Devolution

 

La riforma della Parte II della Costituzione arriva in Parlamento in un clima di improvvisazione e attacco alle prerogative regionali. Manca un filo conduttore che leghi le varie parti del disegno di legge, una perversa logica di frammentazione porta ad assegnare la competenza esclusiva su numerose materie complesse sia allo Stato sia alle regioni. Una sola cosa è chiara: il mantenimento in vita dell’attuale coalizione di governo va perseguito con ogni mezzo.
Devolution,  29/09/2004

 

Signor Presidente, credo che questa riformulazione dell’articolo 120 sveli con chiarezza il profilo di estrema improvvisazione che qualifica l’intera operazione di riscrittura della Costituzione, su cui in questi giorni discutiamo.
Il secondo comma cancella sostanzialmente la rivoluzione dell’articolo 117, che attualmente è vigente.
Lo voglio dire, perché si è assecondata, anche da parte di molti rappresentanti della mia parte politica, del centrosinistra, l’idea che la riforma del Titolo V, operata nella scorsa legislatura, fosse figlia di una improvvisazione dell’ultima ora, compiuta a maggioranza ristretta, ignorando il confronto democratico all’interno di questo Parlamento e, quindi, di fatto, legittimando la nuova maggioranza, in questa legislatura, ad operare con la stessa semplificazione e con la stessa improvvisazione la riforma della Costituzione.
Voglio dire che così non è! Non è vero! È falso sostenere che nella scorsa legislatura si è riformata la Costituzione con un colpo di maggioranza dell’ultima ora, con pochi voti di scarto.
Quel testo che noi abbiano approvato alla fine della scorsa legislatura è figlio, espressamente, esplicitamente figlio della Commissione bicamerale, è figlio di un voto di questa Assemblea e dell’Assemblea dei senatori riuniti che hanno approvato quel testo, è figlio di una rielaborazione che è avvenuta nelle Commissioni della Camera e del Senato, è figlio di una richiesta corale, uniforme, di tutti i presidenti delle regioni, di qualunque colore politico, che chiedevano, nella scorsa legislatura, l’approvazione di quel testo di revisione del Titolo V per rendere coerenti le riforme fatte a legislazione vigente dalla Bassanini con l’impalcatura costituzionale.
Noi decidemmo all’ultima ora – io non ho mai rinnegato quella decisione – e trovo che sia assolutamente immorale l’atteggiamento di quanti, avendo condiviso quella decisione, oggi la rinnegano, anche se appartengono alla mia parte.
Noi abbiamo scelto di farlo quando è emerso con chiarezza che l’opposizione di allora impediva l’approvazione della riforma del Titolo V esclusivamente per un presunto calcolo elettorale.
Ci siamo assunti la responsabilità di portare a termine una riforma costituzionale che aveva impegnato l’intera legislatura e che aveva visto il consenso di quasi tutti i partiti presenti in Parlamento, ad esclusione della Lega Nord.
Ebbene, tale riforma, che è stata successivamente confermata da una referendum popolare, amico Rizzi (dunque, anche con il consenso degli italiani), aveva come obiettivo fondamentale quello di accorciare il nesso che lega il cittadino alle istituzioni.
L’operazione di grande rivoluzione compiuta dal nuovo articolo 117 andava in tale direzione, affermando che tutti i poteri venivano assegnati alle regioni, ad eccezione delle materie espressamente riservate alla competenza esclusiva dello Stato.
Rispetto alla complessità delle materie, allora si scelse, consapevolmente e comunemente, la via di un rapporto pattizio tra le regioni e lo Stato, e si individuò nella competenza concorrente il terreno sul quale potesse maturare un grande accordo, improntato alla solidarietà, tra le regioni e lo Stato.
Orbene, vorrei osservare che oggi non si affronta un cambiamento del Titolo V della Costituzione in nome di un principio diverso.
Avrei capito se oggi, maturata una diversa coscienza nel paese, si fosse sostenuto che è sbagliato trasferire così tanti poteri alle regioni e che occorre che lo Stato si riappropri della competenza in numerose materie; ciò sarebbe stato corretto, avremmo aperto un confronto leale all’intero del Parlamento ed avremmo scelto una strada.
Sarebbe stato altrettanto corretto – pur non condividendo noi quell’obiettivo, ovviamente – se si fosse scelto di trasferire ulteriori poteri alle regioni, riducendo ulteriormente le materie di competenza esclusiva dello Stato.
Si è optato, invece, per un intreccio perverso di frammentazione delle materie complesse, attraverso un’attribuzione un po’ a una parte e un po’ all’altra, assegnando la competenza esclusiva sulle medesime materie sia allo Stato, sia alle regioni.
È stata quindi operata una finzione, maturata attraverso un confronto non interno al Parlamento, perché il testo in discussione è stato rielaborato e rivisto più volte, e il Parlamento lo ha potuto esaminare, nella sua formulazione conclusiva, soltanto qualche giorno fa.
Ebbene, tale testo vede il tentativo di conciliare tendenze tra loro così inconciliabili per consentire, da una parte, agli amici e colleghi della Lega di poter affermare che, in fondo, si ritengono soddisfatti, e dall’altra all’onorevole Follini di mascherare la resa politica che si è verificata nel corso di questa estate, rispetto ai numerosi ultimatum inutilmente lanciati.
In queste condizioni, il nuovo articolo 120 della Costituzione introduce una “clausola dissolvente”, che di fatto affida al Governo la valutazione, assolutamente discrezionale, della coerenza delle decisioni assunte dalle regioni in materie di competenza esclusiva delle regioni stesse, rispetto alle finalità generali fissate da una legge dello Stato.
Il Governo dell’Italia, in sostanza, potrà stabilire in qualsiasi momento, in nome di una mancata coerenza delle regioni rispetto alle finalità previste dal primo comma del nuovo articolo 120 della Costituzione, che i poteri delle regioni vengano revocati anche nelle materie di loro competenza esclusiva.
Il risultato finale, dunque, è che questa riforma costituzionale realizza un’operazione a somma zero.
Al di là di una valutazione generale, che ci induce ad assumere un atteggiamento di opposizione rispetto al testo del provvedimento di riforma che stiamo complessivamente esaminando, vorrei osservare che, in ordine a tale articolo, è chiara la volontà di mascherare, attraverso un’operazione confusa, un presunto accordo politico, che viene raggiunto sulle spalle della nostra Costituzione, riducendo a brandelli i suoi articoli per poi offrirli, come trofeo, un po’ a una parte e un po’ all’altra dei partiti che compongono l’attuale maggioranza.
Per questo motivo, preannunzio la nostra contrarietà all’approvazione dell’articolo 36 del disegno di legge costituzionale in esame (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L’Ulivo e dei Democratici di sinistra-L’Ulivo).

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