiamo ignorare che il bilancio non positivo della legge 268, che pure va letto con il senso della storia, è in larga misura riconducibile alla sponda regionale, alle responsabilità di quesa parte. La constatazione delle responsabilità della Regione, rispetto ad un governo congiunto di questa legge, indebolisce ancora di più la forza negoziale della Regione sarda con lo Stato; tacere, non affrontare il problema, non coglierne le ragioni significa scegliere la strada e la politica del “tartufo”. Noi abbiamo chiesto con forza in Commissione programmazione un confronto su tutti questi temi: le procedure di spesa, sul vincolismo della legislazione, i mutati rapporti fra il modello di sviluppo, sul quale si imperniò la scelta della 268, ed i nuovi processi che si aprono nel nostro tempo. Un confronto di questo tipo poteva avviare concretamente il dibattito sull’articolo 13, sulla riforma e sulla nuova legge di attuazione, per dare risposta ad un interrogativo che è ancora aperto, come richiamava l’onorevole Orrù, e cioè: come vogliamo che sia per il futuro la politica di rinascita.

Le forze politiche hanno avuto in questi anni dei grandi momenti di confronto dai quali sono emerse valutazioni spesso di consenso intorno ad alcuni obiettivi generali e ad una espansione dei poteri di decisione nei confronti della Regione, attribuiti alla sponda regionale, verso il superamento della straordinarieta dell’intervento, verso la rifornia della macchina, della impalcatura e degli strumenti attraverso i quali l’Istituto autonomistico pone in essere serie azioni di sviluppo, verso un intervento deciso per porre mano ai nodi storici dell’insularita: trasporti, credito, energia e innovazione tecnologica e infine ricerca scientifica. Su questi grandi indirizzi sembra essere presente un consenso largo oltre che anche all’interno di questo Consiglio regionale.

Ma rimangono inesplorati altri nodi per i quali dovremo effettuare confronti e discussioni, per poi decidere come dare certezze ad una politica di rinascita, come far sì che le definizioni degli obiettivi da parte della Regione sarda, del suo Consiglio regionale, delle sue forze politiche — non vengano ancora una volta divaricati rispetto ai tempi di attuazione, come fare sì che gli impegni che il Governo deve assumere attraverso la legge di attuazione dell’articolo 13 (che devono rappresentare l’affermazione della solidarietà contenuta nell’articolo 1 3) non siano un oggetto da rinegoziare tutti gli anni. Si pone il problema di trovare il modo giusto per dare certezze a questi impegni, forse quello ipotizzato in passato, cioè il tavolo di una commissione mista, o quello ancora da valutare, sul quale confrontarci, di una legge di programmi che, insieme all’approvazione della nuova legge di rinascita, definisca per lo Stato gli impegni finanziari da assolvere e gli interventi da compiere.

L’altro interrogativo al quale dobbiamo dare ancora risposta è: quale progetto di sviluppo deve esistere alla base della nuova legge di rinascita, nata in questa logica, non avendo potuto verificare nel dibattito in Coinmissione e nel dibattito tra i partiti (non solo in questi ultimi mesi ma in questi ultimi due anni) quali sono gli indirizzi intorno a questi grandi obiettivi, non avendo potuto effettuare un’analisi, una rilettura critica della 268 per cogliere nel presente i Legnali del nuovo. E allora, nato in questa logica il programa di spese per il 1985 è solo un’esercitazioni astratta di attribuzione di risorse a titoli e capitoli; vecchio nel metodo ma vecchio anche nel merito delle scelte operate. Il collega Orrù si chiedeva quali son i capitoli e le ripartizioni di risorse che non vanno bene. Il problema è un altro: in che misura sono coordinate queste sciete rispetto ad una politica generale, che non è presente non solo nella legge finanziaria e di bilancio – che non conosciammo – ma anche nell’esperienza di governo delle due Giunte Melis.

La maggioranza ha richiamato l’attenzione del Consiglio su due aspetti considerati qualificati di questo provvedimento: e sui quali mi voglio soffermare solo un attimo: gli interventi per lo sviluppo turistico e quelli a sostegno della ricerca. Nel settore dello sviluppo turistico emerge una concezione vecchia dove l’unica scelta è quella classificativa dei porti di primo livello, del tutto disarticolata da una politica di pianificazione territoriale in Sardegna.

