La lunga stagione delle inadempienze

La lunga stagione delle inadempienze
Intervista a cura di Nino Bandinu, La Nuova Sardegna 06/01/1989

 

Venti giorni fa l’impegno del segretario generale della CISL, Franco Marini era stato forte ed esplicito. Durante il grande appuntamento promosso dalle organizzazioni dei lavoratori, il leader sindacale aveva riportato vasti consensi e stimolato anche un nuovo ottimismo. Tirava, insomma, aria diversa. La vertenza sull’accordo dei mille miliardi, sulla speranza di un forte riscatto industriale nelle aree interne, sembrava dunque a portata di mano. Era solo questione di tempo. Sarebbe bastato che politici e vertici di CGIL, CISL e UIL, avessero stretto un altro può il Ministro delle Partecipazioni Statali Carlo Fracanzani e la partita poteva dirsi conclusa.

Ma, si sa, i tempi e i percorsi della politica non sono mai scontati. Dietro l’angolo c’è sempre l’imprevisto, o l’”accidente”, come Io chiamava il buon Machiavelli. E, infatti, di questi maledetti “accidenti” si è subito costellato il cielo del dopo Marini: prima con i ventilati tagli agli investimenti pubblici, per il recupero della voragine del debito statale, poi con la minaccia di licenziamento di migliaia di operai nelle fabbriche siderurgiche di Bagnoli. Come grandi registi, sempre 11 governo, sempre Fracanzani.
Quel governo, cioè, e quel ministro che attualmente hanno in mano li destino dell’accordo. Su questo nuovo scenario, al vice capogruppo regionale DC, Antonello Soro, chiediamo oggi che ne pensa.

Onorevole Soro, CEE e Fracanzani sembrano decisi a ridimensionare le fabbriche siderurgiche di Bagnoli. Soffia un brutto vento. Anche per l’accordo di programma?
Per quanto ci riguarda, l’atteggiamento del Ministro Fracanzani, dipende anche da noi sardi. Dobbiamo essere gli interlocutori forti di una vertenza non facile. Non del tutto scontata.
Eppure, qui sembra tutto pronto: c’è la bozza d’accordo della Regione, l’impegno dei sindacati ai massimi livelli, e un fronte politico più unito. Manca solo che Fracanzani confermi i mille miliardi.
I ritardi sull’accordo non devono diventare un alibi per rinviare ancora. E’ vero, ci sono ritardi da parte del Ministro delle Partecipazioni Statali, ma anche la Regione non ha brillato nelle iniziative. Lo studio sull’accordo è arrivato solo venti giorni fa, dopo un anno di colpevole silenzio. Ora, comunque, non giova a nessuno alimentare polemiche.

Intanto, sono sempre le zone in terne a scontare i ritardi degli altri. Stanno qui le colpe della classe politica?
Certo, la stagione delle inadempienze, è davvero lunga. Ma nelle zone interne si sconta anche la “demonizzazione” dell’industria, scatenatasi nel decennio scorso, quando si è inseguito il mito di una società bucolica, alimentata dal nulla. Questo è stato un errore di valutazione al quale nessuno può dire di essersi per intero sottratto. Insieme però si sono sommati molti errori della classe dirigente nuorese: che non è solo quella dei partiti.

Oltre che dei politici, di chi le responsabilità?
In questi anni si sono sovrapposte due condizioni: l’acuirsi della crisi economica e una stagione di grande oscurantismo culturale, di chiusura, di trionfo della mediocrità in molti segmenti della società barbaricina. In queste condizioni si tende a privilegiare il particolare, la tutela di interessi corporativi; si verificano la frammentazione e la divisione, la lamentazione in luogo della creatività, la competizione si sviluppa verso il basso.
Insomma, se non ci fosse stata l’iniziativa e la spinta sindacale, l’accordo sul rilancio industriale sarebbe miseramente naufragato…
Anche il sindacato non è immune dalla crisi, seppure in qualche occasione abbia fatto sforzi di elaborazione, di proposta unitaria. L’unità di per sé non è un valore, ma in periodi di crisi diventa precondizione di crescita e di sviluppo. E mantiene vive le ragioni delle aree più deboli. Ciò che bisogna vincere è l’illusione che lo sviluppo di quest’area sia un processo ineluttabile, che il problema stia solo nel contenerlo e indirizzarlo, salvaguardando i valori della nostra identità e del nostro ambiente.

