Sicurezza e immigrazione: il dovere della chiarezza

Durante una tesissima seduta, in diretta televisiva, la Camera approva la nuova legge sull’immigrazione. Di pochi giorni prima il messaggio del Papa per la Giornata mondiale della pace, centrato sui temi dell’accoglienza e del dialogo tra culture. Sono i giorni del viaggio in Vaticano, per la consegna dell’albero di Natale, di Jorge Haider che sul Corriere della Sera, critica il presidente Ciampi e l’atteggiamento dell’Italia riguardo agli immigrati, e sostiene che su questo tema il Papa la pensa come lui. Il governo italiano protesta con l’Austria. Il portavoce della Santa Sede smentisce esplicitamente che le considerazioni di Haider siano fondate. Ma Umberto Bossi non vuol essere da meno: sostiene che il Papa “avrà detto le solite cose, che gli uomini sono tutti uguali e bla bla bla, ma la verità è che i clandestini scardinano la società”; quanto al presidente Ciampi “faccia il suo lavoro ed eviti di entrare nell’arengo politico”. L’Ulivo insorge e accusa l’ “assordante silenzio” di Berlusconi.
Camera dei Deputati, 20/12/2000

Immigrazione, clandestinità e criminalità sono categorie assolutamente distinte. Ma nessuno può negare che l’immigrazione, quando è clandestina, diventa terreno di coltura per fenomeni criminali di cui i clandestini sono a volte autori, e forse più spesso vittime.
Siamo consapevoli che esiste tra i cittadini del nostro paese un bisogno diffuso di sicurezza, un desiderio crescente di certezze in ordine a questioni che in qualche misura vengono avvertite come pericoli per la serenità delle famiglie. E più forte è questo desiderio di risposte da parte del governo e del Parlamento, di risposte né timide né incerte, più noi dobbiamo avvertire il dovere della chiarezza.
Noi pensiamo che la risposta del governo contro la criminalità, organizzata o diffusa che sia, debba essere energica, pronta, efficace e rigorosa. Pensiamo che l’emersione della clandestinità costituisca un presidio di sicurezza; che la clandestinità possa essere vinta governando con mano ferma il fenomeno dell’immigrazione quando essa venga considerata come un’opportunità, offrendo un approdo programmatico alla domanda che preme alle nostre frontiere. Governare questa domanda significa usare con intelligenza il decreto annuale dei flussi, finalizzare gli arrivi alle esigenze del nostro sistema produttivo e sociale, dare efficacia alle espulsioni, assicurare un sistema certo di identificazione di tutti gli irregolari presenti nel territorio nazionale, estendere la cooperazione internazionale. Ma nessuna politica di sicurezza può cancellare i fondamenti della nostra civiltà. Nessuna politica di sicurezza può esorcizzare una questione che segna e segnerà sempre di più il nostro tempo.
Le grandi migrazioni sono un aspetto ineliminabile del nostro tempo. Nel mondo globale non si spostano solo informazioni e merci. Esistono uomini e donne che ogni giorno si pongono una domanda sul loro destino, sulla loro possibilità di sopravvivere, o anche semplicemente di approdare ad una esistenza migliore. Inseguono una speranza, piccola o grande; inseguono una notizia che li può riguardare, che può cambiare la loro vita o quella dei loro figli. È stato così per molti nostri connazionali all’inizio del Novecento.

