Il domani del nostro partito

Il domani del nostro partito
Intervento svolto alla prima Conferenza regionale dei quadri DC tenutasi a Cagliari il 13 e 14 febbraio 1987, presente il Segretario Nazionale on. De Mita, 14/02/1987

 

Cari amici, io credo che lo specifico di questa conferenza organizzativa, rispetto ad altre che si fanno in questi giorni in Italia, stia nell’individuare – con il concorso di tutti – la relazione che dobbiamo trovare tra l’organizzazione della nostra politica e la condizione data in Sardegna di partito di opposizione. E quindi interrogarci sui modi attraverso i quali noi possiamo fare una buona opposizione. Cioè dobbiamo interrogarci sulla qualità della nostra presenza politica specifica, in Sardegna. Come conservare la nostra identità di partito nazionale ed autonomista, in un regime di opposizione e di democrazia direi, De Mita, compiuta, come pochi, nelle altre regioni italiane, possiamo avere a riferimento? E alcune indicazioni mi sembra di dover sottolineare. Forse scontate e banali, ma rese necessarie dalla specificità di questo nostro ruolo. Direi che prima di tutto occorre fare uno sforzo per farci identificare come partito che, senza perdere la sua identità, è partito di opposizione e quindi esterno al governo regionale ed è partito di maggioranza e di governo nazionale.

Dobbiamo diffondere questa consapevolezza nei quadri del partito, negli iscritti, nelle forze sociali che a noi si rivolgono, facendoci identificare come partito di opposizione, Perché c’è, in giro, una grande confusione a questo riguardo. E occorre fare chiarezza: siamo partito di opposizione, nel quale è dannoso far persistere – e occorre invece rimuovere – quelle che un giornalista sardo chiamava posizioni di contiguità non conflittuale con il potere regionale. Posizioni che possono riproporre in termini di grande debolezza una nuova, pericolosa pratica di scambio. E una seconda cosa: definire l’orizzonte della nostra opposizione. Che deve essere quello del 1989, per quanto riguarda la nostra presenza in Consiglio regionale. Perché lo stato dei rapporti politici, rende obbligata, oggi, la nostra collocazione. E ogni forzatura sarebbe, per noi, scarsamente vantaggiosa. Questa esperienza di maggioranza sardista e comunista, laica e di sinistra deve esprimere tutte le sue potenzialità, in questa legislatura. E non sembrano neanche tante te potenzialità intrinseche a questa maggioranza! Perché si possa esprimere a scadenza un giudizio compiuto.

E allora, se questo è l’obiettivo, se questa è la prospettiva nella quale misurare la nostra opposizione, bisogna far cessare, nella pratica della nostra politica di partito in Sardegna, alcuni aspetti di messaggio citrato, di sussurri e – qualcuno dice – di ammiccamenti: una volta al PSD’AZ, una volta al PSI, una volta al PCI che rischiano di perpetuare una posizione piena di contraddizioni e che, soprattutto, non servono, se questa è la prospettiva che, nel tempo ci siamo dati. Perché le alleanze che si costituiranno nel 1989, in Sardegna, sostanzialmente discenderanno non dai patti e non dalle dichiarazioni – che noi riteniamo essere necessari ma che altri non accettano – ma dal dato elettorale, dalla tenuta politica di questa maggioranza e dal reticolo di alleanze che avremo saputo costruire in sede periferica.

Il ruolo di opposizione ci consente di aggiornare e ci obbliga ad aggiornare i moduli di convivenza interna. Siamo in ritardo su questa strada. C’è ancora troppo spazio, nelle nostre vicende interne, per i tatticismi. C’è uno spreco insopportabile di energie, nel partito della DC sarda: molti non partecipano alla vita del partito per ragioni tattiche; ad altri la partecipazione non viene richiesta, per le stesse ed opposte ragioni. E c’è qualcuno, forse, la cui partecipazione è – in ambiti territoriali minori – fortemente condizionata. Le correnti, in Sardegna, non sempre sono correnti di pensiero. Il lavoro politico in Consiglio regionale, spesso, da parte nostra, non è corale. Sono aspetti sui quali dobbiamo riflettere, perché i moduli di convivenza interna appartengono ai tempi delle vacche grasse e non sono consentiti nella attuale posizione che noi rivestiamo.

L’opposizione deve essere vissuta dalla DC sarda come una grande occasione per rinnovare la sua dirigenza. C’è un processo che va avanti lentamente, troppo lentamente. La società che tutto rapidizza, questa nostra società dell’informazione, che trasforma molto velocemente la sua domanda ed i suoi processi non può attendere che il rinnovamento della DC sarda venga completato quando tutti saremo vecchi.

Ma il rinnovamento che noi vogliamo non è solo e non è tanto un problema di dato anagrafico. Risiede, il rinnovamento del partito, nella capacità di cogliere e di interpretare la nuova domanda politica che esiste in Sardegna, nella sua complessità non riducibile a schemi che in passato abbiamo vissuto. E’ tradurre questa nuova domanda politica in offerta. E questa offerta deve poter trovare una nuova legittimazione a guidare il governo della Sardegna nella prossima legislatura regionale.

