A Roma la Regione non conta

 

La mobilitazione popolare contro il progetto di un deposito unico nazionale per lo stoccaggio delle scorie nucleari in Sardegna è tema dominante nel dibattito politico in Sardegna.
Ma, sullo sfondo, la crisi dell’autonomia regionale e il fallimento dei governi di Centro destra aprono una nuova stagione politica.
La Nuova Sardegna, 16/06/2003

 

Onorevole Soro, mercoledì scorso alla Camera, intervenendo sulle scorie nucleari, ha parlato da sardista o da leghista?
“Da sardo”.

C’è differenza con un lombardo che parla solo di Lombardia?
“Noi crediamo nel rapporto fiduciario tra le varie parti del Paese e nella Costituzione”

Non c’è questo rapporto di fiducia?
“Il governo dimostra scarso rispetto per questa terra e per la sua storia”

E c’è il rischio che i sardi possano perdere fiducia nell’unità del Paese?
Certo, la Sardegna chiede di rinnovare il patto per stare in Italia con uguale diritto di cittadinanza”.

Un dirigente nazionale può parlare di casi locali?
Solo se si ha una forte comprensione della propria comunità si può partecipare bene a responsabilità nazionali.

Segretari e capigruppo, e lei lo è stato, non dovrebbero astrarsi?
“Non sono marziani. Bisognerebbe diffidare di quanti svolgono una funzione alta senza un forte radicamento nel proprio territorio”.

Il ministro Giovanardi le ha ricordato che anche la Sardegna fa parte dell’Italia e che quindi è coinvolta come le altre regioni.
“Ma Giovanardi, e con lui il governo, non ha neanche tentato una spiegazione per dire che esiste un motivo perché l’isola diventi una pattumiera”.

Non è un termine forte da usare in Parlamento?
“La vicenda è grave”.

Perché la Sardegna va esclusa a priori?
“Se c’è una regione che ha scommesso sull’ambiente è la Sardegna. Ed è un aspetto”.

Qual è il problema?
Questo caso è visto nell’isola come simbolo di irrisione offensiva, di disistima nell’Autonomia”.

Anche perché a scegliere sarà un generale?
“Ciò ha contribuito a smuovere la coscienza dei sardi”.

Colonialismo?
“È un termine che io non vorrei ripescare”.

Come giudica allora questo atteggiamento?
“Semplicemente stupido”.

Vi hanno accusato di strumentalizzazioni.
“Nessuno sarebbe riuscito a organizzare a tavolino una mobilitazione così vasta”.

Perché lei ha denunciato contraddizioni?
“Mentre Giovanardi non smentiva l’invio delle scorie, un altro ministro, Pisanu denunciava l’esistenza nell’isola di un intreccio tra terrorismo e indipendentismo”.

E allora?
“Come si può da una parte segnalare una preoccupazione e dall’altra sottovalutare una reazione così forte”.

Giovanardi ha accusato anche la Chiesa sarda di fare demagogia.
“Segno di scarsa intelligenza”.

Lei è stato sfidato dal ministro a convincere l’Ulivo a stoccare le scorie in altre Regioni.
“Scambia una questione così grave per una banale polemica partitica”

Sono contrari anche i parlamentari del Polo, che però sono isolati. Non rischiate l’isolamento anche voi?
“Credo proprio di no”.

Come può dirlo?
“I colleghi con cui ho discusso sono d’accordo, sono scandalizzati quanto noi”.

Perché?
“La vocazione ambientale della Sardegna è una percezione molto diffusa”.

In Parlamento la Sardegna conta di meno?
“Si”

Per colpa dei suoi deputati e senatori?
“Ha sempre contato al di là dei numeri e dei ruoli dei suoi uomini”.

Anche quando c’erano Segni, Cossiga, Berlinguer?
“Certamente sì”

E qual era la sua forza?
“L’istituto autonomistico portato a un rango di pari dignità”.

