Bertinotti, una crisi sarebbe incomprensibile

Camera dei Deputati, 15 ottobre 1997

 

Noi non sappiamo quanto lo stupore per questa incomprensibile divaricazione all’interno della maggioranza di Governo abbia appannato lo stupore diffuso in Europa per gli straordinari risultati conseguiti dal nostro paese nel 1997 e sanciti ieri dalla Commissione, ma siamo consapevoli che questa crisi non è stata inutile per le scelte operate e per quelle responsabilmente evitate. Sono stati richiamati dal collega Bressa due elementi. Il primo è la centralità del Parlamento, che ha consentito la puntuale informazione dei cittadini circa il merito delle questioni aperte, l’esplicita comunicazione sulle scelte dei singoli partiti e della coalizione di maggioranza di Governo; il secondo elemento riguarda il fatto che è la prima volta, dagli anni della scelta atlantica, che la crisi di un Governo italiano richiami un interesse così esteso da parte di tutti gli uomini politici di Governo dell’Europa. In qualche misura questo dato segnala, più di altri, la novità del nostro tempo politico, la nuova geografia della politica italiana, la nuova toponomastica della politica europea assai più delle vecchie sigle e delle vecchie ideologie.
Noi ci siamo impegnati, senza riserve e senza infingimenti, a trovare un punto di equilibrio e di compatibilità capace di conservare ed arricchire il tessuto della maggioranza. In ogni circostanza abbiamo dichiarato che il ricorso alle elezioni anticipate avrebbe inferto una ferita gravissima agli interessi nazionali ed una pausa insopportabile nel percorso virtuoso del nostro paese verso una compiuta integrazione nella nuova dimensione europea.
Nessun interesse di parte avrebbe potuto giustificare una scelta così grave. Con chiarezza abbiamo posto due limiti invalicabili: l’integrità del disegno di politica economica contenuto nella legge finanziaria, e la tenuta di quel minimo di articolazione bipolare faticosamente maturata nel nostro sistema politico.
All’interno di tali limiti abbiamo sempre pensato, anche quando tutto sembrava perduto, che si potesse trovare una soluzione, e sempre all’interno di tali limiti non abbiamo mai rinunciato a comprendere le ragioni di Rifondazione comunista, con rispetto e contemporaneamente con fermezza. Ancora nell’ambito di questi limiti abbiamo esplorato fino in fondo l’impegno dei partiti moderati dell’opposizione a privilegiare l’interesse vero del paese rispetto all’utile di parte, certo legittimo ma anche sterile.
Non ci siamo mai nascosti che i problemi del lavoro e del rilancio dell’occupazione, nonché il parametro della giustizia sociale e dell’equità, non ci sono estranei, anzi coincidono con l’idea che abbiamo della politica; non abbiamo però mai rinunciato a credere nella compatibilità di un rilancio delle politiche in favore dell’occupazione con la ripresa dello sviluppo economico e della convergenza nell’Unione monetaria.
Pensiamo che solo all’interno di una cornice di stabilità e di sviluppo sia possibile farsi carico del problema che più di tutti segnala la contraddizione del nostro tempo.
Riteniamo, signor Presidente del Consiglio, che la nostra fiducia ostinata nel dialogo sia stata utile in questa circostanza. Non ci siamo esibiti nei giorni scorsi in “esercizi muscolari” per misurare i vincitori e i vinti, e per questo possiamo affermare di essere tutti più consapevoli dei margini veri esistenti in questa legislatura per una legittima e corretta dialettica tra i partiti della maggioranza.
L’accordo raggiunto e la Legge finanziaria riflettono nel loro tessuto i caratteri dell’equilibrio possibile tra l’Ulivo e il partito di Rifondazione comunista. Noi non vogliamo tacere che esistono, tra il profilo strategico dell’azione riformatrice dell’Ulivo e del Governo Prodi e gli obiettivi generali di fondo del partito di Rifondazione comunista, distanze grandi e per quanto ci riguarda, incolmabili. Il nostro disegno, però, e la strategia di Rifondazione comunista si incontrano sul terreno della politica, dell’esercizio di Governo, delle scelte che in un sistema di democrazia maggioritaria e bipolare sono possibili, praticabili. Pensiamo che, nella combinazione tra sviluppo economico in un mercato senza confini e istituzioni capaci di rendere possibile un elevato grado di coesione sociale, quello presente in Italia sia il punto di equilibrio più avanzato tra i paesi di consolidata tradizione liberale.
Per questo pensiamo sia un po’ artificiale il grande affanno di molti colleghi dell’opposizione nel descrivere uno spostamento a sinistra dell’asse politico: i mercati hanno registrato l’accordo con un tale favore che neppure gli sforzi retorici dell’onorevole Marzano riescono ad appannare.
Si potrebbe aggiungere che sembra prevalere la delusione in quanti si erano preparati in questa settimana a nuovi scenari. Noi pensiamo, invece (e possiamo dirlo con assoluta sicurezza), che l’equilibrio di questo Governo è incardinato nella presidenza di Romano Prodi. Il futuro di questa legislatura, dell’attività di questo Governo, si può misurare rileggendo le pagine scritte nei primi sedici mesi di questa legislatura. Quando Prodi avrà consolidato il quadro di stabilità della nostra economia e delle nostre istituzioni, quando gli italiani saranno chiamati a valutare i risultati, allora sarà chiaro e rintracciabile l’asse politico di questa esperienza di Governo.
Ma già ora possiamo contare su una considerazione, su un elemento singolare di giudizio: mai, in nessuna crisi politica che io ho potuto osservare, mi è capitato di sentire nei confronti di un Governo che ha rassegnato le dimissioni un giudizio così diffusamente positivo nella valutazione pubblica di molti e nella valutazione privata di tutti, compresi quelli che stasera ho sentito intervenire, con l’eccezione dell’onorevole Mancuso.
Ora bisogna, riprendere la strada. Noi, signor Presidente del Consiglio, le confermiamo tutto il nostro impegno e la nostra intenzione perché pensiamo che attraverso questa strada si trovi l’approdo della transizione del nostro sistema politico verso una fase nuova della nostra storia.

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