Discorso in Consiglio regionale, febbraio 1990
Noi abbiamo appreso dagli organi di stampa dell’intendimento dell’Onorevole Melis di lasciare il Consiglio regionale – non la politica – in occasione di una fase convulso della vita interna del partito. Qualche giorno dopo abbiamo appreso di questa lettera di dimissioni e delle motivazioni addotte, Vogliamo dire subito che abbiamo una preoccupazione; che non debba essere guardata e considerata da noi, e battuta, la cosiddetta questione morale, nella accezione di un problema di rinnovamento del sistema politico e dei partiti, come una evenienza di stagione da fronteggiare con qualche accorgimento precario, declamatorio, o peggio come occasione strumentale per la dissimulazione di una propria convenienza personale o di partito.
Le dimissioni, ancorché riguardino un autorevole rappresentante di questo Consiglio, – e noi dobbiamo ricordare che più lo abbiamo contrastato nel recente passato sul piano politico, tanto più siamo stati rispettosi della persona dell’Onorevole Melis – le dimissioni sono problema diverso. Il nesso con la questione morale sarebbe irriguardevole 01per una vicenda che ha le dimensioni personali, contingenti, che va rispettata nel suo divenire. Se si voterà, noi respingeremo le sue dimissioni non pensando di interferire o di essere funzionali al disegno di alcuno. Ma va riproposta come cosa diversa, ben più esigente della questione che molti colleghi oggi hanno sollevato.
Viviamo si è detto, in tempi di grandi trasformazioni che inducono riflessioni sofferte e non approssimative in ordine all’insieme dell’organizzazione del sistema dei partiti. Ed il quadro dei nuovi riferimenti che vanno maturando tanto più è indefinito quanto forte è il convincimento di una necessaria ridiscussione del nostro essere dentro la politica. Lo scenario delle trasformazioni economiche, culturali, politiche che segna appuntamenti cogenti, talora inappellabili per la nostra storia prossima, vuole che la Sardegna sia partecipe di scelte che può condividere e comunque rischierebbe di subire.
Ma più generalmente vuole la nostra generazione non indifferente né rassegnata, perché anche in Sardegna noi dobbiamo fare una riflessione sulla qualità del nostro operato legislativo, sulle oggettive condizioni nelle quali si manifesta quella che taluni chiamano la questione morale in Sardegna, quella che più complessivamente noi dovremmo chiamare come una crisi della politica. Non tanto per mettere a fuoco – e lo faremo, io credo che troveremo la circostanza – quegli aspetti deteriori della moralità di comportamenti delle persone che hanno responsabilità di governo, negli intrecci che esistono, che sono esistiti, sono stati denunciati in più occasioni. Intrecci orizzontali, di cui si è parlato, che io credo cementati da una comune partecipazione alla gestione degli aspetti materiali del potere non sempre trasparenti. Quando questo si verifica non consente a nessuno fra i partiti di chiamarsi fuori, di considerarsi alfiere manicheo di una società diversa.
Tuttavia i problemi che noi abbiamo di fronte non sono solo questi di cui si è parlato, e dei quali dovremo parlare non per denunciarli ma per individuare quale è la strada – e certamente quella della trasparenza è un metodo per percorrere questa strada -, per rimuovere la questione morale.
Ma tuttavia esistono alcuni problemi dei quali parliamo meno, che in qualche modo condizionano la crisi di quel sistema. Quelli di una legislazione spesso sommersa, fatta per garantire la tutela di egoismi di gruppi o di corporazioni in un regime di scambio, o quella legislazione sui grandi terni sociali ed economici che tradisce la naturale struttura della norma per diventare irrisolto e contraddittorio compendio di declamazioni fatte dalle forze politiche. O quella inclinazione, che abbiamo verificato anche noi, a tradurre l’intervento straordinario dello Stato in Sardegna come la somma di piccole operazioni di campanile che hanno reso meno che ordinario il profilo della manovra straordinaria.
La caduta della tensione autonomistica, la delegittimazione degli organi di questo Consiglio regionale, il primato dello spettacolo sui contenuti.
