Qualcosa cambia nel PDS

La Nuova Sardegna, 16 aprile 1991

 

Il primo congresso regionale del PDS non è stato, e ne prendiamo atto con piacere, un momento scontato del lungo percorso di restyling politico dei comunisti italiani.

Si sono colte nel dibattito di quel congresso, insieme alle note prevedibili e talora stonate di un vecchio spartito, segni espliciti di una seria riflessione sulle cose nuove della politica e di quella sarda in particolare.
Non è certo quali saranno nei prossimi mesi le opinioni prevalenti nel PDS né possiamo agilmente intuire il tono della coerenza di comportamento che potrà verificarsi.

Tuttavia è sicuramente possibile un nuovo clima nei rapporti politici all’interno del Consiglio regionale.
D’altra parte già la fase conclusiva della recente sessione dedicata ai problemi della programmazione ha posto in evidenza, insieme alla tenuta matura e consapevole della coalizione di governo, numerose occasioni di confronto e di convergenza non ispirati alle vecchie pratiche di consociazione.

Prossimamente dovremo occuparci, auspicabilmente per concludere, dei temi connessi alla Riforma delle istituzioni regionali. Non per emulazione del dibattito in corso a Roma ma perché persuasi da tempo, tutti quelli che crediamo nell’Autonomia, che le ragioni della nostra specialità debbano essere riaffermate nell’ordinamento e tradotte in regole più coerenti con i nuovi caratteri della società civile, con gli impulsi forti che vengono’espressi dalla comunità regionale.
Ma anche perché i temi della Riforma, che rendono acuto lo stato delle relazioni politiche in Parlamento, che si proiettano sul futuro della Repubblica come lo snodo non eludibile della nostra democrazia, questi temi non ci sono indifferenti nella rappresentazione che abbiamo dei nostri interessi.

Il disegno delle coordinate istituzionali, all’interno delle quali si sviluppa l’azione di governo e si esercita la discrezione della politica, rappresenta l’occasione più naturale per ricercare il contributo più largo di intelligenze e di creatività.
Non saremmo coerenti con questa premessa se pensassimo di perseguire gli obiettivi di riforma in una logica di conservazione delle maggioranze, subordinandone non solo gli esiti ma anche il dispiegarsi del confronto alla rendita di coalizione.
Ma sarebbe altrettanto miope e in definitiva perdente un orientamento delle opposizioni che valutasse il percorso e i contenuti dell’azione riformatrice delle istituzioni con il metro utilitaristico della convenienza per la modifica del quadro di alleanze.
Il momento politico è favorevole. Tanto più sono cresciute le ragioni di coesione della coalizione che governa la Regione tanto più mi pare sia ragionevole ricercare un momento serio di comune riflessione e di comune impegno per aggiornare le regole della nostra democrazia autonomistica.

E dovremo parteciparvi liberandoci di tutte le rituali concessioni agli obblighi di schieramento ideologico, svelando con chiarezza i caratteri della nostra ispirazione riformatrice.
Sostengo da tempo che dobbiamo adeguare con decisione i logori stereotipi della nostra dialettica: se possibile dovremrno bandire in assoluto il ricorso agli stereotipi. Perchè sono profondamente mutate le categorie della nostra politica e, nella consapevolezza generale, al di là dei luoghi comuni, il progressivo, il nuovo, la cultura riformi- sta non coincidono più con i vecchi toponimi.
Per questo nessuno può sottrarsi ad un riesame severo ed esigente dei propri orizzonti e delle proprie ambizioni.
Ne discende, a mio parere, che la prospettiva dei ricambio politico come regola ordinaria nei governo delle istituzioni tutti ci coinvolge e tutti ci interessa: perché sarà collegato sempre più ai contenuti e sempre meno alle sigle.

E la pregiudiziale sommatoria di sigle mi sembra invece l’aspirazione massima di quei settori del PDS che dicono di voler modificare il “sistema”, avendo scarsamente dissimulato la frenesia di ereditario.

Se quello che soprattutto è in campo consiste in un dovere di rinnovamento e di più matura responsabilità, per tutti noi, appare nella sconsolante dimensione della sua mediocrità l’appello che taluni ancora si attardano a lanciare per una improbabile diserzione dalle alleanze.
Ben altra è l’ambizione cui i partiti sono chiamati se davvero intendono rispettare l’appuntamento col futuro della nostra Autonomia.

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