Questione curda: dal linguaggio delle armi a quello della politica

Abdullah Ocalan, leader dei nazionalisti curdi, arriva in Italia e chiede asilo politico, condannando la violenza e il terrorismo. Il governo D’Alema è chiamato a rispondere in Parlamento. Il presidente ricorda che i curdi sono un popolo perseguitato. D’altra parte, in Turchia vige la pena di morte, per cui il governo italiano si assumerebbe una grave responsabilità se rimandasse Ocalan nel suo paese. Ma tra Turchia e Italia cresce la tensione. L’Italia cerca il dialogo ma avverte: non siamo disposti ad accettare ricatti.
Camera dei Deputati, 18/11/1998

Il Presidente del Consiglio ha rimosso ieri più di una perplessità intorno alle circostanze che hanno preceduto e accompagnato l’arrivo di Ocalan in Italia. In ogni caso, noi vogliamo esprimere la convinzione che il nostro ordinamento, non solo nella forma delle esplicite leggi ma anche nei principi fondamentali ai quali si ispira la nostra civiltà giuridica, rende ineludibile la strada dell’asilo politico al leader del partito dei lavoratori curdi. Questa scelta è più forte e più convinta (e in qualche modo è ad essa legata in un nesso indissolubile) a seguito di quella annunciata da Ocalan di abbandonare la strada, tanto sanguinosa quanto inutile, del terrorismo.
La valutazione di opportunità sulla scelta dell’asilo politico non comporta evidentemente un giudizio di merito sulla complessa questione curda. E tuttavia siamo consapevoli che questa vicenda pone il nostro paese al centro di uno snodo complesso e ricco di rischi ma, forse, anche di qualche opportunità. Sono in gioco elementi diversi di un difficile equilibrio: da una parte, la questione, in sé innegabile, di un’aspirazione antica all’autodeterminazione da parte di un popolo che ha una storia drammatica, e, dall’altra, la legittima pretesa di un paese alleato, che gioca un ruolo strategico nel Mediterraneo e che aspira ad entrare nell’Unione europea (e al riguardo noi ci siamo dichiarati favorevoli), di vedere rispettata la sua sovranità nella risoluzione di un problema che considera interno.
Ma, ancora più importante, esiste la necessità di contrastare qualunque forma di terrorismo nel mondo, nel quadro di una cooperazione internazionale. Per questa ragione non troviamo che siano una indebita intromissione le valutazioni espresse dagli alleati della Nato in direzione di un atteggiamento molto severo nei confronti del terrorismo curdo. Ma esiste anche la possibilità concreta di concorrere a favorire la transizione del movimento curdo dal terreno del conflitto armato verso la scelta della politica: la soluzione politica di una questione antica.
La raccomandazione che ci sentiamo di rivolgere al governo è di avere molta prudenza per evitare di spostare l’asse di un difficile equilibrio nella direzione sbagliata. Asseconderemo l’azione del governo, forti del fatto che il Presidente del Consiglio, parlando alla Camera dei Deputati, ha voluto rimuovere una preoccupazione: mi riferisco alla sua affermazione secondo la quale la decisione di dare asilo a Ocalan non può trasformare il nostro paese in una retrovia della guerriglia internazionale. L’abbandono del terrorismo da parte del leader del partito curdo dei lavoratori può rappresentare, invece, la premessa per una fase positiva. Su questa base noi crediamo debba svilupparsi una forte iniziativa nei confronti della repubblica turca, perché non venga alterata la qualità dei nostri rapporti, ma possa invece crescere concretamente l’opportunità di uno sviluppo pacifico del conflitto in corso.
I governi precedenti, e in particolare il governo Prodi, hanno maturato in questi anni un largo credito, prezioso nei confronti della Repubblica turca. Pensiamo che qualunque sforzo debba essere compiuto sia in termini di iniziative diplomatiche, sia nella moderazione delle scelte che dovremo adottare, perché questo credito possa essere conservato.

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