Su alcuni di questi fenomeni portiamo tutti una qualche responsabilità, maggiore per alcuni in ragione della più larga e continuata assunzione di personali responsabilità. Ma altri problemi, signori Consiglieri, restano per noi aperti.
Il bisogno che noi avvertiamo di aggiornare i moduli e le regole della politica. Corriamo il rischio che si possa ritenere ineluttabile, necessariamente vincolata negli esiti, la crisi del sistema dei partiti e che l’esigenza di cambiamento riguardi alcuni più che altri.
Guardiamo con rispetto alla fase di discussione che esiste nel Partito Comunista. A fronte di una istintiva soddisfazione, perché la storia ha segnato una evoluzione che noi avevamo in qualche misura avvertito come possibile e come giusta, prevale il convincimento che tutti noi dobbiamo porci qualche interrogativo sul nostro domani.
Si è in qualche modo verificata una consumazione dei partiti come soggetti ideologici della politica, e la nuova laicità della politica italiana rappresenta certamente un fatto positivo e moderno.
Ma avvertiamo che il massimo di moralità pubblica, di rigore, di impegno e di passione civile ha segnato e attraversato la nostra storia nazionale dentro la vicenda dei partiti ideologici, e che l’usura di questa peculiare soggettualità della politica italiana si accompagna al crescere di segnali di degrado della pubblica moralità.
L’approdo ad una nuova moralità del nostro sistema è un obiettivo comune, passa in un paragone assai teso tra la regola ed il comportamento, attraversa l’itinerario esigente e rigoroso della verifica delle coerenze anche personali.
Il compito che abbiamo è quindi quello di ritrovare e di rendere autentico il nesso tra consenso e potere, capovolgendo un rapporto di consuetudine che fa subordinare il consenso all’occupazione del potere. Per far questo abbiamo il compito di restituire dignità e primato ai contenuti della politica, rendere percettibili le nostre distinzioni, renderle convincenti per una progettualità concreta piuttosto che per un appello ai sentimenti quando non anche agli altri istinti.
La riforma della politica, colleghi Consiglieri, è all’ordine del giorno. Dovremo trovare, io credo, un’apposita occasione non legata a fatti contingenti per discutere di questi temi, per fare insieme, con la partecipazione di tutto il Consiglio, questa riflessione. Perché la riforma della politica è un’ipotesi insieme necessaria e ambiziosa e va ben al di là di una vicenda di parte, coinvolge la responsabilità e il rischio di ciascuno e diventa esigente l’appello all’intelligenza e al coraggio di tutti noi.
Abbiamo il dovere di pensare il nuovo liberandoci dalle consuetudini ma soprattutto rinunciando alla pretesa di proiettare in avanti le pertinenze della nostra storia passata, personale e di partito. Possiamo perderci o guadagnare l’approdo ad una Democrazia matura. Qui in fondo risiede il rischio ma anche il fascino di questa stagione. In fondo io credo che a questo pensasse Moro quando parlava della terza fase non come ad una alleanza o ad una semplice operazione di Governo, ma come uno spazio di verità entro il quale la politica sarebbe stata costretta a misurarsi, uno spazio non breve né assoggettabile a semplificazioni di comodo.
Il dibattito aperto nella stampa in questi giorni rischia di tradurre la complessità di questo problema, la complessità delle prospettive che si aprono per il nostro sistema nella tentazione di dare la caccia al politico. La congettura che circola è quella che vuole che il politico sia sempre incompetente e spesso disonesto affidando ad altri, spesso al rappresentante dell’impresa, lo stereotipo del moderno, positivo, di successo.
E in una condizione nella quale questo si verifica, contestualmente alla forte concentrazione del potere economico del nostro Paese, e anche nella nostra Regione, e all’ancora più forte concentrazione dell’informazione, questa congettura rischia di tradursi in una concretizzazione di quel modello caro a Licio Gelli.
Questa considerazione non ci sottrae al dovere di essere molto esigenti verso noi stessi, di guardarci fino in fondo e di interrogarci. Credo che dovremo farlo presto Signor Presidente, e in questo senso mi associo nell’auspicio di un apposito dibattito da parte del Consiglio Regionale nei tempi più brevi possibili.