Quando è successo?
“Penso all’epoca di Paolo Dettori, negli anni settanta”.

Cosa fece?
Pur con un governo omogeneo riuscì a guadagnarsi grande rispetto”.

La reazione sulle scorie dice che l’autonomia è sempre un valore per i sardi?
“Certo, ma bisogna ridarle una dimensione statuale”.

Le critiche non c’erano anche negli anni migliori?
“È vero, ma la gente, oltre che la propria rabbia, riversava sulla Regione anche la propria speranza”.

Perché?
Perché la Regione era vista come strumento per emancipare la comunità dei sardi”.

Oggi non è più così?
“La fiducia è scesa molto”.

Può fare una graduatoria dei presidenti della Regione?
“Quelli bravi sono tanti”.

Ne citi almeno un altro
“Mario Melis”

Pili non è rispettato?
“Come può far crescere la propria considerazione se non vuole nemmeno approvare una mozione in consiglio regionale?”

Ha responsabilità?
“Non vorrei fare una polemica specifica su Pili”.

Perché?
“Che abbia fallito è palese. Basta vedere il consuntivo”

Lo faccia.
“Potrei fare decine di esempi. Mi limito ai sei più o meno clamorosi”.

Oltre le scorie?
“Si”

Andiamo
“Il pecorino romano, le grandi opere, l’energia, la chimica, la ricerca, l’intesa Stato-Regione”.

Partiamo dal pecorino romano.
“Il governo ha potuto tranquillamente privilegiare quello laziale, benché quello sardo sia pari all’80 per cento del totale”

Grandi opere
“Siamo l’unica regione che non viene attraversata da uno dei grandi progetti che Lunardi racconta di voler fare”

Energia
“Il centrosinistra, in attesa del metano, aveva previsto un’esenzione fiscale per mettere le imprese sarde alla pari”.

Ma la bocciatura non l’ha data l’Unione europea?
“Bruxelles ha chiesto chiarimenti: né il governo né la giunta hanno giustificato quella norma. Era difendibile”.
Negli incentivi alle imprese, su 246 imprese del Sud, solo 8 sono sarde”.

Chimica
“Si sbaracca tutto e il contratto di programma non fa un passo avanti”.

Intesa Stato-Regione
“Federico Palomba l’ha saputa costruire negoziando norme e risorse. Bisognava attuarla con una contrattazione ma è tutto fermo”.

Il suo giudizio di fallimento è comunque di parte.
“No. La protesta viene anche da tutti i settori della maggioranza”.

Con la verifica?
“Danno giudizi catastrofici. Come i sindacati che avevano aperto una linea di credito”.

E gli industriali?
“Non è un caso che Devoto parli con una durezza che non è tipica di Confindustria”

Il risultato elettorale è segno di dissenso crescente?
“Si, ma in Sardegna, per le poche realtà coinvolte, non è molto significativo. Lo è di più l’umore che cogli nella gente”.

Anche fra gli elettori del Centrodestra?
Anche fra i molti che avevano dato fiducia a Pili”.

Come giudica il fatto che la Chiesa sarda aderisce allo sciopero di CGIL – CISL -UIL?
“Non mi ha sorpreso”.

Perché?
“La Chiesa sarda è molto più vicina di altre istituzioni agli umori e ai sentimenti della gente. D’altra parte il 20 in piazza non ci saranno solo gli elettori del Centrosinistra”.

L’anno prossimo ci saranno le elezioni regionali. Il dissenso nei confronti della giunta si trasformerà automaticamente in consenso per il centrosinistra?
“Non è detto”

Cosa serve?
“Dobbiamo fra crescere una proposta di governo che sia persuasiva di per sé”

Oggi la politica difetta di qualità?
“Quella sarda un po’ di più”

Cosa manca?
“Buonsenso e umiltà”.