Sembrano ormai pochi quelli che si affidano alla teoria della ineluttabilità dello sviluppo. Ma il punto è anche quello di una precisa “volontà politica”, che nel caso dell’accordo, a volte sembra mancare. Non crede?
Questi sono problemi reali dei quali ognuno deve farsi carico, appunto perché lo sviluppo non è dietro l’angolo. Occorre cogliere appieno le nostre difficoltà reali, per non scambiare il feticcio della modernità che sembra regolare la nostra vita, con t’evoluzione reale del sistema. Esiste una tendenza a misurare la salute della nostra economia dal dispiegarsi dei consumi: siccome i consumi crescono al ritmo delle aree più forti del Paese, sollecitando la mobilità di alcuni indicatori parziali, si diffonde un coro di ottimismo quando non anche di trionfalismo. E al coro si aggiunge l’esercito dei cortigiani, La verità è che il nostro sistema è sempre più dipendente, che continua a non produrre i beni che consuma e ad essere alimentato dai trasferimenti esterni.

In sostanza, c’è bisogno di grandi investimenti pubblici e privati. Ma sono investimenti che non arrivano ancora. Se però dovessero arrivare, saremo pronti e “attrezzati” a gestirli? 
Il nostro dramma è anche questo. Nelle aree interne non esistono condizioni di vantaggio per chi investe. Tuffi gli incentivi alla impresa di cui disponiamo sono comuni all’intero Mezzogiorno. Ma in più, noi abbiamo una doppia insularità e un contesto economico di realtà preindustriale.

Quindi, su cosa occorre puntare, per conquistare una reale “centralità”?
Su due obiettivi. Il primo consiste nella fertilizzazione del territorio, nell’eliminare i vincoli vecchi, nel diffondere innovazione, servizi alle imprese, infrastrutture di comunicazione e informazione. Il centro di eccellenza per le tecnologie ottiche, per esempio, va in questa direzione: l’accordo si gioca anche su questo fronte. Il secondo obiettivo sta invece in un ruolo nuovo delle Partecipazioni Statali e in un contratto di Programma che richiami investimenti industriali diretti, ad alto contenuto d’innovazione, capaci di produrre alto valore aggiunto.
Per questo occorre, insieme alle cose dette, una fortissima capacità di attrazione politica. E quindi un’autonomia regionale più autorevole, sostenuta da un consenso molto argo, da una sinergia delle forze politiche e sociali che, intorno al futuro della Sardegna e delle sue aree più deboli, sappiano delineare un comune obiettivo. Anche sacrificando qualche interesse di parte.

Lei ha parlato di un centro di tecnologie ottiche, ma l’assessore Mannoni ha detto che l’Ailun ha avanzato un ‘idea e non ancora una proposta precisa.
E invece esiste proprio una proposta organica ed esecutiva: l’unica in quest’ambito di interventi.

E’ vero che la DC sarda ha chiesto a De Mita di tare del vostro partito l’unico centro di smistamento e di “mediazione” di tutto ciò che viene da Roma? Sarebbe un duro colpo all’autonomia?
La verità è che la nostra autonomia non riesce a sganciarsi da un ruolo di semplice “gestione”. Essa deve diventare invece interlocutore forte nei confronti dello Stato. Non lamentele, dunque, ma iniziative, progetti e offerta di governo. La DC si fa carico di rappresentare gli interessi dell’isola, non sostituendosi alla autonomia, ma coprendo i vuoti di iniziativa politica della Regione.

Lei ha parlato di linee e condizioni di sviluppo. Ma è possibile lo sviluppo, senza una forte area chimica, senza un terzo polo sardo?
Certamente questo rimane l’obiettivo primario sul quale far convergere i nostri sforzi, recuperando ritardi e le inadempienze del governo regionale.
Quando si delineava il patto Enimont, i sindacati hanno subito intuito il pericolo di una marginalizzazione dell’area sarda. Ma proprio in quella occasione, il Presidente della Giunta Sarda, Mario Melis, ha escluso ogni pericolo…

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