L’Ulivo al bivio

E’ uno dei momenti più difficili per l’Ulivo: a metà della legislatura, esplodono le tensioni per le candidature alle elezioni regionali. Le preoccupazioni dei singoli partiti circa la propria visibilità, i veti incrociati, e soprattutto il “caso Campania”, mettono a rischio la coesione anche in Parlamento. Berlusconi tratta apertamente con Bossi e Pannella e annuncia la costruzione della “Casa delle libertà”, una nuova alleanza che ambisce a raccogliere tutti coloro che si oppongono al centrosinistra. Un vertice dei segretari dell’Ulivo con il presidente del Consiglio D’Alema, decide di promuovere un più forte coordinamento della coalizione. Per la prima volta, si convoca un’assemblea di tutti i parlamentari con il presidente del Consiglio. I capigruppo della maggioranza affidano ad Antonello Soro la relazione introduttiva.
Assemblea dei parlamentari del centro sinistra. Roma, cinema Capranica 29.2.2000

Non avrebbe senso tacere che esistono problemi, che molti ne abbiamo avuto e molti ne abbiamo risolti. Che ne avremo ancora.
Non avrebbe senso negare che ogni tanto riemergono le tracce delle nostre storie diverse, i segni di una differente sensibilità ai conflitti più acuti della società italiana. Ma anche l’ossessione di affermare il diritto alla visibilità, la premura di non apparire subalterni; e, insieme, la tentazione di far pesare i numeri interni, “le quote…” come si diceva un tempo.
E come negare che nella vita di questa coalizione esistono ancora molti protagonisti in qualche modo prigionieri della loro biografia? Le vicende che accompagnano la formazione delle liste regionali, le tensioni e le incomprensioni ancora aperte in queste ore sono motivo di sofferenza, sono motivo di una inquietudine che non possiamo rimuovere con leggerezza. Più di uno, tra di noi, si è chiesto ieri se non fosse opportuno rinviare questo incontro.
Devo dire che è prevalso — in modo chiaro e sincero — il bisogno di manifestare una nostra reazione, di trovare le forme per uno scatto in avanti, per affermare un sentimento di fiducia. Anche perché io credo di poter affermare, con sincerità e senza riserve, che le differenze tra di noi non sono mai state in alcun momento, neppure nelle giornate più difficili, vissute come un’affinità per il fronte avverso: mai è accaduto che uno solo dei gruppi di questa maggioranza abbia messo in discussione le ragioni della coalizione.
La cosa più terribile — ce lo siamo detto tante volte in questi giorni — è che le nostre dispute su questioni interne alla politica hanno oscurato gli straordinari successi della maggioranza e del governo. Facciamo parlare di noi solo per le nostre divisioni. Eppure io sento che non saranno i conflitti di questi giorni a cancellare i quattro anni di lavoro per l’Italia che hanno segnato in modo indelebile ognuno di noi.
Abbiamo partecipato ad una fase straordinaria della vita democratica di questo Paese: abbiamo speso la nostra competenza e la nostra passione per una sfida che non consideriamo conclusa. Non è stato un cammino semplice.
Governare è difficile, sempre: è più difficile nelle fasi di transizione sociale, transizione delle culture, transizione del sistema politico. E’ ancora più difficile quando l’opposizione non accetta la sfida sul terreno del governo, della concretezza della politica, sui contenuti che qualificano la direzione di marcia: ma preferisce organizzare la disinformazione, alimentare fantasmi e sfuggire il confronto.
Non è stato un cammino semplice. Ma abbiamo superato la prova.
Abbiamo cambiato una parte importante del sistema italiano, del sistema delle leggi, del sistema dell’economia, del complesso di regole che favoriscono il diritto di cittadinanza.
Certamente il nostro è un Paese protagonista fra i principali della straordinaria stagione di cambiamenti in corso nel Pianeta. Non è un Paese stremato e alle corde. E’ un Paese che partecipa alla ripresa della economia europea con forti opportunità. Lo ha ricordato in questi giorni il governatore della Banca d’Italia. La nuova fase espansiva che si annuncia in Europa, che è già partita in Europa, ci vede in prima fila.
L’Italia si trova in una fase cruciale, in uno snodo straordinario di opportunità e di rischi. Esiste l’opportunità di accrescere e consolidare la capacità di competere, di allargare il peso dell’economia nazionale delle sue istituzioni nel complesso delle relazioni internazionali, di stare al passo con le innovazioni dei Paesi più forti, di offrire ai tumultuosi processi di innovazione tecnologica dell’economia in rete un riferimento di stabilità e di compattezza del governo.
Abbiamo la possibilità concreta di ridurre ancora — e in modo più consistente — la pressione fiscale e insieme di riformare il sistema di protezione sociale nel segno dell’equità.
