Le ragioni di un’alleanza

Discorso in Consiglio regionale, settembre 1989

 

Noi partecipiamo a questo dibattito per esprimere il consenso della Democrazia Cristiana intorno al programma indicato dal presidente Floris, ma anche per sottolinea re il significato politico che assume in Sardegna il ritorno di un nostro esponente alla guida della Regione e, insieme, il costituirsi di un nuovo equilibrio di relazioni politiche nel segno delle indicazioni espresse dal corpo elettorale. Ma anche per esprimere con molta franchezza le valutazioni che il gruppo della Democrazia Cristiana fa in ordine alle nostre comuni prospettive.

Noi vogliamo, Signor Presidente, confrontarci, al di là delle espressioni che abbiamo anche questa mattina avvertito, più frutto di sentimenti e forse di risentimenti che di valutazioni serene e compiute, sul futuro di questa legislatura che poi è il futuro della Sardegna, il nostro domani, esaltando la dignità di quest’Aula che spesso è stata minacciata dal quel declino della politica di cui tante volte abbiamo insieme parlato.
Il problema del declino della politica, il rischio dello svuotamento della funzione dell’Aula del Consiglio regionale è stato riproposto facendo riferimento al dilatarsi della esasperazione tattica che in qualche modo governa alcuni processi della politica, e forse ha governato anche rece temente alcuni processi della nostra politica portando allo spostamento dei poteri fuori dall’istituzione che noi rappresentiamo.
A me è capitato più volte nella scorsa legislatura di porre questo stesso problema, registrando scarsa sensibilità mi pare, da parte della maggioranza che governava la Regione. Ma mi fa piacere che questo problema sia stato riproposto ora in quest’Aula dal segretario del Partito comunista.

Il funzionamento pieno di un regime democratico con l’alternanza dei ruoli può facilitare una presa di coscienza più matura intorno ai problemi delle istituzioni, alla centralità del Consiglio regionale e della rappresentanza eletti ed agevolare quindi un processo di riforma della politica alla quale tutti quanti siamo in qualche modo chiamati senza distinzioni al nostro interno. Ed allora dobbiamo confrontarci, non concedendo spazio alle inclinazioni, che pure sono presenti, per trasferire nel dibattito politico il carico delle insoddisfazioni vecchie e recenti, e dei risentimenti che attengono alla sfera dei sentimenti individuali, per ritrovare piena la titolarità di protagonisti dell’autonomia regionale, di espressione alta di un mandato che non possiamo declinare come un mestiere.

E noi indicheremo i motivi per cui la Democrazia Cristiana guarda con fiducia alla fase nuova che si è aperta nelle relazioni politiche in Sardegna, ma più ancora al disegno di governo che il Presidente Floris ha tracciato nel suo discorso programmatico.

Siamo, per quello che ci riguarda, impegnati a garantire il massimo di sollecitudine e di intenzione perché questa esperienza di governo nel suo farsi e nel suo misurarsi con i problemi della Sardegna possa consolidare le ragioni di coesione e di solidarietà politica della maggioranza.

Il Presidente ha già sottolineato nel suo discorso programmatico le ragioni politiche e di programma che hanno reso possibile la costituzione di un’alleanza tra la Democrazia Cristiana e i partiti di democrazia laica e socialista.

A questi partiti ci ha legato e ci lega una lunga tradizione di dialogo e di collaborazione che riteniamo essere stata essenziale ragione della eccezionale crescita del nostro Paese e, insieme, condizione di salvaguardia del pluralismo politico italiano con l’esaltazione del contributo originale di ciascuno, ma ci lega anche un’esperienza lunga di governo in Sardegna. Ne crediamo che la nona legislatura abbia in qualche modo cancellato le affinità maturate in un periodo non breve di comune responsabilità.

L’alleanza che sostiene la Giunta Floris deriva da un confronto dialettico e di pari dignità sui programmi, sui progetti e sulle cose da fare, ma insieme dalla consapevolezza di una comune sensibilità alla domanda politica espressa l’11 di giugno, e ancora dalla convinzione non astratta, rituale, o peggio, passivamente subita, che lo stato dei rapporti tra i partiti – come diceva l’onorevole Cabras renda più adeguata, nell’interesse della Sardegna, la maggioranza che si è formata, non perché la si ritenga una sorta di condizione unica ed eterna di stabilità, ma perché crediamo, e come noi i partiti alleati, essere questa la condizione più idonea, in questo momento politico e nell’orizzonte di questa legislatura, per tentare di governare processi di trasformazione della nostra Regione nella cornice più generale di cambiamenti, di trasformazioni e di a più largo sviluppo che investono la comunità nazionale.

