Investire su tutta la scuola

Camera dei deputati, 18/11/1998

 

Il respiro di questo dibattito, l’ampiezza delle valutazioni lasciano intendere che forse non sia questa l’occasione per trovare un momento di verità intorno al problema alla nostra attenzione.
Credo che non si possa, né attraverso l’illusione surrettizia di questioni aperte da un emendamento di rimozione come quello proposto dall’onorevole Villetti e da altri colleghi, né attraverso una posizione di contrasto nei confronti di quello stesso emendamento – diversamente e variamente motivata – raggiungere quel tanto di chiarezza che non soltanto il Parlamento, ma anche gli italiani si aspettano su un problema del quale si discute da troppo tempo.
Voglio limitarmi a ribadire alcune valutazioni che abbiamo più volte espresso e che, forse, non sono state sufficientemente chiarite. Ribadisco anzitutto il nostro impegno per la scuola italiana, per rendere davvero la formazione un autentico fattore di sviluppo della comunità nazionale, per allargare l’area di partecipazione alla crescita della cultura europea. In questo impegno vogliamo richiamare la necessità di migliorare prima di tutto la qualità della scuola statale, non solo per la dimensione ma anche per la missione che essa riveste nel nostro paese.
Vogliamo dirlo con assoluta chiarezza: questo governo deve investire di più, molto di più in favore della crescita della scuola statale. Deve svecchiare, deve immettere una grande carica riformatrice. Noi vorremmo che le malattie antiche di cui soffre la scuola statale nel nostro paese non restassero ancora a lungo senza rimedio. Vorremmo che a breve il governo desse segni di una reale volontà di cambiare in meglio, di allargare la ricchezza di investimenti e di contenuti riformatori nella scuola statale. Vorremmo che in quest’ambito trovasse il modo di investire per il corpo docente delle scuole statali, protagonista di una missione tanto ambiziosa quanto ingrata. Anche su questo tema credo che il ministro della Pubblica istruzione debba dire parole di chiarezza.
Non è in contrasto con questa aspettativa la nostra volontà di favorire una pluralità di soggetti di offerta scolastica, in un regime di garanzia del controllo e degli standard qualitativi e nell’ambito di un unico sistema di istruzione pubblica, superando la contrapposizione tra scuola statale e scuola non statale. Questo per conseguire l’obiettivo di una migliore qualità, per superare la distinzione basata sulla proprietà delle strutture scolastiche in favore di una distinzione basata sul modo in cui viene erogato il servizio dell’istruzione. Credo che questa sia una tesi nota, una tesi sulla quale ci siamo proposti agli elettori io, il mio gruppo, ma anche quello dell’onorevole Buffo e dell’onorevole Occhetto: anche l’onorevole Buffo e l’onorevole Occhetto sono stati eletti su un programma che conteneva esattamente queste proposte. La coalizione dell’Ulivo ha presentato queste posizioni ai suoi elettori, e questa coalizione ha l’obbligo di rispettare, almeno per la parte che di questa proposta ha offerto agli elettori, un impegno in un nesso di coerenza che sentiamo per noi essere vincolante.
Questo impegno lo hanno assunto anche l’onorevole Villetti e i suoi colleghi, che hanno proposto l’emendamento che oggi è oggetto occasionale di una discussione di dimensioni più estese rispetto al suo contenuto. È un emendamento che si propone di sopprimere l’accantonamento di fondi che fa riferimento non già all’erogazione di sussidi e di finanziamenti ai “diplomifici” o a qualcosa di diverso rispetto agli obiettivi che prima ho richiamato, ma al complesso delle nuove iniziative legislative contenute nella “tabella A” del bilancio di previsione, all’interno di quei contenuti di innovazione legislativa che abbiamo in animo di portare avanti e che sono in corso di attuazione. Tra questi vi è anche la legge di parità, che, per sua natura, non può essere in contrasto con la Costituzione più volte citata stasera, la quale recita, all’articolo 33, una serie di commi di cui, chissà perché, si legge solo il comma 3 in cui è detto che enti privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza oneri per lo Stato. Ma al comma 4 si legge anche che la legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità – una condizione che è contemplata nella Costituzione – deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole statali.
