Finanziamento ai partiti per una politica “popolare”

Camera dei Deputati, 11/03/1999

 

Signor Presidente, noi approviamo oggi una legge utile per la democrazia del nostro Paese. Lo facciamo senza enfasi e senza infingimenti, convinti di essere in sintonia con gli interessi e i diritti dei cittadini; lo facciamo con sobrietà e moderazione, perché riteniamo che la polemica non sia sempre utile al fine di far comprendere le nostre ragioni.
La discussione non breve che si è svolta in quest’aula ha concorso a rendere più nitidi gli elementi di contrasto, le ragioni vere che oppongono gli schieramenti, al di là di una strumentalità demagogica che pure non è mancata. La discussione ha fatto giustizia di un equivoco che sopravvive nei commenti giornalistici; nessuno, per esplicita ammissione, considera i partiti politici un elemento rinunciabile della nostra democrazia.
Tale riconoscimento mi sembra importante, perché contraddice, in qualche modo, la congettura avallata da molti protagonisti, soprattutto fuori da quest’aula, secondo la quale in questi giorni si sarebbe svolto e sarebbe ancora in corso uno scontro fra i fautori e gli avversari del sistema dei partiti. Tuttavia, quella congettura, incoraggiata e diffusa fuori da questa sede, evoca l’immagine della politica deteriore, di pochi uomini arroccati nei palazzi del potere che cercano di attribuirsi finanziamenti per scopi inconfessabili.
Sappiamo che la politica non è questo; abbiamo la consapevolezza che i partiti sono insufficienti, che le forme organizzative sono largamente informate a modelli sociali non sempre attuali, che i cittadini trovano oggi altri modi per manifestare l’impegno e la vocazione sociale, che una lunga fase di intrusione esuberante ed arrogante all’interno delle istituzioni si è conclusa ed è ormai alle nostre spalle, anche se appartiene al vissuto di molti colleghi che, oggi, siedono nei diversi settori di questo emiciclo.
La riforma della politica ci riguarda tutti; riguarda gli eletti, ma anche gli elettori. Noi pensiamo che la nostra democrazia non possa crescere, se non sapremo abbandonare la dimensione radicale della domanda che esalta gli egoismi e trascura la qualità e al veridicità dell’offerta di governo. Noi non vogliamo riprodurre – nessuno può volerlo – l’ingombro esasperato dei partiti nelle istituzioni.
Occorre ritrovare e praticare l’idea sturziana di partito, che ha consapevolezza della propria natura artificiale, tramite il raccordo tra società e Stato. Un partito che non ha la pretesa di identificarsi né con l’una né con l’altro e che non tenta di sostituirsi ad essi. Riproponiamo questa idea, allontanando la pretesa che i partiti possano concludere la complessità sociale, l’enorme potenzialità delle tante autonomie che si muovono dentro la cultura del nostro tempo.
Vogliamo comunicare agli italiani che seguono il dibattito la nostra idea di politica popolare, fatta dalla passione di uomini e donne, che nelle nostre città, grandi e piccole, spendono una parte significativa della loro vita per occuparsi dei problemi di tutti, che sanno fare rinunce e sacrifici, che dedicano in gratuità il loro tempo e le loro energie, perché credono nelle loro idee, che si assumono responsabilità perché hanno scelto l’impegno contro l’indifferenza.
Vorremmo salvaguardare la parità di condizioni di accesso e di partecipazione di tutti i cittadini e di tutti i partiti alle competizioni elettorali.
Per tale motivo abbiamo affermato nel nostro programma elettorale, il programma dell’Ulivo, che avremmo affrontato il tema del costo della politica, prevedendo forme di finanziamento pubblico, in condizioni di parità, delle forze politiche. La legge che stiamo per approvare è coerente con il programma dell’Ulivo.
Ma non intendo rimuovere le ragioni di vera distinzione che sono presenti e che giustificano un diverso atteggiamento nel voto che esprimeremo. Si confrontano due posizioni, due modi opposti di concepire il finanziamento della politica, che riflettono due modi opposti di concepire il funzionamento della nostra democrazia. Noi sosteniamo che il contributo pubblico per pagare i costi della politica debba essere strettamente legato al voto dei cittadini, secondo il principio: “voto il mio partito e, insieme, lo finanzio”.
Il voto è il momento di massima libertà, in cui il cittadino sceglie e decide a chi affidare la propria rappresentanza e, insieme, gli strumenti attraverso i quali essa può essere garantita. Davanti al voto segreto tutti siamo uguali, e tutti dobbiamo avere uguali opportunità.