Ecco Signor Presidente, non esiste un atteggiamento omologazione subalterna agli equilibri della maggioranza nazionale. E’ segno di debolezza culturale la tendenza ci ogni tanto riemerge di fare dietrologia intorno alle sedi nel le quali si decidono le cose che ci riguardano. E’ semmai invece, nella comune, libera e convinta partecipazione dispiegarsi di una più generale azione di governo che al fondano le radici di una coesione nata in Sardegna dai comune valutazione dell’itinerario che dobbiamo percorre re nella nostra Regione.

Questa alleanza, questa maggioranza, non sono per n una gabbia entro cui chiudere qualcuno, né la nostra ricerca di una comune strategia per lo sviluppo delle Sardegna è qualcosa di vincolante per gli altri più di quanto noni sia per noi stessi. E tuttavia noi non vogliamo caricare questo passaggio politico di una inutile enfasi.

Abbiamo contrastato cinque anni fa i toni di una svo1 elevata, nelle imprudenti espressioni dell’ onorevole Melis, alla dignità di una categoria morale e abbiamo poi assistito al progressivo inaridirsi di questa esperienza, alla crescente insoddisfazione dei protagonisti e dei numerosi sostenitori esterni.
L’onorevole Emanuele Sanna, che intervenendo nel dibattito della passata riunione ha espresso delle valutazioni di segno diverso, sembra aver cancellato, con agile rimozione, i sentimenti di delusione e le espressioni di profondo dissenso che l’ultimo Congresso del suo Partito aveva registrato.

Io non insisterò, lo abbiamo fatto puntualmente per cinque anni, nelle valutazioni di quell’esperienza di governo, ma conta richiamare, perché non sembri fatto marginale, che il giudizio su quell’esperienza lo ha espresso il corpo elettorale.

Io ho seguito con rispetto e con attenzione gli interventi dell’onorevole Sanna, dell’onorevole Scano e oggi dell’onorevole Giorgio Ladu, e mi sembra sia riemersa non tanto (però è presente) la comprensibile nostalgia per la propria esperienza governativa, quanto la riproduzione, questa inaccettabile, di una congettura che aveva accompagnato cinque anni fa la nascita della Giunta Melis.

La congettura secondo la quale l’esclusione della Democrazia Cristiana dal Governo rappresentasse di per sé un elemento progressivo di crescita e di sviluppo della Sardegna, la stessa secondo la quale tutto il nuovo, il moderno, il positivo, sia identificabile nel Partito Comunista Italia che assegna polarità positiva nuova e moderna alle coalizioni per il solo fatto che esso vi partecipi.

Il segretario del Partito comunista oggi ripropone con scarsi aggiornamenti questo schema, facendo discende dalla partecipazione della Democrazia Cristiana al governo un segno di negazione, di vecchio, di restaurazione. Altri hanno esteso lo schema: la riproposizione di quanto già è stato appare di per sé cosa vecchia, un ritorno al passato per questo carico di negatività. Se questo fosse la riproduzione di una giunta di sinistra, che è stata per quasi otto anni negli ultimi dieci, sarebbe anch’essa un ritorno vecchio!
Ma questo, in verità, mi appare più un residuo di vecchio ideologismo nominalista dal quale il Partito Comunista sardo è incapace o sembra incapace di liberarsi.

Noi immaginiamo che, il cambiamento possa discende dai contenuti della politica, da quelli che sapremo dispiegare e non derivare dalla nostra presenza all’interno del governo delle istituzioni.

Su questa ipotesi abbiamo scommesso e scommettiamo una parte non trascurabile del nostro destino nella decima legislatura, perché su questa ipotesi abbiamo costruito una parte non trascurabile del nostro ritrovato consenso.

I rilievi che abbiamo avvertito anche oggi circa una logica di puro potere che avrebbe caratterizzato la gestazione di questo governo regionale, nella loro pluralità di espressioni pongono la contraddittoria affermazione che la Democrazia Cristiana avrebbe conquistato il ruolo che oggi interpreta in ragione di contrattazioni di esclusivo potere e parallelamente, si dice che però avrebbe svenduto in termini di potere in cambio io credo di una logica politica.

Ma passiamo alle sorti di questo governo ed al suo rapporto con il Consiglio.