La legge di parità vuole quindi essere un momento di attuazione piena di questa Costituzione. Si può anche pensare a occasioni di innovazione, ma intanto, in questa Costituzione, esiste una previsione che vorremmo rispettare.
Pensiamo, in questa cornice, alla scelta della parità come a un’opportunità di offrire ai giovani italiani un momento di libertà, un’occasione di valorizzazione delle possibilità di accedere liberamente all’educazione, quindi un momento di allargamento del diritto di cittadinanza di tutti gli italiani.
Per queste ragioni appare assolutamente distorsiva la polemica attivata in questi giorni intorno alla previsione di spesa contenuta nella “tabella A”. Tale previsione riguarda il complesso di stanziamenti a favore della nuova legislazione in corso di approvazione nell’anno. Ma voglio richiamare, solo per inciso, un elemento non marginale. L’emendamento che dovremmo votare stasera sposta 340 miliardi dalla “tabella A”, che prevede un insieme di opportunità di spesa (credo che il collega Villetti abbia presente, a pagina 26 del disegno di legge n. 5266, tutto ciò, altrimenti può leggerlo se gli fosse sfuggito), nel comma 5, primo periodo, dell’art. 22 che abbiamo in esame.
Lo spostamento avviene in direzione di uno o più provveditorati agli studi o istituti che dovranno sperimentare forme di autonomia maggiore nell’utilizzo delle risorse; sappiamo che attualmente queste scuole hanno un budget di qualche centinaio di milioni. In sostanza, si sposterebbero a favore di poche scuole 340 miliardi, facendone degli istituti miliardari, e tra l’altro attuando un meccanismo che prevede esplicitamente l’assenza di vincoli di destinazione anche in deroga alle norme di contabilità; lo dico per inciso perché è evidente l’improvvisazione con cui è stato approntato questo emendamento.
La verità è che non si vuole tanto approvare questo emendamento quanto segnalare una diversità. È una materia – lo dico ai colleghi della maggioranza – che impegna l’azione di governo. Tutti avvertiamo il bisogno di non cancellare lo specifico della nostra partecipazione a questa coalizione e al governo che essa sostiene, ma vorrei che riuscissimo a distinguere le bandiere da atti parlamentari così delicati come gli emendamenti alla legge finanziaria e al suo collegato.
In questa occasione ho colto un eccesso di bandiere, ma anche una serie di accenni differenti nelle motivazioni di alcuni colleghi della maggioranza intervenuti. Credo che non possiamo permetterci momenti di poca chiarezza e che il ministro Berlinguer dovrebbe fugare questa sera tutte le possibili incertezze; dovrebbe dire cosa intende davvero per legge di parità, quale sia l’interpretazione corretta che in molti giornali abbiamo letto essere diversamente compresa dai giornalisti che interrogano il ministro Berlinguer.
Non ho avuto incertezze nel leggere quanto ha detto il ministro Berlinguer e, ancora più puntualmente, il Presidente del Consiglio. Questa sera, allora, stabilisca il ministro Berlinguer quale debba essere la corretta lettura; vorrei anche sommessamente invitare il Presidente del Consiglio D’Alema a dirci quale sia la regola di comportamento in questa maggioranza. Se tutte le bandiere che abbiamo si tradurranno in emendamenti, e questi ultimi in lacerazioni del corpo programmatico su cui si fonda questo Governo, chi potrà impedire la diffusione di questo comportamento?
Una mancanza di regole, ma anche un atteggiamento sfuggente e dilatorio, su questo come su altri temi, accorcia oggettivamente l’orizzonte di questo Governo e di questa coalizione: non è quello che vogliamo.

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