Richiamavo l’altro giorno, parlando sull’assestamento di bilancio, l’esigenza – posta con forza dall’Assessore dell’urbanistica – di una programmazione del territorio soprattutto nel settore costiero, laddove lo stesso Assessore Cogodi dichiarava la necessità di impedire che venisse portata ad attuazione una serie di programmi che prevedono circa 60-70 milioni di metri cubi in Sardegna per la costruzione della seconda casa, perché quella è una scelta diversa da ciò clic noi riteniamo (e tutte le forze politiche ritengono) debba essere l’obiettivo di una nuova e futura politica per il turismo.

Intanto, prima di tutto in assenza dileggi in questa materia e in assenza di un’organizzazione per quanto riguarda il governo dcl territorio, si procede verso la politica delle seconde case, mentre noi riteniamo clic si debba andare in direzione contraria; in secondo luogo, mancando un coordinamento tra l’assetto del territorio e la politica per il turismo, si riduce tutto alla mera elencazione dei capitoli come per esempio quello degli itinerari turistici. Noi abbiamo avuto modi di sentire in Commissione l’Assessore del turismo clic ci ha informato sullo stato di attuazione della legge 268 in questa materia. E’ stata una mortificante elencazione di piccole somme – dieci, venti, trenta milioni previsti per questo o quel comune – decise negli anni passati e non ancora spese oggi. Bene, niente ci fa credere che sia cambiato qualcosa, niente ci autorizza a pensare che gli interventi previsti in questo programma per il 1985 avranno una sorte diversa. Quindi il problema che si pone non riguarda la ripartizione tra titoli e capitoli, onorevole Orrù, semmai la scelta che intende fare, in materia di turismo, questa Giunta regionale. Ed è inutile operaia nelle dichiarazioni programmatiche se, dopo un anno e mezzo, non si concretizza in nessun intervento legislativo e di governo.

Prendiamo ora in esame l’altro punto, “fiore all’occhiello” di questo programma di spesa, quello relativo alla ricerca scientifica. Noi non contestiamo, e non abbiamo contestato, l’opportunità di impegnare, nel programma ‘85, risorse che,a nostro avviso, sono peraltro insufficienti in materia di ricerca e di sviluppo tecnologico.

Il problema è vedere ora che cosa sta dietro, se è vero come è vero che questa Giunta, già in occasione della legge finanziaria per il 1985, cioè oltre un anno fa, aveva proposto di introdurre ingenti risorse per la ricerca scientifica, che il Governo aveva bocciato quell’articolo, e che, trascorso un anno da quel momento, la Giunta non ha presentato in Consiglio un disegno di legge in materia. E allora cosa significa impegnare nel nuovo programma ulteriori risorse per la ricerca, se non sappiamo che fine faranno, come quelle previste per studi e progettazioni, complessivamente circa 20 miliardi, una somma ingente, se è vero — e la Commissione programmazione ha avuto modo di verificarlo — che Tecnopolis a Bari è stata realizzata con 26 miliardi?

Noi abbiamo la sensazione che queste quote immense di risorse, che tutti gli anni noi scriviamo nei capitoli di bialncio e che rimangono tali o che vengono dirottate verso altre cose non programmate (ne parlavamo in occasione dell’assestamento del bilancio), rivelino una politica rispetto alla quale noi possiamo collocarci in atteggiamento di fiducia acritica. Non possiamo certo rallegrarci di questo; siamo preoccupati perché sui temi del rinnovamento della nostra economica e sull’aggiornamento degli strumenti dell’Istituto autonomistico, non esiste tra le forze politiche d questo Consiglio regionale né dialogo né confronto.
Nel 1984 il Partito comunista e il Partito Sardo d’Azione si sono contrapposti alla Democrazia Cristiana, hanno dato vita ad un Governo regionale, in modo pregiudiziale, senza aprire un confronto interrompendo in questo modo un processo che aveva sostenuto i momenti più importanti della vita autonomistica. L’attuale coalizione di governo continua a sfuggire le occasioni più impegnative per misurarsi con la Democrazia Cristiana sui grandi temi della nostra autonomia, senza pregiudizi e senza barriere.

