Un’alternativa per il governo della Sardegna

 

Le elezioni regionali sono oramai alle porte, la scelta del candidato del centro-sinistra alla presidenza della Regione non è ulteriormente rinviabile. Va marcata una forte discontinuità con le scelte, gli indirizzi, i comportamenti posti in essere dalla giunta di centro-destra. È il tempo per indicare un progetto alternativo.
Congresso Margherita Sardegna, 7-8/11/2003

 

Vedo più di un rischio in questa fase della politica sarda.
Il primo è che noi stiamo consumando le nostre energie per una discussione tutta interna.
Lo stesso confronto sul candidato Presidente troppo spesso ha assunto questo profilo. Non mi sottrarrò al dovere di affrontare questo argomento. Ma prima voglio segnalare un altro rischio: quello che passino in secondo piano le questioni vere.
Le questioni della Sardegna, le nostre idee di governo, le ragioni della nostra opposizione ai governi della destra in Italia e in Sardegna. In questi giorni, anche nei nostri congressi provinciali, mi è sembrato che sotto accusa fosse la politica, l’indistinto della politica e non gli uomini e i partiti che governano l’Italia e la Sardegna.
L’insoddisfazione dei cittadini è così grande che può travolgere ogni istituzione e ogni responsabilità.
E noi non possiamo tacere – è stato detto da molti – delle responsabilità che pure l’opposizione ha avuto nel corso di questi anni. Ma faremmo un errore imperdonabile se non segnalassimo le differenze. E faremmo un gran regalo ai partiti della destra, se dovessimo consumare questa stagione parlando di noi e tacendo dei nostri avversari.
Francesco Rutelli dirà dello sfascio che il governo Berlusconi sta producendo nel tessuto della nostre istituzioni e della nostra economia.
A me preme sottolineare piuttosto che in questi anni la Sardegna ha pagato un tributo altissimo alla cattiva politica, alla instabilità, all’avventura di leadership regionali presuntuose e incompetenti, impegnate a tutelare interessi particolari, indifferenti a quelli generali dei sardi e spesso in conflitto con gli stessi.
La Sardegna è rimasta ferma, immobile e inerte mentre tutto intorno a noi cambiava. Non ha partecipato al processo di riforma costituzionale, non ha espresso una sola opinione sulla riforma del titolo V, non ha usato i suoi poteri per anticipare, modificare, interloquire sui temi dello Statuto e della legge elettorale.
I governi della destra in Sardegna hanno accresciuto le debolezze storiche. Energia, acqua, infrastrutture sono rimaste parole prive di progetti e risorse. Sono la cifra di un fallimento. Non c’è un solo punto dell’intesa Stato/Regione siglata da Federico Palomba con il governo del Centro Sinistra che abbia fatto un passo avanti.
Hanno contemplato e contemplano la crisi del sistema industriale sardo come si assiste alle calamità naturali, guardano la crisi delle nostre campagne, la rabbia dei pastori come un inutile fastidio.
E la Sardegna vive la crisi terribile del suo territorio: con le coste esposte all’arbitrio e al saccheggio in assenza di piani e di tutela, le aree interne destinate ad una lenta agonia, abbandonate dai giovani, frequentate da vecchi e poveri, con i piccoli comuni che vanno spegnendosi cancellando le tracce della nostra storia, della cultura e della lingua, delle tradizioni, delle radici, della nostra identità.
Il dissesto del bilancio della Regione irrigidito e appesantito dai debiti e dal fardello di enti inutili e improduttivi, segnala la misura di questo fallimento.
In questo quadro il centro sinistra si candida per governare la Sardegna. Penso che dovremo indicare con chiarezza la nostra direzione di senso.
Marcare una forte discontinuità/alternatività con le scelte, gli indirizzi, i comportamenti che hanno segnato la vita di questa legislatura. Un Governo, forte, stabile, autorevole, democratico. Un governo riconoscibile dai sardi come espressione sincera di quel comune sentire che va al di là delle divisioni di parte, che è il fondamento della nostra autonomia speciale.