La scheda elettorale è il momento di massima riservatezza e, insieme, di massima responsabilità, nel quale il cittadino manifesta la sua volontà assai più liberamente di quanto non avvenga attraverso il sistema vigente del 4 per mille, che affida alla mediazione dei commercialisti l’esercizio di tale diritto.
La destra sostiene che il finanziamento spetti alla contribuzione volontaria dei sostenitori, in cambio di sgravi fiscali, secondo il principio: “do soldi al mio partito e pago meno tasse”. In base a tale procedura i sostenitori potrebbero finanziare il partito più adatto a tutelare i propri valori e propri interessi. Se operassimo questa scelta, se valesse questa procedura, la vera competizione sarebbe finalizzata ad avere nel proprio schieramento le componenti sociali più ricche, piuttosto che le più bisognose.
E quei partiti che non tutelano le realtà dell’economia e della finanza più solide, come potrebbero finanziarsi? Quanti sarebbero i finanziatori tra la povera gente e quanto potrebbero essere finanziati i partiti che vogliono tutelarla?
Non credo sfugga ad alcuno che si aprirebbe la strada per un ritorno alla selezione dei gruppi dirigenti per censo, e che l’autonomia della politica rispetto all’economia rischierebbe di essere una finzione. È difficile immaginare i mecenati come disinteressati signori che investono i loro soldi per il bene comune; anche a voler essere altruisti ed ignorare il rischio della corruzione, resterebbe il problema di un peso esorbitante dei sostenitori dentro il partito: chi impegna il proprio denaro pretende di comandare, lasciando a margine il dibattito sulle idee.
Queste ragioni, che sono di fondo, rendono distanti le posizioni emerse nel dibattito parlamentare: esse meritano rispetto e noi rispettiamo chi le ha apertamente sostenute.
Vi è, poi, una terza posizione, quella dei cultori della demagogia, con poche opinioni ferme e una gran voglia di ottenere comunque il favore degli elettori. Con questi ultimi il confronto delle idee è difficile e forse impossibile: basterà ricordare che il rappresentante dei Democratici, onorevole Piscitello, ha presentato centinaia di emendamenti per sostenere una tesi opposta a quella per la quale due anni fa presentò altrettanti emendamenti.
Si è parlato di un’alternativa tra il finanziamento pubblico è quello privato. Ma la questione vera non sta nel carattere pubblico o privato del finanziamento. In ogni caso, sia che si operi sulla spesa – come nel caso di questa legge – sia che si operi riducendo le entrate fiscali – come nello schema proposto dalla destra – è lo Stato che sostiene in misura prevalente il costo della politica, così come avviene in tutti i Paesi europei.
La piccola Austria, con sei milioni di elettori, spende la cifra che noi oggi proponiamo; la Spagna spende per il finanziamento ai partiti il doppio di quanto noi proponiamo; la Germania destina al sostegno finanziario per i partiti seimila lire per ogni voto. Il sistema dei rimborsi elettorali è il più usato nei Paesi democratici ed è quindi ampiamente sperimentato.
Si è detto, da parte di molti deputati, di un’ostinata ipocrisia lessicale che fa chiamare rimborso elettorale un chiaro provvedimento di finanziamento pubblico della politica. Io non so se sia più ipocrita chi usa un termine improprio oppure chi utilizza un tema così esposto agli umori dell’opinione pubblica per acquisire simpatie e consensi elettorali e poi, all’indomani delle elezioni, attinge a piene mani ai benefici di questa legge.
Noi siamo consapevoli che la transizione del sistema politico italiano è ancora incompiuta e che la prossima legge elettorale – che noi vogliamo informata ad un maturo sistema bipolare maggioritario – potrà indurre una modificazione di questa legge.
La faremo, se sarà necessario, affrontando e non sfuggendo i problemi, spiegando le nostre ragioni e ascoltando, come abbiamo fatto in questi giorni, le ragioni degli altri, perché il dovere della politica non è quello di assecondare gli umori, di cavalcare l’onda emotiva della pubblica opinione, bensì quello di assumere, con responsabilità e trasparenza, impegni e decisioni coerenti con il mandato ricevuto. Per queste ragioni il gruppo dei Popolari voterà a favore di questa legge.

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