Mi chiedo e vi chiedo se ogni uomo non abbia il diritto di seguire una sua speranza, se non abbia il fondamentale diritto di inseguire la sua libertà, il suo sogno di giustizia, la sua possibilità di vivere in un mondo che pensa migliore. Diciamocelo con sincerità: siamo realmente disposti a riconoscere il diritto di cittadinanza alle speranze di quelle donne e di quegli uomini? Lo chiedo ai colleghi della destra, del Polo, della Lega, perché questo è il punto fondamentale, rispetto al quale non possiamo cercare scorciatoie, non possiamo sopportare ambiguità o contraddizioni tra parole e fatti.
Lo so, riconoscere questo diritto ed essere disposti ad agire in modo conseguente è difficile, tremendamente difficile, ma qui si gioca fino in fondo la responsabilità della politica.
Esiste un oggettivo problema di sicurezza, che è un diritto di tutti i cittadini e che le istituzioni devono garantire. In alcune aree del paese, questa è vissuta come un’autentica emergenza: ne siamo ben consapevoli. Noi chiediamo al governo, nella sua collegialità, di attuare per intero le nostre leggi, di accrescere il coordinamento delle forze di polizia, di recuperare il ritardo nella costruzione dei centri di permanenza. Ma dobbiamo dire con forza che non siamo all’anno zero.
Il ministro dell’Interno ha prodotto cifre e dati che segnalano una chiara, decisa inversione di tendenza: dati e cifre che dimostrano che le leggi che ci siamo dati vanno nella giusta direzione e stanno dando frutti concreti. Il relatore Sinisi, in quest’aula, ha portato dati precisi che dimostrano come il processo di integrazione sociale non sia un’utopia. Così come è giusto sottolineare che stanno funzionando i meccanismi di contrasto dell’illegalità: le espulsioni sono raddoppiate rispetto a quelle del 1998. Questa è la strada responsabile, che partendo dal realismo necessario conduce a soluzioni equilibrate che si pongono il problema di coniugare il diritto alla sicurezza con il dovere di giustizia, del rispetto della dignità delle persone; direi di più, il dovere dell’umanità.
È possibile migliorare la legge? Noi abbiamo manifestato la nostra precisa volontà: vogliamo fare di più e meglio. Ma la destra ha proposto veri e propri stravolgimenti, dimostrando di volere in realtà cavalcare l’umore della piazza, nella ricerca affannosa di una facile popolarità, di un consenso effimero, destinato a naufragare contro gli scogli della realtà. Ci propongono di militarizzare le frontiere, ignorando che la disperazione di un popolo in fuga sarà sempre più forte di mille radar. Le proposte di Alleanza nazionale svelano tutto il loro intento propagandistico, che noi denunciamo davanti al paese, perché fare campagna elettorale strumentalizzando la disperazione dei più deboli è immorale!
Cosa vuol dire proporre l’introduzione di quote etniche, ridistribuire gli immigrati eccedenti sul territorio, come se si trattasse di spostare merci e non persone? La stessa logica traspare dal tentativo di introdurre il reato di immigrazione clandestina, mettendo così sullo stesso piano vittime e carnefici, disperati e trafficanti di uomini. Ma davvero si può ragionevolmente pensare che sia possibile sostituire l’espulsione tempestiva ed efficace con un processo penale, appesantendo il nostro già pesante sistema giudiziario e carcerario, revocando i compiti dello Stato e delle regioni per affidarli ai giudici? Sarebbe una soluzione non solo demagogica, ma anche inefficace.
Cosa c’è alla base di queste proposte? Il rifiuto di guardare alla modernità nella sua complessità e nelle sue contraddizioni? Questo sarebbe da ingenui. Oppure è una cultura razzista intollerante, o ancora si tratta di una pericolosa, grave, irresponsabile deriva demagogica? Lei, onorevole Fini, ha detto che la politica di centrosinistra alimenta la xenofobia: è un’accusa che con fermezza respingiamo al mittente. Voi alimentate, con i vostri comportamenti e con le vostre parole, una pericolosa conflittualità sociale!

La nostra politica ha un altro profilo e un’ambizione più alta: organizzare la convivenza nel segno dell’integrazione possibile, coniugando l’accoglienza con il rispetto delle persone e con il bene comune; combattere senza tregua i criminali che gestiscono il traffico di esseri umani. Ma una cosa deve essere chiara, lo ha detto con autorevolezza il Presidente della Repubblica, Ciampi: non si può e non si deve confondere il fenomeno dell’immigrazione con quello della criminalità. Ed invece questa confusione, sul piano culturale ma anche su quello politico, non solo si ripete, ma viene alimentata dai comportamenti ambigui di chi va predicando di piccole patrie da salvare, di purezza etnica da tutelare, d’identità da contrapporre. Parole in maschera, disancorate da ogni vero valore, che servono a nascondere un processo di imbarbarimento e di degrado morale, culturale e politico.
È questo, onorevoli colleghi, che oggi, anche qui in quest’aula, ci divide. Vi è in Italia chi favorisce questa deriva. In questi giorni sono successe cose gravi; Haider sarà anche un piccolo personaggio, ma certo inquietante, e mi chiedo: i leghisti che manifestavano contro gli immigrati e che parlano di crociate per difendere la Padania cristiana, di quale cristianesimo parlano? In quali valori credono se il loro capo, con straordinaria rozzezza e volgarità, ironizza, come ha fatto Bossi, quando Giovanni Paolo II fa sentire alta la sua voce a difesa della solidarietà, del dialogo, dell’accoglienza, della dignità umana?
E l’onorevole Berlusconi non può ridurre il problema a una questione di buona educazione. Umberto Bossi non ha studiato a Oxford o a Cambridge, lo sappiamo, ma non è questo il problema. Del resto, sugli studi di Bossi si è discusso a lungo e la materia resta avvolta in qualche fumoso mistero; tuttavia l’ignoranza non può essere un salvacondotto per insultare il Papa ed il Presidente della Repubblica.
Ci aspettavamo dal capo dell’opposizione ben altro atteggiamento. Giudicheranno gli italiani, che sono più attenti e consapevoli di quanto lei non pensi, onorevole Berlusconi, su queste piccole ed ipocrite furbizie che servono solo a tenere in piedi un traballante patto politico.

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