Per un federalismo solidale

Si svolge in un clima di suspense il voto per la Riforma del titolo V della Costituzione. Il risultato positivo segna un grande successo politico e parlamentare per l’Ulivo.
La dichiarazione di voto dei Popolari

Camera dei Deputati, 28 febbraio 2001

Abbiamo voluto questa legge perché disegna un nuovo sistema dei poteri autonomistici nel nostro ordinamento con l’obiettivo di allargare l’area della partecipazione e della responsabilità dei cittadini. In fondo, se dovessi riassumere il filo conduttore delle politiche del centrosinistra in questi anni, l’obiettivo essenziale sotteso all’attività legislativa e di Governo, credo che questo filo possa coincidere con la volontà di accrescere in Italia il diritto di cittadinanza.
Questa legge va in tale direzione. Le novità non sono marginali: ribaltamento del principio fondativo dell’articolo 117 della Costituzione, con la riserva per lo Stato di un numero definito di competenze esclusive, nell’affermazione di una soggettività del potere regionale come ordinario titolare della legislazione. È questa la premessa, la precondizione ineludibile per dare corso alla stagione costituente delle nuove regioni.
Siamo favorevoli perché si introduce il principio del regionalismo differenziato; perché si modifica in profondità il sistema dei controlli sopprimendo quelli preventivi di legittimità, espressione residuale di un centralismo anacronistico; perché si afferma il principio della territorialità delle imposte, in base al quale l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa dà corpo al potere di autogoverno; perché trova attuazione, specificazione il principio di sussidiarietà nella sua dimensione orizzontale e verticale, principio di sussidiarietà che è principio di libertà.
L’opposizione di destra, la Casa delle libertà sostiene che il prodotto di devoluzione di poteri sia inadeguato, che questa – come ha detto l’onorevole Pisanu – sia una riformetta o, come con prosa elegante ha affermato il professore Urbani, «una patacca»; a noi sarà consentito di chiedere all’onorevole Pisanu e all’onorevole Urbani un’idea, non ancora un progetto, con qualche coerenza. Dovrebbero mettersi d’accordo perché si è colta una certa confusione nel corso della formazione di questo provvedimento. Il professor Fisichella al Senato ha sostenuto che questa è una riforma eccessiva, quasi una minaccia per l’unità nazionale e, per converso, numerosi emendamenti della Lega proponevano – e il gruppo di Alleanza nazionale, ed anche l’onorevole Selva, hanno votato a favore – che le regioni trattenessero il 90 per cento del gettito fiscale prodotto nel territorio. Altri emendamenti proponevano un sistema di regioni indipendenti, libere di federarsi. Di tutto e di più, e su tutto, nel voto degli emendamenti, vi siete divisi, come attestano senza pudore gli atti parlamentari.
Viene mosso ora un rilievo di parzialità e non è difficile riconoscere che questa riforma non esaurisce le nostre ambizioni riformatrici. Restano sullo sfondo le grandi questioni del bicameralismo, della forma di Governo, il complesso dei problemi che hanno vissuto nella Commissione bicamerale una stagione alta di confronto politico, di elaborazione e di contrasto. Ma è davvero singolare che le forze politiche che hanno esplicitamente e consapevolmente interrotto il percorso unitario di riforma della seconda parte della Costituzione sollevino oggi un rilievo di parzialità, ineludibile conseguenza di quella scelta.
Abbiamo letto che l’onorevole Berlusconi ha nei suoi progetti per la prossima legislatura la volontà di riformare la Costituzione. Abbiamo letto, tra una smentita e l’altra, tra una dichiarazione e la successiva interpretazione autentica, che intenderebbe perseguire questo progetto attraverso un serio confronto con quella che immagina debba essere la prossima opposizione.
L’onorevole Urbani, da parte sua, ha voluto graziosamente aggiungere che l’opposizione dovrà meritare questa opportunità e non è chiarissimo quale sia il parametro di merito che l’onorevole Urbani ha in mente per questo esame di ammissione. Noi pensiamo che il confronto non sia un premio, ma il metodo ordinario della democrazia. Per questo rifiutiamo l’accusa di una decisione unilaterale.
Il testo che oggi votiamo è nato dalla Bicamerale. Ricorda l’onorevole Urbani di aver votato quel testo non solo in Commissione bicamerale, ma anche in aula (un testo per tante parti identico a quello attuale)? Quel testo si è poi arricchito delle migliori proposte dei gruppi parlamentari, di maggioranza e di opposizione, ha raccolto i suggerimenti della Conferenza dei presidenti delle regioni, ha registrato il consenso e il sostegno delle associazioni dei comuni e delle province d’Italia ed ha avuto per due volte l’avallo delle Camere.
