Cominciamo dai piccoli comuni

 

L’approvazione da parte della Camera di una legge contenente misure a favore dei piccoli comuni è l’occasione per fotografare la realtà economico e culturale della Sardegna. Antonello Soro avverte come lo spopolamento delle aree interne dell’isola possa segnare l’eclissi della storia e dell’identità dei sardi. Ma invertire la rotta è ancora possibile: un nuovo modello di sviluppo turistico destinato alle aree interne, integrato con il comparto agroalimentare e con le naturali risorse dell’isola può fare da traino per l’intera economia regionale.

La Nuova Sardegna, 23/01/2003

 

La Camera dei Deputati ha approvato una buona legge: non capita sempre e quindi è giusto esprimere soddisfazione. Non è un caso che l’iniziativa sia partita da un parlamentare dell’opposizione e sia stata immediatamente condivisa dall’intero arco delle forze politiche. La legge contiene misure di semplificazione amministrativa e burocratica, incentivi concreti per frenare lo spopolamento dei piccoli comuni e specialmente di quelli che insistono in aree svantaggiate.
Scuola, sanità, trasporti, uffici sociali, poste vengono riconosciuti come servizi elementari indispensabili a qualificare la vita di comunità e come tali non sopprimibili. L’obiettivo è quello di rendere conveniente abitare in un piccolo comune introducendo sostegni alle attività agricole, commerciali e artigiane coerenti con la specificità di singoli territori.
Soldi a chi si trasferisce nei piccoli comuni, agevolazioni ICI per i residenti, incentivi per chi recupera il patrimonio edilizio, valorizzazione dei prodotti agroalimentari tipici: un complesso di norme che naturalmente hanno bisogno di una copertura finanziaria ben superiore ai 20 milioni di euro annui attualmente previsti E tuttavia ha ragione Ermete Realacci quando sostiene con felice immagine che “abbiamo acquisito il dito per indicare la Luna, ma bisogna fare ancora molta strada per conquistarla”.
Ma per noi sardi la legge in favore dei piccoli comuni acquista un valore del tutto particolare. L’83% dei comuni sardi ha meno di 5000 abitanti e in questi vive il 33,4% della popolazione.
Lo spopolamento e l’invecchiamento conseguente dei piccoli comuni rappresentano la prima causa della crisi economica e sociale della regione e segnatamente di quell’area vasta che coincide con le zone interne dell’isola. Il progressivo trasferimento di residenti nei comuni costieri e nelle città capoluogo ha sostanzialmente modificato il profilo economico e culturale della Sardegna.
Nei piccoli comuni dell’isola resistono donne e uomini vecchi, prevalentemente pensionati (il 30% dei comuni della provincia di Nuoro ha una popolazione di pensionati che supera il 40% del totale, con punte del 55%).
Ma non è solo questo. Nei nostri paesi si trovano le radici della nostra civiltà: lì siamo nati come popolo, lì troviamo le tracce di scelte antiche e il suono di una lingua che nel veicolo della memoria hanno formato la nostra identità.
La morte lenta e finora inesorabile dei comuni delle aree interne dell’isola può segnare l’eclissi della nostra storia e la consunzione della identità dei sardi. E cancellare ogni residua speranza per chi avverte il declino.
Nascono da questo intreccio nuove marginalità e nuove tensioni che possono generare disperazione e frustrazione. È difficile escludere che qualche nesso esista con la ciclica esplosione di violenze incomprensibili in altri contesti. È cronaca di queste settimane.
E ancora una volta abbiamo registrato attestazioni di premura caritatevole da parte delle autorità di governo, analisi per la verità non originali e proteste corali. Sono giuste queste e comprensibili quelle: ma non si vede l’orizzonte di un approdo.
Negli anni 60 un progetto d’industrializzazione della Sardegna Centrale, pur nelle sue contraddizioni e incompiutezze, seppe mantenere l’impegno della conservazione degli equilibri territoriali.
Poi fu il tempo del turismo costiero con i suoi miti e le sue nuove ricchezze: gli equilibri sono stati demoliti innescando un processo che spinge inesorabilmente verso un mutamento (devastazione?) che è insieme economico e antropologico. Si può correggere la rotta? Questa è in fondo la vera sfida che tutti abbiamo di fronte. E se è vero che il turismo è la dimensione dell’economia più di ogni altra destinata a crescere nel ventunesimo secolo, sarebbe stupido negare che per la Sardegna può costituire una straordinaria opportunità.
Da molte parti viene prospettata l’ipotesi di un nuovo modello di sviluppo turistico destinato alle aree interne, integrato con il comparto agroalimentare e con le naturali risorse dell’isola: qualità ambientale, tradizioni e produzioni identitarie, testimonianze architettoniche, archeologiche e artistiche di una cultura millenaria.
Una prospettiva fondata su un’offerta turistica capace di incontrare la domanda dei nuovi consumi di una società europea colta, ricca ed esigente.
Forse è possibile. Ma è premessa irrinunciabile che i sardi tornino a vivere nelle aree interne, nei piccoli paesi, riprendano il possesso del loro territorio.
Ecco perché la nuova legge sui piccoli comuni approvata dalla Camera può offrire alla nostra Autonomia regionale una grande occasione: per sostituire le stanche geremiadi sella società del malessere con l’indicazione di un preciso orizzonte.
Sarebbe segno di intelligenza e di buon governo se la Regione varasse una sua legge per integrare risorse e norme statali e comunitarie e promuovesse un grande progetto (fatto di misure concrete, nomi e cose, non generiche previsioni) per rimuovere il disagio insediativo nelle piccole comunità della Sardegna, restituendo ad esse soggettualità e protagonismo nell’economia e nella cultura. Per farle rivivere nella dignità del lavoro e della speranza.

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