La bicamerale a un bivio

Dopo 15 mesi di lavoro, sta per tramontare la commissione Bicamerale. A fine aprile, il Presidente D’Alema ancora diceva: “Non siamo mai stati così vicini al traguardo”. Ma la rottura tra Polo e Ulivo si consuma improvvisa, sui poteri di scioglimento delle Camere da parte del Presidente della Repubblica. E’ Forza Italia a tirarsi indietro, su un testo per il quale, in commissione, i suoi rappresentanti avevano dato parere favorevole, e nonostante il parere contrario di A.N., Fini annuncio che il suo partito non si dissocerà da Berlusconi nel voto. Franco Marini, segretario del Ppi, propone di tornare in commissione per trovare una nuova mediazione. D’Alema è favorevole, Berlusconi dice ancora no.
Il Popolo, 2 giugno 1998

Non sarà una giornata qualsiasi, in un senso o nell’altro, quella di oggi alla Camera dei Deputati. Dietro la formalità dell’ordine del giorno, con il seguito della discussione sulle riforme, c’è infatti tutta l’incognita di queste ore difficili sul futuro stesso delle riforme costituzionali. Appare incredibile, a un’analisi oggettiva dei fatti, del cammino compiuto finora, dei tanti e solenni accordi presi in un anno e più di lavoro, che tutto possa compromettersi.
Perciò rivolgiamo ancora un appello, in queste ore, perché si rinunci a introdurre rigidità preconcette; perché si recuperi pienamente quello spirito costituente che ha animato i comportamenti di ciascuno nei passaggi che si sono susseguiti fin qui. Lo vuole la ragionevolezza, lo vuole un’idea alta del compito che tutti siamo chiamati a svolgere davanti al Paese. Il processo costituente ha una sua caratteristica di fondo: esso non può che fondarsi, insieme, su accordi e su rinunce reciproche. Non potrà esserci mai, come già avvenne cinquant’anni fa, una identità di vedute completa e pacifica.
Anche allora la Costituzione nacque sulla base di accordi e di rinunce. Ed erano tempi nei quali lo scontro ideologico aveva una valenza estrema e divaricante. Oggi, che l’unità prepolitica del Paese è tanto maggiore e tanto più diffusa rispetto a ieri, un tale contesto dovrebbe agevolare la ricerca di un compromesso, di una originalità di soluzione del nostro assetto costituzionale in raccordo con l’Europa e con i problemi di una società avanzata alle soglie del Duemila.
Eppure, d’improvviso, questo processo di rinnovamento viene a trovarsi in bilico, come sospeso sul vuoto di un’incapacità a concludere delle forze politiche. Per parte nostra ci ostiniamo a pensare che non sia così, che il filo del dialogo possa riprendere, in aula o nuovamente in seno alla Commissione bicamerale. E restiamo pronti a discutere tutto ciò che possa migliorare e definire più compiutamente i nodi della forma di governo, del federalismo, delle garanzie.
Altro è, invece, se ciò che sta avvenendo è l’occasione per scorribande e disegni politici che ben poco hanno a che fare con il problema specifico delle riforme. Da tempo, e in particolar modo in queste ultime settimane, si sono accentuati i segni di un’insidia di questo genere. Sono numerosi, questi segni. Passano per i problemi delle alleanze politiche a livello europeo, e finiscono con lo scaricarsi sull’incontro tra riformismo cattolico e riformismo di sinistra che oggi caratterizza la coalizione dell’Ulivo. Quasi un’insofferenza, malcelata in qualcuno, esplicita in altri, per l’alleanza in particolare fra Popolari e Democratici di sinistra.
Se questo è, l’obiettivo dello scontro non sono più le riforme ma il governo del Paese, gli equilibri generali che lo determinano, il tipo di bipolarismo che abbiamo oggi. Che cosa si vuole, che i Popolari vengano assorbiti in un’operazione di snaturamento a destra? Un rovesciamento dei patti che i Popolari hanno stretto con gli elettori due anni fa? Questa possibilità, lo diciamo con chiarezza, non esiste. Perciò se il problema sono le riforme, siamo pronti a discutere. Se è altro, no.

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