E al fondo della nostra comune appartenenza esiste un forte sentimento identitario, la coscienza di essere un popolo, l’ambizione all’autogoverno, il bisogno di alimentare il nesso che lega la comunità dei sardi a quella dello Stato italiano in termini di reciprocità, fiducia e rispetto ricambiati.
Dobbiamo ritrovare la sintonia della nostra politica con questo sentimento popolare. Penso a uomini come Paolo Dettori e Mario Melis che hanno saputo dare forma politica a questa aspirazione.
Certo non penso ai modesti vassalli che fanno a gara per servire il Cavaliere in livrea, nella sua corte estiva. Certo non penso a Mauro Pili, che da Presidente della Regione non è riuscito a dire una parola sulla vicenda delle scorie nucleari quando noi in Parlamento e i sardi in ogni casa alzavano una barriera di protesta. Caro Francesco, qui abbiamo al governo della Regione gente più servile di Giovanardi!
Penso ad un governo che esprima insieme il carattere della concretezza e quello dell’utopia. La concretezza dei comportamenti, delle misure, delle azioni e, insieme, l’utopia della buona politica che si alimenta di un grande traguardo, di un disegno che va al di là delle nostre biografie. Perché le biografie si consumano, i progetti rimangono.
La convenzione del 18 luglio ha indicato i fondamentali del nostro programma di governo.
Noi dobbiamo sviluppare quelle indicazioni. A partire dai capitali di cui disponiamo.
Capitale sociale: la capacità di creare sinergie e relazioni forti per proteggere le nostre conquiste economiche e sociali e rivendicarne di nuove;
Capitale umano: con un grande investimento nella formazione dei giovani perché siano aperti verso l’innovazione e sappiano leggere i mercati con un approccio imprenditoriale e con propensione al rischio;
Capitale finanziario: trasformato in reale supporto all’economia e non solo regolatore asettico di processi economici talvolta vecchi e per niente vicini alle nuove tendenze del mercato;
Capitale culturale: perché il nostro patrimonio di saperi antichi, di testimonianze materiali della civiltà sarda diventi un attrattore, non commercializzabile, di flussi turistici e scientifici.
Capitale ambientale: la risorsa più importante, strategica per il nostro futuro. Il giusto equilibrio che sapremo trovare tra protezione e fruibilità sarà determinante per gli anni a venire.
Vedi Francesco, in Sardegna siamo pochi e abbiamo un territorio così esteso e dotato di ricchezze da poter garantire condizioni di benessere a tutti i residenti.
Abbiamo ricchezze naturali capaci di generare benefici turistici importanti, territori suscettibili di utilizzi agricoli, zootecnici, naturalistici; abbiamo miniere e cave di valore. Abbiamo un patrimonio di tradizioni, di culture, di storia che genera sempre più interesse ed attrazione per la nostra terra.
E tuttavia dobbiamo vincere la sfida contro la tentazione di guardare al passato, di pensare al futuro come un tempo peggiore.
Dobbiamo acquistare la consapevolezza che le ricchezze naturali, da sole, non generano benessere se non sono utilizzate con intelligenza, cultura di impresa e conoscenza profonda del mercato globale e delle sue regole. Dobbiamo essere capaci di trarre da ciascuna di queste doti naturali un beneficio compatibile con la salvaguardia dell’ambiente che lo genera.
Nel turismo la Sardegna deve essere sempre più un’isola a 5 stelle. La ricchezza del suo ambiente costiero e del suo interno sono una attrazione fortissima ma, allo stesso tempo, hanno una fragilità che non può sopportare presenze indiscriminate.
Da anni sostengo che il modello di economia turistica vigente debba essere profondamente modificato, scommettendo sulla qualità e sull’integrazione dei settori produttivi piuttosto che nello sviluppo delle quantità edilizie.
