Finanziare la politica, per una vera partecipazione popolare

Camera dei Deputati, 29/04/1998

 

Per un bisogno di chiarezza, voglio riconoscere che abbiamo sbagliato quando nel dicembre scorso abbiamo scelto una strada ed una forma, per l’approvazione della legge sul finanziamento ai partiti, che è apparsa in qualche modo frettolosa ed informata quasi ad una sorta di pudica volontà di sottrarsi al giudizio dell’opinione pubblica. Noi sappiamo che le ragioni che hanno indotto una larga maggioranza del Parlamento a scegliere quella strada erano altre; ma ciò non è apparso agli italiani!
Per questo oggi noi non abbiamo alcun timore ad esprimere, con serenità e convinzione, le ragioni del nostro favore a questo provvedimento: non solo perché è stata rimossa la forma impropria di copertura finanziaria, riportando il testo all’interno di una corretta logica di bilancio pubblico e rispondendo quindi positivamente al rilievo puntuale mosso dal Capo dello Stato, ma anche perché questa circostanza ha offerto al Parlamento la possibilità di affrontare con ricchezza di intenzioni il problema vero del finanziamento della politica, sottraendolo a quel clima di timido ed impacciato sussurro che nel passato aveva accompagnato queste discussioni.
In questi giorni abbiamo avvertito la riproposizione – forse meno gridata di quanto non sia avvenuto all’esterno del Parlamento – di una presunta questione di contrasto tra il testo di legge in esame ed il referendum abrogativo del 1993.
Credo che onestamente, al di là delle forzature strumentali, nessuno abbia mai pensato davvero che questa disciplina – che affida ad una scelta libera e volontaria dei cittadini la possibilità di alimentare il finanziamento dei partiti – possa confondersi con la norma oggetto di referendum abrogativo. Lo diciamo con convinzione, rifiutando la tentazione della rivalsa polemica (che pure in questo dibattito in qualche modo avrebbe ragion d’essere), perché pensiamo che la distinzione tra la vecchia legge abrogata dal referendum del 1993 e l’attuale normativa sia chiara a tutti i colleghi intervenuti nel dibattito.
Ho seguito con interesse gli interventi critici ed i rilievi che sono stati mossi, qualche volta non privi di contraddizioni. Ma in questa materia ha fatto chiarezza il Capo dello Stato nel suo messaggio di rinvio, in modo esplicito ed esaustivo. Con tutto il rispetto e la stima per Piscitello ed altri colleghi, che hanno espresso opinioni diverse dalla mia, non ho dubbi nel considerare non solo più autorevole, ma anche conclusivo il parere espresso in materia dal Presidente della Repubblica.
Al collega Piscitello e ad altri vorrei ricordare con garbo e senza intenzione polemica che la loro tenace posizione nella stesura del testo approvato nel mese di dicembre ha concorso in modo non secondario ad alcune deformazioni che hanno consentito di trasformare il finanziamento dei partiti in finanziamento dei singoli deputati.
Credo che su questi aspetti, ma non solo su questi, occorrerà tornare. Nessuno di noi pensa – nessuno lo ha detto – che questa sia la legge migliore. Noi siamo interessati a riprendere un confronto serio sulle questioni che in questi due giorni di discussione sono emerse. La questione vera, quella in qualche modo ancora aperta, riguarda il finanziamento della politica, i costi della nostra democrazia, ma insieme evoca il bisogno di accompagnare al processo generale di riforma del nostro ordinamento costituzionale, a quello affatto concluso di evoluzione del sistema politico italiano, un forte e deciso impegno perché la riforma della politica diventi un obiettivo generale nella nostra comunità nazionale.
Riformare la politica come capacità di farsi carico dei problemi, dei desideri, delle speranze che emergono nella società italiana, per cercare una sintesi più alta, per organizzare la selezione dei gruppi dirigenti, per incoraggiare a favorire la partecipazione alla vita democratica: questo è il compito dei partiti che devono rinnovarsi per ritrovare compiutamente il proprio ruolo originario. Intendiamoci: nessuno vagheggia il ritorno ad un sistema di partiti intrusivi, tramite esclusivo della partecipazione democratica. La società italiana in questi anni è diventata più ricca e matura, ha selezionato strumenti nuovi che oggi svolgono compiti che nei primi anni della nostra esperienza repubblicana erano stati affidati ai partiti.
D’altra parte, le grandi trasformazioni che nel nostro tempo hanno ridimensionato lo stesso ruolo dello Stato non possono non incidere sul ruolo esercitato dai partiti nella realtà italiana. La questione vera che in Italia resta aperta, e che interroga la responsabilità di tutti noi, riguarda il rapporto di fiducia tra i cittadini e le forme di organizzazione della politica, la prospettiva di trovare dentro gli scenari di un nuovo ordinamento di relazione delle comunità intermedie, di allocazione diversa e mutevole degli interessi e dei conflitti, una forma riconoscibile, accogliente e affidabile di partito, che sia coerente con i bisogni delle democrazie moderne.
Sono convinto, e lo dico consapevole dei limiti di un giudizio in questa materia, che la fase destrutturante del sistema politico italiano sia conclusa, che la scelta radicale, massimalista, movimentista, in qualche modo plebiscitaria, semplificatoria della complessità sociale non corrisponda più ai bisogni del nostro tempo politico. Nessuna democrazia del nostro tempo che sia tale può vivere a lungo in assenza di una forma organizzata della politica. Le democrazie europee sono democrazie dei partiti e questo dato è acquisito dai cittadini come normale, come appartenente alla ordinarietà del funzionamento delle istituzioni.
E in tutti i paesi europei esiste un finanziamento non solo organizzato, ma largamente pubblico dei partiti e questo viene avvertito dai cittadini come una circostanza utile, positiva, non certo riprovevole. In Italia non è così. Certamente esistono ragioni che altri colleghi hanno richiamato. Noi sappiamo che non esiste la consapevolezza diffusa che il finanziamento dei partiti sia un appuntamento al quale è interessata la comunità nazionale. Per questo abbiamo il dovere di ricercare un rapporto di reciprocità e di affezione maggiore tra la politica, i partiti e i cittadini, riformando la politica, ritrovando le ragioni per una partecipazione più convinta alla vita pubblica in Italia, ma insieme informando correttamente i cittadini, indicando con chiarezza che l’alternativa alla democrazia partecipata attraverso l’organizzazione della politica produce la deriva personalista, plebiscitaria, che per sua natura diventa elitaria, muscolare, subalterna agli interessi più forti, meno verificabile, più intrusiva nella vita della comunità nazionale, più difficile per i ceti popolari che hanno guadagnato la partecipazione alla vita democratica segnando in questo la conquista più alta di questo secolo di storia che si conclude.
Per queste ragioni guardiamo con preoccupazione la campagna di stampa promossa queste settimane contro questa legge. Non sono in discussione il rispetto e la tolleranza verso chi esprime giudizi critici, anche radicali. È che quando questi giudizi sono veicolati largamente dagli organi di stampa più diffusi, a noi resta solo la tribuna politica. Per questo difendiamo la vita dei partiti, per questo abbiamo interesse ad un dibattito libero e trasparente dentro il Parlamento. Lavoreremo ancora, per affrontare meglio i temi che sono emersi in questi giorni come preminenti, per dare un ordinamento che sia di autonomia della politica e di libertà di scelta dei cittadini, in un paragone teso ed esigente tra i nostri comportamenti e le nostre intenzioni, per guadagnare in questo modo la fiducia ed il consenso dei cittadini.

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