Esiste, nel nostro orizzonte di legislatura, nell’agenda dei prossimi dodici mesi, l’opportunità di ridurre il costo del lavoro, di rendere più agile il sistema economico, di cogliere il frutto della liberalizzazione di mercati fondamentali come quello dell’energia: un evento di cui molti ancora sottovalutano lo straordinario impatto sull’economia nazionale. Possiamo creare molti nuovi posti di lavoro. Possiamo completare la riforma dello Stato in direzione di un forte impianto federale e dell’efficienza della pubblica amministrazione.
Non è una suggestione improbabile; è lo scenario possibile, alla nostra portata per coniugare una risposta seria e non demagogica alla domanda di libertà, dell’economia e dei cittadini, con la domanda di giustizia sociale e di sicurezza.
E possiamo completare la riforma della politica nel segno di un sistema bipolare e maggioritario, con una legge elettorale che rispetti la volontà degli italiani e, insieme, sappia coniugare governabilità e rappresentanza.
Abbiamo introdotto nell’ordinamento italiano una legge sulla propaganda politica che esiste da tempo nelle maggiori democrazie europee. E’ stata vissuta come una violenza, un bavaglio, un’ingiustizia. Noi sappiamo che la categoria dell’eguaglianza di solito è sgradita per chi detiene privilegi. Approveremo anche una legge sul conflitto di interessi: nel rispetto dei principi democratici, senza sopraffazioni che sono estranee alla nostra cultura e alla nostra tradizione. Ma anche senza soggezione: non ci sentiamo né intimiditi né impauriti.
E abbiamo l’opportunità di affrontare i referendum senza inutili lacerazioni. Mi chiedo, e vi chiedo, perché non sia possibile rovesciare le parti. Perché dividerci sul voto ai referendum e non ricercare una convergenza seria — che è possibile, che sappiamo possibile — intorno a sette disegni di legge sui quesiti referendari, da approvare prima o dopo il 21 di maggio, per smentire l’idea che in Italia le riforme si possono fare solo coi referendum?
Ma l’Italia si trova anche davanti al rischio di arretrare, di perdere le posizioni guadagnate, di affondare nella vecchia politica degli intrighi, del trasformismo, dell’instabilità. L’Italia rischia di arretrare nel terreno del bipolarismo. E’ significativo e insieme sconcertante l’attivismo dell’onorevole Berlusconi in queste settimane, il suo impegno per la ricerca di nuovi alleati nell’indifferenza più totale per le ragioni ideali, all’insegna di un fronte confuso e contraddittorio.
L’unico intento esplicito e dichiarato sta nel desiderio di assumere la guida dei governo: forse non sbaglia chi sostiene che in fondo Silvio Berlusconi è ancora un imprenditore che ha deciso di aggiungere alle sue proprietà il governo dell’Italia. E d’altra parte lo stile delle trattative di queste settimane nei rapporti con Bossi da una parte, con Pannella dall’altra, ricorda più le transazioni finanziarie che gli accordi politici. Non è un caso che gli alleati dell’onorevole Berlusconi firmino contratti notarili piuttosto che sottoscrivere programmi. E’ questa l’Italia che non vogliamo.
Non vogliamo una politica che cancelli gli ideali nel nome di un leader, non vogliamo una politica che cavalchi il qualunquismo, che assecondi l’egoismo di un’Europa ricca e vecchia, impaurita dalla pressione di un mondo povero e giovane che guarda a noi come un miraggio. Non vogliamo una politica che favorisca le spaventose pulsioni verso derive illiberali che il virus dell’insicurezza di questo nostro tempo ha generato e rischia di accrescere. Non vogliamo importare, surrettiziamente, nel nostro Paese il modello austriaco.
La vera natura di Forza Italia è mascherata dall’ossessivo ricorso al sentimento anticomunista, all’esaltazione di un nuovo grande centro, inteso come terra di nessuno, dove tutti possono trovare ospitalità; dove ogni incompatibilità si dissolve. Ma non commettiamo l’errore di sottovalutare Berlusconi.
A queste lusinghe molti italiani sono sensibili, e noi troppo spesso ci siamo fatti trascinare nel suo teatrino. E’ davvero straordinario che un Paese che partecipa concretamente alle sfide della modernità, che guida i processi dell’economia e della cultura in ogni angolo del pianeta, che partecipa con successo alla rete della nuova competizione globale, si appassioni — come in una fiction televisiva — allo scontro tra comunisti e anticomunisti, tra guelfi e ghibellini.