Il turismo interno è la vera scommessa dei prossimi anni per guidare una ricomposizione dell’assetto territoriale della Sardegna, per restituire un senso alla vita nei piccoli comuni.
Occorrono regole severe, progetti e risorse.
In agricoltura, nella zootecnia, nelle attività estrattive dobbiamo aggiungere valore a ciò che la natura ci ha riservato, verticalizzando e affinando le produzioni.
Dobbiamo creare un riconoscimento di valore, da parte dei mercati, per il marchio Sardegna e dobbiamo saperlo trasferire a tutte le produzioni della nostra terra. E, infine, dobbiamo saper guardare all’innovazione ed alle nuove tecnologie senza subalternità culturali e senza alterigia intellettuale.
I nuovi saperi della scienza e della ricerca non fanno parte delle tradizioni storiche di nessuna terra e, per questo, possono e devono essere anche nostri, perché abbiamo le intelligenze, le competenze e qualità ambientali per ospitare centri di ricerca d’avanguardia anche nelle nuove frontiere non solo della scienza ma anche delle applicazioni industriali.
Questi obiettivi non si raggiungono né con facilità né in un periodo molto breve. Per questa ragione devono essere condivisi da molti e per molto tempo ed il loro perseguimento non può essere affidato né a singole persone né ad unica forza politica.
E poi, dovremo riguadagnare la fiducia dei cittadini nella politica. Non esorcizzando i problemi ma assumendo responsabilità.
Non è più di moda, di questi tempi, parlare di moralità in politica ed anzi ci si sta abituando, in un processo di semplificazione pericoloso, ad attribuire alla politica le colpe, pur gravi e numerose, dei singoli, dimenticando che la politica è la forma più alta di espressione di una civiltà e di un popolo e che quando la politica perde il suo ruolo – o non lo sa onorare degnamente – ci si avvia inesorabilmente verso sistemi di governo dove prevalgono interessi oligarchici rispetto a quelli collettivi.
Noi oggi abbiamo il dovere di richiamare prima di tutto a noi stessi, di dire con chiarezza a tutti, che chi si occupa della cosa pubblica ha un obbligo di onestà intellettuale e personale in più rispetto agli altri cittadini e che la politica è innanzi tutto passione civile, impegno ed altruismo. Solo dopo diventa governo, e quindi responsabilità del governo, ed esercizio dei poteri e dei doveri che da questo conseguono.
Dobbiamo far comprendere che il governo è il mezzo per perseguire i fini che abbiamo condiviso e che nel raggiungimento di quei fini saremo determinati ed inflessibili anche con noi stessi.
Non sempre in questi anni questo è avvenuto.
E infine la questione del Presidente. Io non ho mai chiesto un ruolo per me. Quando altri mi hanno sollecitato a candidarmi, ho fatto prevalere le mie riserve sulla mia disponibilità.
Non ho in questo momento altra ambizione che non sia quella di mandare a casa coloro che governano l’Italia e la Sardegna. Mandarli a casa per sostituirli con uomini e donne, con una politica davvero alternativi, nell’interesse della Sardegna e dell’Italia.
E personalmente vorrei concorrere a questo obiettivo nell’esercizio del mio mandato parlamentare.
Non ho avuto e non ho pregiudizi per la candidatura di Renato Soru. Spero ancora che sia possibile trovare il terreno di un’intesa. Un mese fa ho pubblicamente manifestato questo intento, indicando quelli che a me sembrano gli snodi non eludibili.
Finora non ho trovato risposte convincenti.
Li ripropongo sperando in una migliore fortuna. Su questi temi chi si propone alla guida della coalizione deve una risposta, non può eluderla.
Perché noi vogliamo competere con un progetto di governo in cui il candidato Presidente diventi sintesi riconoscibile dello schieramento che lo sostiene. Il confronto, per avere successo, si deve fondare sul reciproco rispetto. Nessuno degli interlocutori ha solo diritti o solo doveri. Nessuno deve fare solo passi indietro o solo passi avanti.