Non è un caso che l’articolo 13 rimanga un richiamo virtuale e rituale in ogni occasione di dibattito. C’è stata un’inaugurazione pomposa dei lavori della Quarta Commissione in merito all’articolo 13, diversi mesi fa, e in quella occasione il capogruppo del Partito comunista ha sollecitato la tempestività del provvedimento ci si poneva in quella sede l’obiettivo del 3 1 dicembre per definire la nuova legge di rinascita nei suoi indirizzi. Ebbene da allora la Commissione programmazione non si è più riunita per discutere sull’articolo 13. Non è un caso che, anche per parlare della zona franca, in questo Consiglio regionale, i gruppi consiliari abbiano dovuto prendere delle iniziative autonome.
La verità è che questa maggioranza, dopo un anno e mezzo, non riesce ancora a diventare maggioranza politica e di governo e non è riuscita a delineare una politica in niente. Sull’articolo 13, sulla zona franca, sulla riforma dello Statuto, sui rapporti con lo Stato, sul grande progetto per l’occupazione, sullo stesso bilancio di previsione del 1986, questa maggioranza non ha una politica, e se ce l’ha non l’ha espressa. Noi abbiamo il forte sospetto che non ce l’abbia proprio, e il vuoto di confronto – conseguenza della mancanza di una linea politica – non è un fatto interno a questa Assemblea, indifferente per la vita sociale ed economica dell’isola. Esso aggrava la crisi. Una coalizione che non abbia prospettive ideali esaurisce la sua funzione ripiegandosi nel particolare, nel quotidiano; e nel quotidiano trascina tutta la sua debolezza di Governo approssimativo e conflittuale.

E’ singolare, e ad un tempo emblematico, che un governo che non riesce ad approvare alla fine di dicembre il disegno di legge per il bilancio resti chiuso a discutere per tre giorni, anche di domenica, per determinare le sorti della tesoreria regionale, cioè per decidere dove si dovranno depositare le migliaia di miliardi di residui passivi, il tesoro della vergogna. L’onorevole Carlo Sanna, secondo le dichiarazioni rilasciate ai giornali e non smentite, avrebbe affermato che è stata una giornata storica quella vissuta dalla Giunta regionale, per decidere attorno alla tesoreria regionale. Noi avremmo pensato che una giornata storica sarebbe stata se la Giunta regionale fosse riuscita ad individuare una politica delle scelte, per far sì che la vergogna dei residui sparisse dalla storia di questo istituto autonomistico. Tutto questo dà la misura della distanza sempre maggiore tra l’offerta di governo e la domanda della società sarda, una distanza che è segnalata in maniera clarnorosa dalla mancata partecipazione del popolo sardo al problema che è tuttora aperto sullo scenario della politica regionale: l’attuazione dell’articolo 13 di cui abbiamo cominciato a parlare.
Le due precedenti leggi di rinascita: la 588 e la 268 sono nate col coinvolgimento reale dei sardi, con la partecipazione degli enti locali, delle forze sociali e della produzione.

In questo momento andiamo nudi verso il dibattito che si svolgerà prima o poi, crediamo, in questo Consiglio regionale, con la totale assenza della Sardegna, attorno ad un problema che la riguarda fortemente.
Il collega Orrù si chiedeva quindi qual è l’immagine attuale dell’Autonomia che stiamo dando. La conclusione che traiamo è che per la Sardegna, per l’Autonomia, non basta avere risorse, avere danaro – questa è una delle fasi in cui l’Autonomia regionale ha avuto più risorse disponibili – avere maggioranze numericamente forti, occorre uno sforzo più grande che non riguarda certamente solo la maggioranza, ma queste certamente in primo luogo. Occorre che l’Autonomia ritrovi la sua capacità di interpretare le attese e le speranze dei Sardi e di portarle dentro di sé. Questo non avviene ormai da molto tempo. Se non si trova questa capacità, tutte le nostre altre parole non hanno significato, restano prive di senso. Questa Giunta, questa maggioranza vanno nella direzione opposta, gli impegni, i grandi obiettivi delle dichiarazioni programmatiche sono ormai un ricordo.

Noi pensiamo che il momento dei consuntivi si stia avvicinando, crediamo che la Giunta regionale dovrà rendere conto non solo a questo Consiglio ma al popolo sardo dei ritardi, delle negazioni, della mancanza del rispetto degli impegni di fronte agli obiettivi che si era data all’inizio della legislatura.

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