Due parole e due brevi considerazioni voglio esprimere sull’argomento che è oggi all’ordine del giorno in Sardegna. Ci viene attribuita la rottura della tradizionale unità dei partiti autonomistici, sul Terzo Piano di Rinascita della Sardegna, un documento che noi non abbiamo approvato. E’ convinzione comune che questo documento della giunta regionale non sia una grande elaborazione, non abbia i caratteri dell’alto profilo. Sul merito si discuterà, io credo, domani, nella relazione specifica. Ma al di là del contenuto che non è né marginale né irrilevante, prevale il lato politico. Su questo abbiamo il dovere di fare chiarezza. Dobbiamo ricordare il degrado cui questa maggioranza regionale ha ridotto il tessuto delle forze autonomistiche in Sardegna; la rottura verticale operata non solo e non tanto per aver costituito un governo regionale sulla base di una pregiudiziale antidemocristiana, ma per questi anni di conflittualità, per effetto di chi ha voluto costantemente irridere e svuotare il Consiglio regionale, in un crescendo di provocazioni e omissioni, sino alla forzatura delle regole del gioco, delle regole che presiedono alla vita del Consiglio e delle leggi stesse del Consiglio regionale. Giova ricordare – perché noi non lo abbiamo dimenticato – la vicenda dell’approvazione dei piani integrati mediterranei e delle leggi ordinarie di programmazione come quella sul Mezzogiorno, approvate in totale dispregio del Consiglio regionale. Non abbiamo dimenticato che, in quella occasione, si è fatta violenza alle regole ed alle tradizioni e non abbiamo dimenticato l’occupazione selvaggia degli enti regionali, in assenza di riforma degli stessi, di quella riforma alla quale noi, negli anni passati, subordinammo le nomine, in omaggio proprio a quella unità autonomistica che Melis vorrebbe tradita. E qui si colloca il problema della Rinascita, dell’attuazione dell’articolo 13.

In esso per noi si riassume la dignità del rapporto fra lo Stato e la Regione. La statualità della nostra autonomia speciale, il disegno delle coordinate di riferimento economico ed istituzionale della Sardegna, all’interno delle quali si possono ordinare i quadri ordinari di programmazione. Il documento di indirizzi sulla legge di Rinascita esprime quindi il massimo della capacità che i partiti hanno di progettare il futuro. Il punto più alto della elaborazione politica in Sardegna. Non è un atto di governo, è una linea generale di governo e ‘su un tema di questa portata l’accordo non può essere semplicisticamente un atto dovuto, un adempimento, un rituale. L’intesa su questo tema è un grande obiettivo e quindi va costruito attraverso iniziative e qualità di rapporti, da tutti coloro che hanno interesse a perseguire questo obiettivo. Ma questo interesse non può essere solo della DC. Eppure nella vicenda della Rinascita, nell’intera vicenda di questa legislatura, la maggioranza che governa la regione sarda ha ritenuto di non attivare una sola iniziativa politica. Anzi ha reso conflittuale il rapporto con la DC. La rottura dell’unità autonomistica non è cosa recente. Dobbiamo ricordarlo a quel giornalista domenicale che fa discendere dal voto sulla Rinascita una nuova nostra presunta mutazione genetica, in partito antiautonomista.

Il problema all’ordine del giorno non è la rottura dell’unità autonomistica in Sardegna: è la crisi della nostra autonomia regionale, che ci appare oggi più povera e più debole e indifesa, e che viene da lontano, e che porta il marchio di chi ha governato questa fase di degrado dell’autonomia regionale, in un momento di crisi, in un contesto di crisi del regionalismo in Italia. Ma l’autonomia speciale sarda, rispetto alle altre, è ancora più debole. Tanto è più debole quanto più grandi sono le ragioni storiche, etniche, economiche e culturali che a rendono indispensabile strumento di autogoverno e di rinascita. Ma l’autonomia non si può difendere evocandone riti passati e pagine gloriose: questa è solo enfasi.

E l’enfasi va in proporzione esattamente inversa alla concretezza, all’attualità, alla reale affermazione dei poteri. L’autonomia non si difende, anzi si mortifica, quando si indebolisce il ruolo del consiglio regionale, riducendone la dignità decisionale di soggetto agente ed informato, quando si opera per spostare altrove i poteri di rappresentanza regionale. Di qui nasce il nostro impegno per il domani dell’autonomia. Per ridarle – presidente Serra – ruolo di dimensione istituzionale moderna ed efficiente, più forte nei rapporti con lo Stato, perché più torte è la sua capacità di riportare dentro di se la Sardegna e i suoi interessi reali, il nuovo che va crescendo, ma anche la capacità di essere partecipe della cultura politica nazionale, dei processi di trasformazione che non hanno confini. La sua capacità torte di coniugare il bisogno che abbiamo di identità ed il bisogno altrettanto forte che abbiamo, di sviluppo. Essere partecipe del mondo, ancorandoci alla nostra piccola patria sarda. E in questo sta il domani della nostra autonomia; per questo il domani dell’autonomia che noi vogliamo, si intreccia con il domani del nostro partito, in Sardegna. In questa prospettiva, riteniamo, risiede la possibilità per la DC di ritrovare la sua autentica centralità di partito nazionale ed autonomista. E noi ritornare ad essere protagonisti di questa nuova stagione politica. Ritrovando il consenso dei sardi e, insieme, la legittimazione a governare il futuro della Sardegna.

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