Ci si affida sempre di più al leader. È un’esigenza reale e politica spettacolo?
“Sia l’una che l’altra”

Perché è un’esigenza?
“Bipolarismo ed elezione diretta hanno bisogno di persone che siano sintesi di coalizione plurali”.

Perché spettacolo?
“Il partito-personale ha fatto scuola anche da noi”.

Il centrosinistra era accusato di aver perso la voglia di vincere. Le ultime elezioni segnano una svolta?
“Mi pare di si”

Nel totocandidati per la presidenza della Regione c’è anche lei.
“Ho sempre sostenuto che la politica non può essere tutto”.

Cosa significa?
“Che farò ancora per qualche tempo il parlamentare”.

E poi?
“Vorrei dedicarmi ad altre passioni”

Quali sono?
“La mia professione e la mia famiglia”

E se la propongono?
“È un ruolo che richiede il massimo di energia e grandissima motivazione”

È stato anche consigliere regionale. Quale delle due esperienze preferisce?
“Ne dimentica un’altra”

Sindaco di Nuoro?
“Esatto”

Bene. Allora, delle tre, quale preferisce?
“Tutte straordinarie”

La più appagante?
“Sindaco. Avevo trent’anni, mi ha riempito di enorme gratificazione. Mi è servita anche per gli altri incarichi”

Nel 1992, da capogruppo regionale della DC, fu tra quelli che si batté per realizzare il governissimo con la sinistra. Vedevate già la prospettiva dell’Ulivo?
“Voglio fare prova di umiltà: no”.

Perché allora quella scelta?
“Ci appariva la soluzione giusta per quella fase”.

Senza strategia?
“Non dico questo. Ma non avevamo ancora metabolizzato che i grandi partiti dei primi quarant’anni erano sostanzialmente finiti”.

Nel senso che si stava iniziando un nuovo percorso senza vederne l’approdo?
“È così”.

Ora l’avete raggiunto?
“Non ancora”

Cosa può succedere?
Dentro il bipolarismo ci saranno altri assestamenti”.

Quali?
“Nessuno dei due schieramenti può avere un così alto numero di partiti”

Occorre semplificare?
“Noi della Margherita abbiamo dato un felice esempio”.

Pensa anche all’unità politica dei cattolici?
“No, è finita”

Non è più riproponibile?
“La fine dell’unità politica dei cattolici è una delle due ragioni per cui è finita la DC”.

E l’altra?
“La fine del comunismo”.

Tangentopoli non c’entra?
“Storicamente no. È stato solo il fattore scatenante”.

Nei suoi discorsi lei ha sempre fatto riferimento ai giovani. Qual è oggi il loro rapporto con la politica?
“Non è un bel rapporto”

Perché?
“Perché il paradigma è quello del politico che punta solo a conservare se stesso”

La politica di professione fa perdere le idealità?
“Non è sempre così, ma è quello che pensano i giovani”.

Cosa fare per convincerli del contrario?
“Ripescare le ragioni del cuore”

Altrimenti?
“Altrimenti la politica viene usata anche dai giovani come un autobus”.

C’è meno partecipazione anche perché il messaggio politico viene affidato soprattutto alla televisione?
”Il ruolo del cittadino diventa passivo come nella pubblicità commerciale”.

È anche causa della scarsa qualità della politica?
“Lo si vede con Berlusconi: il prodotto è diverso da quello che viene propagandato”.

Lei perché entrò in politica?
“Ho avuto la fortuna, entrando all’università, di vivere il ’68”

Cosa c’entra con la DC?
“A Nuoro esisteva Forze Nuove che garantiva una straordinaria partecipazione”

Come attirare un giovane verso i partiti?
“Non ci sono ricette pronte”.

Tentiamone una.
“I partiti dovrebbero diventare accoglienti”.

Il suo partito ideale?
“Quello in cui non esiste la cooptazione e in cui si pesa non per la fedeltà al leader ma per le proprie qualità”.

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