A noi spetterà, e il mio partito ha la consapevolezza che questo e un compito non rinviabile, mettere in campo risolutamente tutta la nostra natura popolare, la nostra vocazione di solidarietà. Non accettiamo un ruolo di stanca retroguardia. Non intendiamo consentire che dietro il feticcio di una improbabile modernità si dissimulino atteggiamenti subalterni e interessi più forti Abbiamo smesso di pensare, semmai questo è stato, che la solidarietà possa andare d’accordo con la inefficienza delle istituzioni e con la pura occupazione del potere al centro della nostra politica sono i bisogni dei sardi e questi bisogni, quelli della parte più debole della nostra società, di quella parte che rimane esclusa e lontana, che e rimasta esclusa e lontana anche nei passati cinque anni, questi bisogni e queste aspirazioni riguardano la nostra sensibilità, la nostra cultura, la nostra storia assai più di quanto non capiti ad altri.

Ci sarà dunque una grande competizione in quest’Aula e nella società sarda.

Non ci è congeniale la sfida, ma neppure vogliamo subire ruoli che ci siano stati ritagliati da altri. Signor Presidente, la Giunta e la maggioranza vogliono caratterizzarsi non per la ricerca pregiudiziale di contrapposizioni, di negazioni di un passato come tutto uguale e indistinto. AI contrario, per la capacità di coinvolgere il Consiglio regionale ma insieme ad esso la pluralità delle forze sociali, del le istituzioni locali, intorno al programma di governo e quello più ambizioso di una Autonomia più partecipata.
In un regime di democrazia compiuta, rimosse e negate le opzioni consociative, noi conveniamo con l’onorevole Scano sul rapporto di fondamentale alternatività tra il suo partito ed il nostro, improntato alla competizione per il consenso, e proprio in ragione di questa chiarezza il nostro confronto dovrà essere più serrato e più laico.

Esistono spazi inesplorati della nostra Autonomia pei costruire un livello più elevato di partecipazione e di rappresentanza intorno alle grandi questioni dello Statuto, della Rinascita, della riforma elettorale, dei grandi temi che potrebbero disegnare le nuove coordinate del nostro impianto istituzionale.
Ma noi ci impegniamo a ricercare in ogni circostanza, nella chiarezza dei ruoli, la migliore qualità dei rapporti politici in questo Consiglio.

Una particolare attenzione sentiamo di rivolgere al Partito Sardo d’Azione. Abbiamo registrato anche recente mente i segni di un dibattito interno serio e fortemente motivato. Sappiamo persistere, allo stato degli atti, elementi non marginali di divaricazione nei programmi e nelle questioni politiche rispetto all’attuale maggioranza. Ma noi pensiamo che l’esperienza di governo e la responsabilità primaria di guida del governo nella passata legislatura non saranno influenti nel percorso ideale di una politica che insieme alla percezione sensibile e attenta dei bisogni, sappia trovare nel concreto operare della realtà autonomistica risposte e proposizioni compatibili e praticabili.

Valuteremo insieme ai partiti della maggioranza l’evoluzione dei nostri rapporti, senza pregiudizi e senza finalità diverse che non siano quelle di allargare l’area del consenso intorno all’istituto della nostra Autonomia.

Signor Presidente la condizione della nostra Autonomia resta il riferimento indispensabile al quale ancorare i nostri ragionamenti Sulla valutazione della crisi sarda abbiamo in più occasioni confrontato le nostre valutazioni, spesso discordi.

Può essere che la diversità di valutazione trovasse un qualche condizionamento di parte per i ruoli esercitati Per quanto mi riguarda continuo a credere che la Sardegna viva una condizione di ritardo crescente rispetto al Mezzogiorno, a quello più dinamico che in questi anni ha modificato, spesso, sconvolto, i termini del tradizionale meridionalismo. Non ho condiviso e continuo a dissentire dagli ottimismi interessati di chi negli ultimi mesi della scorsa legislatura ha creduto di esaltare e amplificare una presunta inversione di tendenza.

Noi non possiamo permetterci di scambiare per nuova imprenditoria matura e competitiva le schegge e i frammenti di una animazione economica interamente derivata da trasferimenti pubblici, saldamente intrecciata con la dilatazione dei consumi che quei trasferimenti hanno alimentato, ma totalmente incapaci, allo stato, di innescare modelli di sviluppo autogenerati.

