Federalismo si, ma c’è anche dell’altro

Un articolo sulla “Nuova Sardegna” del 9 dicembre ’94. Attenzione ai facili slogan, se non si sostanzia davvero il contenuto delle autonomie e dell’autogoverno. Che cosa insegna in proposito la nostra esperienza regionale.

La Nuova Sardegna, 9 dicembre 1994

 

Il contributo sardo al dibattito sul Federalismo registra in questi mesi un’apprezzabile accelerazione: si tratterà di sintonizzarne l’esito con i tempi della riforma istituzionale all’ordine del giorno del Parlamento.
Il Federalismo sarà un approdo certo di questa riforma: ma i contenuti dello stesso sono una variabile estremamente aperta e in larga misura dipendono da noi.
Se è vera l’idea che la dimensione statuale esprime il luogo di regolazione dei conflitti tra poteri di per sé incapaci di una autonoma regolazione, allora la questione per la Sardegna diventa terribilmente importante.
Sappiamo che i poteri, nel presente tempo politico, sempre più dispiegano la loro efficacia in una dimensione sovranazionale. Lo Stato centrale regola con difficoltà. La Regione eroga, registra l’azione dei veri poteri sulla propria vita e si adegua.
In questa cornice la debolezza dello Stato fa pendant con la dilagante cultura dell’egoismo
Il mezzogiorno appare senza tutela, le autonomie sociali ed economiche sempre più esposte, le autonomie culturali, etniche, etc. ancora più esposte.
Realisticamente in questo Parlamento, la specialità della questione sarda è disconosciuta, come dissipata appare tutta la credibilità che gli anni migliori della nostra storia autonomistica avevano accumulato.
Per invertire questa tendenza occorrerebbe un “contenitore” istituzionale così forte e autonomo da interagire con i grandi poteri saltando la mediazione dello stato nazionale.
Questo non ci viene riconosciuto e per la nostra debolezza politica (le ragioni della nostra specialità non emergono) e per il vissuto dell’Autonomia: le due ragioni si inseguono in nesso circolare di causa ed effetto.
Dobbiamo tenerla presente questa realtà quando parliamo di un nostro progetto di autogoverno nell’orizzonte federalista. Anche perché non ci soccorre la passione politica della gente.
La tendenza storica del nostro tempo va in direzione del disimpegno.
La telecrazia è l’altra faccia di questa tendenza: una simulazione di democrazia partecipata in cui prevale l’aspetto passivo della partecipazione.
In Sardegna insieme alla consuetudine per il consumo delle risorse (non prodotte, ma trasferite) si è affermata la consuetudine a ricevere i messaggi, i modelli, la cultura.
Se questo è vero, dobbiamo sapere che noi corriamo il rischio di consumare il dibattito, ampliando convergenze e divergenze filologiche sui termini di Federalismo, Autonomia, regionalismo: e di mancare clamorosamente il bersaglio.
Prima va precisata la sostanza, il fondamento sociale per la forma istituzionale dell’autogoverno.
Se ci proponiamo di avere come obiettivo la definizione della miglior forma di autogoverno possibile per la Sardegna nell’attuale contesto, dobbiamo prima definire quali sono le ragioni odierne per rivendicare l’autogoverno.
Si ripropone la questione della nostra identità e con essa i dubbi circa la parabola della cultura sarda.
La cultura sarda, l’insieme di convinzioni e convenzioni che hanno regolato la vita comunitaria dei sardi (pur nel divenire del linguaggio degli interessi, delle informazioni e dei modelli) fino a qualche decennio fa, ha subito nel più recente passato una modificazione così profonda da rendere legittimo il quesito in ordine alla sopravvivenza della nostra identità di popolo.
Possiamo massimizzare i giudizi: e scopriremo di volta in volta che l’identità è integra e misconosciuta dalla classi dirigenti oppure che l’identità è dispersa e mantenuta in piedi artificiosamente da minoranze di intellettuali nostalgici.
La verità probabilmente sta in un punto intermedio, non necessariamente equidistante.
E allora dobbiamo interrogarci per conoscere i bisogni, le speranze, i modelli, la memoria consapevole della nostra comunità.
Chiediamoci dove trovi i caratteri del suo specifico un cittadino sardo quando si pone di fronte alla sua storia anche personale, al passato e al futuro.
Sospetto che potremmo scoprire un’identità rivolta al passato.
Quando pensiamo al nostro futuro, anche individuale, pensiamo da cittadini italiani, europei; e quando pensiamo al nostro passato, anche individuale, lo colleghiamo alla nostra insularità, alla storia, all’arte etc.
Esiste il presente, il tramite possibile tra futuro e passato: e questo è segnato dall’ambiente.
L’ambiente, nella sua accezione più larga, non solo, ma tanto, come contesto naturale, assolutamente singolare; ma anche come portato della relazione tra questo luogo naturale e l’uomo, la cultura, l’arte, la musica: è questo il carattere più intensamente percepito come elemento della nostra identità.
Identifica la memoria del nostro passato ma, insieme, viene percepito come qualcosa di vivo nel nostro presente.
Compito della politica deve essere quello di trasformare questa percezione in un sentimento di comune e generale interesse: connettere identità e sviluppo nella coscienza dei sardi.
Questa coscienza della qualità ambientale sarda può essere un fattore – o un’idea fondamentale – al quale collegare il nostro futuro, l’orizzonte dello sviluppo: incorporare questa idea nella produzione, farne una risorsa che ci accomuna, che può renderci più felici, che può farci vincere la competizione, che ci dà una nostra carta da giocare nel mondo, che ci autorizza a sollecitare una nostra dimensione di autogoverno per difenderci meglio.
Non si tratta di rinnegare tante opzioni già definite nella nostra prospettiva di sviluppo economico.
Alcuni passaggi nel nostro futuro sono obbligati: l’integrazione dei settori, la ricerca e l’innovazione, gli investimenti in cultura e processi formativi, la connessione con le grandi reti dell’informazione.
Nessuno può ragionevolmente fare un passo indietro rispetto a questi obiettivi.
Ma questo itinerario non pone in campo l’idea fondamentale che sappia farci sentire legati da un comune interesse e da un comune destino: non chiama in causa il popolo sardo, anzi in qualche modo lo dissolve nella sua identità.
Uno sviluppo economico della Sardegna, privo di una peculiarità “nazionale” nei suoi caratteri di qualità sarà inevitabilmente etero diretto.
Questo per molti non è necessariamente un dramma.
Ma, a quel punto, la rivendicazione dei poteri di autogoverno, sarebbe solo un inutile rito.

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