Noi siamo certi di interpretare una volontà largamente maggioritaria nel paese. Per questo pensiamo sia utile promuovere il referendum confermativo previsto dall’articolo 138 della Costituzione.
Vorremmo chiedere a tutti gli italiani di decidere se questa riforma sia utile o meno alla nostra democrazia.
Il voto che oggi esprimiamo assume un significato politico che va al di là del merito, già rilevante, di questa legge, prima di tutto perché riafferma la titolarità del Parlamento a decidere sulla riforma della Costituzione. Vogliamo farlo all’interno di un percorso serio e responsabile, in un quadro di garanzie e di trasparenza, rifuggendo la tentazione plebescitaria e propagandistica evocata da qualche presidente di regione, in un contesto di esibizione velleitaria del proprio inutile protagonismo, in evidente assenza dei fondamenti di legalità costituzionale.
Ma questo voto, signor Presidente, pesa politicamente per un’altra ragione: perché misura due visioni profondamente diverse della risposta democratica alle sollecitazioni che nascono nel paese, perché la domanda di riforma federale dello Stato si è intrecciata, in vaste aree dell’Italia, con una questione di cittadinanza insicura, con un sentimento di insoddisfazione incontenibile rispetto ai nuovi scenari economici e sociali della globalizzazione.
Vi sono forze politiche che intorno alla parola «federalismo» hanno costruito un feticcio, un contenitore magico delle angosce e delle paure dei cittadini. Si è voluta evocare e assecondare l’idea del federalismo come una replica feudale di piccole sovranità, il cui unico scopo sarebbe quello della difesa dell’esistente, della protezione dal nuovo, della garanzia che niente possa cambiare. Cullando angosce degli italiani, hanno stravolto il senso vero della prospettiva di riforma dello Stato.
Per questo, per molti la riforma migliore è quella che non si farà mai. E tuttavia una politica che assecondi umori e paure, che rinunci alla responsabilità di un’offerta di Governo fondata sulla ragione può dare forse un consenso effimero, ma non garantisce nel tempo una prospettiva democratica e favorisce il declino morale del paese. Invece il futuro dell’Italia si gioca proprio sulla ricucitura del rapporto tra politica e morale, sulla capacità della politica di conquistare la fiducia dei cittadini, nel merito, senza inganni, sulla espressione di un progetto alto ed ambizioso, su un paragone teso ed esigente tra le nostre idee e i nostri comportamenti.
Noi pensiamo che il dovere della politica ed insieme il rischio della politica siano nella ricerca di una prospettiva culturale ed istituzionale fondata sulla libertà non per aver paura del futuro ma per prepararlo e regolarlo, per accrescere il ruolo della società civile nello Stato, per rendere la società italiana più forte e più libera sullo sfondo di istituzioni capaci di offrire a tutti pari opportunità.
In questa prospettiva per noi la riforma che oggi vogliamo approvare è una scelta per unire il paese e le perequazioni sociali e territoriali costituiscono la premessa del processo federativo, non già una modalità difensiva dagli effetti del federalismo medesimo.
Questa seduta, signor Presidente, segna in qualche modo il punto di approdo politico, se bene distante dalla chiusura formale della XIII legislatura. Avremmo preferito – e lo dico con sincerità ed amarezza – un confronto ed un epilogo diversi, avremmo preferito sentire confrontare le opinioni e le tesi che ci oppongono nel gioco democratico, avremmo preferito che l’opposizione di destra, che ha l’ambizione di essere schieramento di Governo, non si limitasse a scommettere sulle nostre assenze. Invece siamo qui, presenti con la passione delle nostre ragioni, con la certezza dei nostri doveri, con la nostra idea democratica, per affermare con il voto la nostra adesione ed il nostro consenso, per dire agli italiani che sentiamo di aver speso bene questi anni di lavoro per l’Italia, che sentiamo l’orgoglio di essere stati partecipi di una straordinaria stagione di trasformazioni del nostro paese, partecipi di una storia che ha segnato in modo indelebile la vita di ognuno di noi.
Io non so chi vincerà le prossime elezioni, non so chi dovrà governare nei prossimi anni, ma so che gli uomini e le donne dell’Ulivo hanno onorato l’impegno assunto insieme a Romano Prodi con gli elettori. Per queste ragioni, esprimendo il voto favorevole dei Popolari, sento di interpretare anche i sentimenti di un deputato del mio gruppo che è assente, di un grande maestro come Nino Andreatta del quale avvertiamo la terribile mancanza ma del quale portiamo, con orgoglio e fierezza, il testimone.

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