Senza inutili ottimismi, ma certamente senza assumere, atteggiamenti di rinuncia o di autoflagellazione, dobbiamo guardare con rigore ai termini della crisi sarda che è la crisi di un sistema dipendente, strutturalmente debole. Nessuna delle ragioni strutturali di crisi in questi ultimi anni è sta rimossa, nessuna azione organica è stata concretamente avviata (certo, è stata pensata, ma non è stata concretamente attivata) col fine di ridurre le condizioni di svantaggio per l’esercizio di attività competitive. Gli esperimenti sono calati in misura crescente. Il rapporto tra le importazioni e le esportazioni ha segnato il rosso sempre, e il tasso di produttività del sistema sardo – lo ricordava nei giorni scorsi il professor Savona – è andato contraendosi vistosamente rispetto alla dinamica positiva del nostro paese e delle regio. ni più vivaci del Mezzogiorno.

Ma con la stessa franchezza dobbiamo dirci che il dibattito e l’elaborazione politica intorno ad una possibile offerta di governo rispetto a questa crisi, rispetto a questi problemi, non parte in Sardegna da zero e che sono maturate linee e indirizzi fortemente unitari. Noi abbiamo il dovere di non esaurire questa fase politica, di non esaurire la decima legislazione discutendo delle reciproche responsabilità del passato.
Abbiamo il dovere di guardare al nostro futuro, ricercando tutti gli elementi positivi di convergenza nell’interesse generale della Sardegna, e prima di tutto, riproponendo alcuni obiettivi sui quali nella passata legislatura si è segnata una forte convergenza delle forze autonomistiche.

L’obiettivo apparso unificante in questi anni di dibattito è stato quello di ricondurre l’intervento straordinario dello Stato verso una politica di trasformazione che manovri i fattori strutturali creando le precondizioni essenziali dello sviluppo, dalle grandi reti ai trasporti, all’energia, alla diffusione, come si dice, dell’effetto urbano, alla individuazione di un sistema selettivo di esenzioni fiscali finalizzate alla produzione.

Ma insieme abbiano individuato come strada da percorrere una innovazione profonda del nostro sistema di programmazione e specialmente nell’ambito della politica delle risorse, mettendoci in sintonia con i nuovi moduli della finanza statale e comunitaria che tende a comprimere le destinazioni dirette e a incrementare invece i fondi finalizzati a specifici obiettivi di sviluppo.

Le risorse, gli investimenti, si orientano sempre più attraverso i grandi programmi, per l’ambiente, per la ricerca, per l’innovazione, per le comunicazioni ecc. Ecco allora che per stare dentro questo circuito, per stare dentro questi moduli nuovi dei rapporti tra la programmazione che ha dimensioni non regionali, forse non più nazionali, occorre pensare un approccio diverso rispetto al l’istituto autonomistico. Un approccio che cerchi di uscii dagli schemi di una vecchia programmazione che in qualche misura è stata figlia di tutti noi, che in qualche misura tutti noi abbiamo concorso ad elaborare. E tanto più ci turba modificare i nostri tradizionali schemi di politica di programmazione tanto più quei moduli rimarranno in gran parte inattivati. Per stare dentro il circuito della nuova programmazione, dei nuovi rapporti della programmazione, servono insieme una elevata capacità e qualità propositiva e un forte potere negoziale. Allora dobbiamo da un lato modificare le tendenze, i moduli di approccio, le spinte alla frammentazione, che sono emerse e abbiamo individuato nelle prime esperienze di partecipazione all’intervento straordinario per il Mezzogiorno e che abbiamo in più occasioni sottolineato – anche lì forse non in un atteggiamento di contrapposizione ma come sentimento, come avvertimento comune alle forze politiche e che solo in ragione di un diverso ruolo rispetto all’esercizio del governo ha trovato momenti di divergenza – un diverso modulo che non tenda a frammentare le opportunità di partecipazione all’intervento straordinario ma ad individuare all’interno dei progetti e dei programmi, una partecipazione che nella qualità delle proposizioni trovi la forza maggiore per essere dentro i circuiti della programmazione. Ma insieme a questo l’altro elemento fondamentale, dicevo, è quello di sviluppare una nuova grande iniziativa di affermazione della nostra speciale soggettualità politica, della nostra Autonomia.

Si tratta quindi di riproporre, aggiornandoli, i termini della nostra specialità, della questione della Sardegna che in qualche misura al di là delle nostre intenzioni o per l’effetto dei nostri comportamenti, del nostro operare, nelle relazioni interne ed esterne della politica nazionale, in qualche misura è andata scemando nella sensibilità, nell’attenzione del Parlamento e dei governi nazionali.

Quindi il primo problema, l’obiettivo principale, che non può che essere obiettivo comune dell’Autonomia regionale, è quello di riproporre all’attenzione del nostro paese la questione sarda.

