L’Unione Sarda, 26/01/1990
Il professor Paolo Savona qualche tempo fa evocò, in un articolo di fondo su questo giornale, il cosiddetto “sillogismo di Barbara”. Secondo alcune tesi, diceva il noto economista, un notevole incremento nella spesa nazionale a favore del Mezzogiorno ha coinciso con l’inasprirsi del malcostume meridionale e delle collusioni fra istituzioni e malavita. Conclusione: bisogna sopprimere l’intervento straordinario per sconfiggere mafia e camorra.
Naturalmente il professor Savona perveniva a conclusioni differenti. Il dibattito sulla questione morale in Sardegna mi sembra riprodurre qualche analogia con quel sillogismo: la differenza sta nell’invito a sopprimere la politica.
Al di là delle dimissioni dal Consiglio regionale dell’ex presidente della giunta Mario Melis (da taluno ricondotte più semplicemente alla complessa dialettica interna al Partito Sardo d’Azione) resta il dato di una ricorrente denuncia di rapporti impropri tra “politica e affari” nella nostra regione.
Credo – anche tenendo conto del dibattito che si è svolto (non solo sui giornali) in questi giorni – che sia riduttivo, e sostanzialmente distorsivo della verità, collegare questo processo degenerativo ad una stagione di governo dell’Autonomia piuttosto che ad un altra. Esistono da tempo intrecci orizzontali nella politica sarda, cementati da una comune partecipazione alla gestione degli aspetti materiali del potere, non sempre trasparenti. Quando l’intreccio si verifica, assume i colori dell’arcobaleno e nessuno, fra i partiti, può chiamarsi alfiere manicheo di una civiltà diversa.
La moralità dei comportamenti attiene alla sfera delle responsabilità individuali: mi riesce difficile pensare che i politici siano geneticamente orientati al malaffare più di quanto non capiti ad altre espressioni della società civile.
Ma dobbiamo stare attenti a non aprire “la caccia al politico”.
Si va diffondendo una congettura che assegna al politico lo stereotipo dell’incapace e del disonesto, alle forze sociali quello del velleitario e dell’arretrato, riservando all’imprenditore i caratteri del moderno, dell’efficiente del positivo.
Questo schema risponde al modello piduista caro a Licio Gelli sulla delegittimazione delle rappresentanze politiche per spostare il baricentro della società post-moderna verso le nuove concentrazioni della finanza e dell’informazione.
Non credo in tutta sincerità, che sia questa l’aspirazione dei sardi: mi sembra più persuasivo il richiamo dell’arcivescovo di Cagliari a riscoprire l’anima autentica della politica come servizio.
E allora il dibattito sulla questione morale va impostato su un registro diverso. Conta di più un giudizio e una riflessione sulle condizioni oggettive che configurano speciali opportunità a comportamenti immorali. E giova sicuramente ricercare tutte le circostanze che creino consenso alle istituzioni, dilatando trasparenza e controllo sociale.
Un posto particolare occupa in questa riflessione l’esperienza dell’ultimo triennio di intervento straordinario del Mezzogiorno.
Il dato di grande novità, non sufficientemente ponderato, è stato il protagonismo dei soggetti minori della programmazione (Comuni, Consorzi). Questo si è tradotto da un lato nell’abbandono della dimensione straordinaria degli interventi e delle azioni di trasformazione, omologando le proposte al profilo ordinario del governo regionale; dall’altro – ed è questo uno dei temi all’ordine del giorno – il dilagante ricorso all’istituto della Concessione (in una accezione distorsiva) ha spinto molte amministrazioni ad assumere un atteggiamento di larga delega ai gruppi privati di imprese (in testa quelle a capitale pubblico), deputandoli a presentare “progetti chiave in mano”, a ricercare finanziamenti a protezione, a svolgere un funzione ideativa e di gestione, rinunciando così alle proprie inalienabili prerogative di guida della comunità e di governo del territorio.
Correlata , o meglio contigua, a questa deviazione, di per se gravissima, la proliferazione di opportunità di intrecci e corruzione.
Sarà bene, resistendo a molte spinte di campanile, ripensare dimensioni, soggetti e strumenti dell’intervento straordinario.
Il governo ha di recente manifestato orientamenti in questa direzione: il Consiglio regionale della Sardegna dovrebbe partecipare più attivamente a questa fase del dibattito meridionalista.