I partiti devono prendere atto che in questo tempo esistono soggetti esterni ai partiti, al percorso tradizionale della politica, personalità capaci di rappresentare interessi popolari al di fuori delle forme sperimentate di organizzazione della politica. E devono riconoscere – dobbiamo – che in questi anni, negli ultimi dieci anni, l’ambizione dichiarata di apertura e rinnovamento non è stata onorata da comportamenti adeguati.
Per converso io credo che non si debbano assecondare gli umori dell’antipolitica, la tentazione della democrazia plebiscitaria, l’idea che la politica si possa esaurire nel rapporto diretto tra l’eletto e la piazza attraverso il megafono dei media. Perché il megafono spesso non è disponibile per tutti, talvolta è disponibile solo per i più forti.
La storia ci insegna che per quella strada non si allarga ma si riduce la partecipazione dei cittadini al governo. E neppure si accresce l’efficienza del sistema. Questo non è il modello di democrazia che noi vogliamo difendere. Questo semmai è il modello di Silvio Berlusconi. Ma noi l’Ulivo, il centro sinistra, siamo antagonisti, strutturalmente antagonisti, proprio in forza di questa differenza.
Il governo della cosa pubblica ha necessità di concertazione, di mediazione sociale con tutti i corpi intermedi, le forze sociali, le mille autonomie che disegnano la nostra società complessa.
Noi che abbiamo nel codice genetico la fedeltà ai principi della Costituzione repubblicana non vorremmo mai scegliere tra democrazia ed efficienza. Insomma dobbiamo eleggere un Presidente della Regione non un Direttore della Sardegna. E vogliamo eleggere un Presidente che sappia riconoscersi nella regola democratica della collegialità tanto per le scelte che precedono quanto per quelle che seguono il momento elettorale.
Io credo che Soru possa ancora essere il candidato della nostra coalizione. Se vorrà comprendere il senso delle nostre preoccupazioni. Se comprenderà le ragioni della nostra cautela, senza banalizzare, senza approfondire il solco di una qualche diffidenza che ora esiste. Anzi sforzandosi di colmare quel solco. Per questo c’è bisogno di un po’ di umiltà.
Vorrei sommessamente dirgli che il carico di credibilità, da impresa o da professione, è certamente un valore aggiunto, un fattore straordinariamente positivo per incrociare la fiducia degli elettori. Ma da solo quel credito non basta per fare la buona politica, per governare bene il Paese.
Occorre uno sforzo di tutti per ritrovare una grande unità della coalizione intorno al progetto di alternativa per il governo della Sardegna. Nessuno può essere di pregiudizio a questo risultato.
E intorno a questo progetto dobbiamo guadagnare fiducia, passione e sostegno dei partiti e dei movimenti; di tutte le forme di organizzazione della politica presenti alla convenzione del 18 luglio. Ma anche di tutti gli uomini e le donne che sono scesi con noi nelle piazze per chiedere la pace e contrastare le scelte di guerra del governo Berlusconi, tutti quei sardi che hanno animato – contro le scorie – il più grande movimento di opposizione spontanea che la Sardegna democratica abbia mai vissuto.
La Margherita in Sardegna inizia oggi un viaggio nuovo. L’unità della coalizione è il nome del nostro primo dovere. Ci attende un tempo difficile. Come sempre, quando le sfide sono ambiziose.
Non abbiamo davanti un cammino in discesa. Troveremo ostacoli, molti ostacoli. Più di una volta avremo la tentazione di cedere alle lusinghe della vita privata, di sgombrare il campo. Allora conterà molto la capacità che avremo di essere leali con le nostre ragioni e di mantenere alto il profilo delle nostre ambizioni.
Ma conterà di più la consapevolezza di avere come unico interesse, l’interesse della nostra terra.

 

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