Le tendenze in corso, il generale appannamento del ruolo delle Regioni a statuto speciale, il rischio di ridurre la nostra dimensione autonomistica a uno sportello per il trasferimento delle risorse dallo Stato ai soggetti minori, ai comuni, ai consorzi, che diventano gestori di servizi nella loro dimensione finale, sottraendo un ruolo centrale a quello che noi avevamo pensato e continuiamo a pensare essere il ruolo della Regione.

Allora dobbiamo riproporre, io credo, le ragioni della nostra specialità, dobbiamo rendere attuale la questione sarda. Non basterà richiamare tutti gli indicatori della nostra economia che pure qualificano la Sardegna come una Regione esterna ai processi di crescita, indietro rispetto alle punte più forti delle sviluppo nazionale e meridionale.

Non basterà solo riproporre gli indicatori economici. Si tratterà di riproporre con forza i caratteri originali della specialità della questione sarda, partendo dalla sua insularità e dal tragitto della storia, della cultura, della qualità e della quantità degli insediamenti, che in qualche misura discendono dalla insularità e di richiamare il malessere specifico della Sardegna nella sua articolazione territoriale, ma affrontando il differenziale di produttività che è insieme causa ed effetto di una spirale di arretratezza del nostro sistema.
Su questi obiettivi, io credo che esista una larga convergenza: ma sarà sulla coerenza del nostro operare rispetto a questi obiettivi che si misurerà il confronto e la competizione politica.

E tuttavia due problemi prima di concludere mi pare debbano essere richiamati come emergenti, come parte di quei problemi generali sui quali dovremo presto esprimere nei comportamenti e nelle scelte la coerenza rispetto a questa tendenza. Il primo è la necessità, che avvertiamo forte, di coniugare lo sviluppo e l’occupazione. Per muoverci nella direzione giusta, quella dello sviluppo, dovremo canalizzare ingenti risorse in investimenti produttivi, in servizi innovativi, in generale in politiche di grande e strutturale trasformazione. Ma sappiamo che nel breve periodo queste politiche non producono occupazione, anzi tendenzialmente la contraggono. Per converso, avvertiamo quanto il problema della disoccupazione continui ad essere in Sardegna il problema dell’emergenza principale. La dimensione della disoccupazione è tale che non possiamo permetterci di confrontare polemicamente le cifre perché avvertiamo essere il problema della disoccupazione problema esistenziale nella totalità della famiglie sarde.

Da questa consapevolezza è nato il piano straordinario per l’occupazione e per il lavoro, che però impegna ingenti risorse, rischiando di sottrarle a quel disegno di crescita e di sviluppo che per converso ne avrebbe altrettanta necessita.

Ecco allora il primo snodo: coniugare queste due emergenze, queste due forti esigenze apparentemente divergenti.

Il Presidente della Giunta regionale ha indicato una strada. Ma l’esigenza che l’attuazione del Piano per l’occupazione risponda a requisiti di qualità impone, in sede esecutiva, una partecipazione più larga. L’Agenzia, le forze sociali, le Comunità locali devono essere coinvolte nell’attuazione del Piano per l’occupazione, non sul terreno di una diffusione del potere clientelare come si è in qualche misura ipotizzato, ma sul piano alto di una comune strategia che, se sarà avvertita come esigenza comune, potrà dare gambe per camminare al bisogno forte che avvertiamo di ricongiungere queste due esigenze.
Il secondo problema è quello dell’ambiente e dello sviluppo. La dicotomia che sarebbe in qualche misura irriducibile ed è propria della nostra modernità, va risolta senza danno per l’ambiente. L’uso intelligente delle risorse ambientali può e deve produrre sviluppo. Ma dobbiamo dirci sin d’ora che nessun utile, in termini di crescita, di occupazione, di reddito, può giustificare la mortificazione dell’ambiente. Questa è la premessa da cui muoveremo nella riapprovazione della legge urbanistica. La legge urbanistica non dovrà restare fatto isolato, ma anzi la cornice generale di un intervento organico di politica ambientale strettamente intrecciata con la più generale politica di programmazione.

Ecco Signor Presidente, queste considerazioni per esprimere il senso del nostro sostegno alla nuova Giunta regionale, e agli indirizzi di programma dichiarati.

Il Gruppo della Democrazia Cristiana con convinzione e con grande determinazione intende sostenere l’azione del Presidente Floris e della Giunta: la nostra ambizione sarà quella di saldare sulla frontiere dell’Autonomia un rapporto più persuasivo tra la società, la persona e le istituzioni.
Con grande umiltà, ma anche con grande consapevolezza del ruolo che occupiamo in questo Consiglio, faremo la nostra parte, nell’interesse della Sardegna.

PRIVACY POLICY