Attenti al censore

La Nuova Sardegna, 15 febbraio 1990

 

Da qualche tempo il dibattito sulla questione morale e quello relativo alla riforma del sistema elettorale si intrecciano. E’ certamente fondato il giudizio, assai diffuso, che il nostro sistema di partiti sia in crisi: la relativa aggettivazione è prova di una incoercibile fantasia.

Al centro dell’analisi è la degenerazione partitocratica e, correlata a quella, la configurazione della politica come “cosa sporca”: i suoi rappresentanti anziché esprimere la società civile, traducendone i bisogni in offerta di governo, mediandoli nelle istituzioni, tendono a diventare una classe preoccupata dei propri interessi, con l’unico fine di conseguire e difendere il potere. La consumazione dei partiti ideologici, la esaltazione della cultura tecnologica, i affermarsi dei nuovi miti di una modernità consumista e narcisista, l’inarrestabile omologazione conseguente favoriscono, oggettivamente, insieme alla rapida caduta di tensione morale, il dilatarsi degli intrecci tra affari e politica.

Trovo sospetto il coro dei giudici censori che, in Sardegna, fanno a gara nel denunciare il fenomeno. Ancora più sospetto che primeggino in questo esercizio alcuni sacerdoti di una iniziativa privata che esiste più nei convegni che nel mercato. Ma non è questo l’argomento.

Si va diffondendo l’opinione che un rimedio alla questione morale e al degrado del sistema dei partiti risieda nella riforma del sistema elettorale: abolizione delle preferenze, collegi uninominali, elezione diretta di presidente, capi di governo, sindaci. Questa, con una pluralità di combinazioni, la ricetta. Il referendum troverà certamente molti sostenitori, nella presunzione che attraverso questa riforma si riducano gli spazi di immoralità connessi con l’occupazione delle istituzioni da parte dei partiti. lo non condivido questa opinione.

Se la vita interna dei partiti, di tutti, con serva le attuali regole, mi sembra difficile che il peso degli apparati possa diminuire: saranno loro a scegliere i candidati oppure, dopo un po’, i candidati identificheranno partiti. Né, a valutare l’esperienza dei Paesi governati col sistema dell’elezione diretta, sembrerebbe molto fondata la congettura di una maggiore pubblica moralità. La cronaca recente ha riferito di alcuni sindaci Usa tutt’altro che paladini del buon costume.

Sono convinto che alla scelta “plebiscitaria”, qualunque sia la dimensione istituzionale, corrisponda una concezione che tende a sostituire al governo dei partiti quello delle persone. Ma, quel che più conta, questa tendenza è connessa ad uno spostamento del potere in direzione di gruppi li tari, che devono necessariamente avere grande disponibilità di denaro. E questo rappresenta una circostanza di possibile corruzione assai più allarmante.

I grandi partiti popolari dovrebbero porsi qualche preoccupazione di più rispetto al movimento di opinione che, volendo riformare i partiti, studia il modo di cancellarli o quanto meno renderli “inoffensivi”, e misurare su questa eventualità le effimere convenienze di una sponsorizzazione referendaria. Sono persuaso che stabilità degli esecutivi e correzione delle esasperazioni del sistema proporzionale rappresentano obiettivi non eludibili di una revisione dei meccanismi elettorali. Ma è sbagliato pensare che la questione morale e la riforma del sistema politico si risolvano attraverso un’opera di ingegneria istituzionale.

L’itinerario è più complesso: si tratta di ritrovare e di rendere autentico il nesso tra consenso e potere, capovolgendo la consuetudine che fa discendere il primo dall‘occupazione del secondo. Giova restituire dignità ai contenuti della politica rispetto alle esigenze dello spettacolo. Giova rendere percettibili le distinzioni, renderle convincenti per una impegnativa ispirazione, piuttosto che per una offerta mercantile; giova certamente più di ogni cosa ricercare un rapporto persuasivo tra società persona e istituzioni. E’ compito più difficile e più ambizioso: comporta la ricerca da parte di ognuno di noi, ognuno per la sua parte, delle ragioni ideali della propria esperienza politica in un paragone esigente tra regola e comportamento.

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