E’ divenuta insopportabile la vacuità di tante polemiche intorno a molte bandiere ammainate, una riproposizione priva di sincerità, di antiche divisioni, di scontri tanto astiosi quanto anacronistici. Dobbiamo sottrarci alla tentazione di farci contaminare da questo gioco di mondo virtuale, costringendo la Destra a misurarsi senza maschere sui temi della vita vera, sui conflitti e sugli interessi del nostro tempo. Dovremo farlo noi — non noi ex qualcosa, noi riformisti del XXI secolo — un grande sforzo di innovazione, e dovremo assumerci un di più di responsabilità per concludere questa infinita transizione italiana, per trovare stabilmente forme e contenuti di una nuova stagione della democrazia italiana.
Ma anche questa maggioranza è a un bivio. Non può più concedere spazio alle spinte per la frammentazione, non può sopportare più questa incontenibile esibizione delle identità di provenienza, vissute come antagoniste del progetto programmatico per il futuro. Perché le prime rischiano di soffocare il secondo.
Non solo alle elezioni politiche, ma anche alle regionali. Non ci sarà una forza di questa maggioranza che potrà vincere se le altre avranno perduto: siamo legati da un comune destino politico e su questo dobbiamo fondare i comportamenti, le scelte, del prossimo anno. Su questa consapevolezza dobbiamo costruire il programma per la prossima legislatura.
Ma occorre verificare se è possibile — io credo che sia possibile — definire qualcosa di più di un programma comune: un’idea generale, l’anima del nostro progetto riformista che abbia caratteri riconoscibili ed esplicitamente alternativi a quelli del Polo di centro destra. Un progetto di società che cerchi di conciliare mercato e sviluppo dei consumi e moderazione degli stili di vita, accumulazione capitalistica ed equa distribuzione delle risorse. Un progetto perché nessuno resti indietro, nessuno resti solo; perché l’efficienza e la giustizia camminino alla stessa velocità. Un’idea generale che segni lo spartiacque tra due opposte visioni del nostro futuro, che abbia la forza per contenere sotto uno stesso simbolo la pluralità delle componenti del Centro Sinistra.
Qualcosa che faccia sentire i protagonisti partecipi di un disegno, impegnatiti verso una meta comune, che, insieme, trasmetta ai cittadini l’idea di una squadra motivata e coesa, che sappia intercettare il sentimento popolare in un rapporto di vera reciprocità. Io non penso al partito unico del Centro Sinistra: è una prospettiva che alcuni considerano auspicabile, altri no. Ma tutti condividono – tra di noi – il giudizio che questa ipotesi non sia oggi praticabile.
E’ però possibile fin da oggi costruire una moderna coalizione, come si conviene nei sistemi bipolari e maggioritari, non come addizione di sigle, ma come progetto unitario nel quale possano ritrovarsi anche tutte quelle parti della società italiana che non aderiscono ai singoli partiti, ma condividono l’idea generale del riformismo che noi vogliamo interpretare. Penso alla coalizione come il punto di convergenza di forze diverse, non estinte né candidate all’estinzione, legate da un progetto ambizioso, ordinate secondo una regola condivisa, in un rapporto di pari dignità.
Può tradursi questo percorso in una nuova struttura della coalizione? Può essere semplificata l’organizzazione dei nostri gruppi parlamentari? Io penso che sia possibile sperimentare forme nuove di aggregazione che rendano più agile il momento delle decisioni e – ancora di più – quello della comunicazione. Perché non trovare una regola, una disciplina dello stare insieme nel territorio, nei collegi, nelle regioni? Esistono le condizioni per dare corso a questo disegno: non per un rassegnato ripiego ma per una consapevole scelta. Le condizioni sono in noi.
Cari colleghi, non per un obbligo abbiamo scelto questa alleanza: ognuno di noi, di quelli che sono qui dentro, ha rinunciato a qualcosa, ognuno di noi ha messo da parte qualche ambizione. Abbiamo fatto questa scelta in libertà, senza bisogno di contratti notarili: perché noi stessi, ognuno di noi è garante della nostra alleanza. Non siamo inquilini di un condominio di un qualche padrone, nessuno del Centro Sinistra è proprietario locatore che detta regole, paga per tutti e mette a tacere contrasti e differenze.
A quanti in questi giorni hanno evocato – senza una grande fantasia – lo scenario di elezioni anticipate dovremo dare – già questa sera – una risposta forte e decisa. Dobbiamo dire che noi non vogliamo tornare indietro, che non vogliamo dissipare, per un pugno di inutili vanità personali o per qualche desiderio di inutile egemonia, il patrimonio di credibilità che abbiamo guadagnato al nostro Paese né vogliamo disperdere le straordinarie conquiste di questa legislatura. Non lo vogliamo, non ne abbiamo interesse.
Perché sappiamo che alla fine nessuno vincerebbe da solo: siamo legati da un comune destino: vinceremo insieme o perderemo insieme la scommessa di questa coalizione. Credo di interpretare al meglio i sentimenti di tutti i presenti dicendo che noi, questa scommessa, vorremmo vincerla.

PRIVACY POLICY