Riscoprire il fascino dell’autonomia

Riscoprire il fascino dell’autonomia
L’Unione Sarda, 25/11/1988

 

La legge finanziaria dello Stato, in corso di approvazione da parte del Parlamento, avvia la politica di contenimento della spesa e di risanamento del debito pubblico, voluta dal Governo De Mita e finalizzata a rilanciare gli investimenti nel Mezzogiorno.

La Sardegna – lo ha unitariamente ribadito il Consiglio regionale – ha interesse a perseguire questi obiettivi e deve quindi partecipare ai sacrifici che ne derivano.

In questa prospettiva nei mesi scorsi si è attivata una interlocuzione fra il Governo e i Presidenti delle Regioni a Statuto Speciale per definire i modi di questa partecipazione. Due erano le possibilità date. La sterilizzazione del nostro regime delle entrate (traducibile per la Sardegna in una rinuncia a 80 miliardi per il 1988) oppure una decurtazione dei fondi settoriali (traducibile in un presunto sacrificio di circa 230 miliardi), nel Bilancio dello Stato.
L’opzione per la prima ipotesi, comporta dal punto di vista strettamente finanziario una perdita minore per le Casse della Regione.

L’enfasi posta da alcuni esponenti della Giunta regionale sull’aspetto quantitativo del problema induce a credere che questa scelta, più che una imposizione subita sia stata in realtà una precisa imposizione richiesta.

La manovra, così concepita, equivale ad una modifica dell’articolo 8 dello Statuto Speciale Sardo e si traduce in un ripristino del regime provvisorio delle entrate a noi spettanti. E l’autonomia finanziaria non è scindibile dall’autonomia come dimensione generale di autogoverno.

E’ certo che, al di là di una apparente convenienza quantitativa, si porta una pericolosa ferita al nostro Statuto Speciale e si apre un varco senza precedenti.

E qui risiede la vera questione riproposta in queste settimane: il progressivo declino della specialità della nostra autonomia, la decrescente considerazione per la nostra peculiarità nell’ordinamento dello Stato democratico.
Credo che non si debbano intonare geremiadi né vestire i panni dell’offeso vittimismo, ma ci spettino, invece, espressioni più consapevoli e mature di giudizio.

Si dice che la crisi riguardi tutte le regioni a Statuto Speciale. Esisterà certo qualche fondamento a questa tesi.
Ma l’Alto Adige si appresta a ricevere, insieme a tante altre competenze statutarie, un nuovo vantaggiosissimo regime finanziario; e lo stesso accade per Province autonome di Trento e Bolzano.

E la specialità della regione Sicilia, l’esser la Sicilia questione nazionale irrisolta e quindi meritevole di una solidarietà tutta particolare della comunità nazionale, non sono in discussione. E la regione Valle d’Aosta ha una tradizione così consolidata di autonomia e, insieme, un sistema istituzionale ed economico così forte da poter sopportare un calo contingente di attenzione e di solidarietà.

La regione sarda, all’interno di questo scenario, si trova a subire la crisi di attenzione e di sensibilità nel momento in cui più forte è la sua crisi economica e più forte il suo bisogno di solidarietà. Ma quanto pesa sulla qualità di rapporti Stato-Regione, la mancanza di credibilità dell’attuale esecutivo regionale?

Emblematica la vicenda sulla riforma dello Statuto: la commissione appositamente nominata dal Consiglio regionale è inerte; il dibattito reale in Sardegna è sospeso, condizionato dal delirio propagandistico di alcuni partiti che compongono l’attuale maggioranza. Siamo di fronte ad una reale incapacità propositiva. E’ accaduto anche per l’attuazione dell’articolo 13 dello Statuto, terza legge di rinascita. Si ripropone la stessa impasse nell’esercizio ordinario del Governo regionale. Tutto questo priva la nostra regione di quel “biglietto da visita” fondamentale che occorrerebbe poter esibire nei rapporti fra lo Stato e la Regione Autonoma della Sardegna. Proprio per potersi questa ricandidare ad una stagione di autonomia più forte; per richiedere maggiore solidarietà nazionale sui bisogni dell’Isola.

Non sono gratuite affermazioni. La “pagella” di questa Giunta la danno gli indicatori stessi della finanza regionale.
Al 30 ottobre di quest’anno su un totale di stanziamenti di 5340 miliardi erano impegnati 2453 miliardi: meno del 50%; su un carico totale di residui e di competenze di 10.309 miliardi, i pagamenti erano pari a 3200 miliardi.
La comparazione con i dati omologhi degli ultimi 4 anni fa risaltare un calo costante della capacità di spesa e dell’indice di smaltimento dei residui. In agricoltura il dato più clamoroso: su 1875 miliardi disponibili, fra competenza ‘88 e residui, i pagamenti sono stati, al 30 ottobre, di 368 miliardi.

Il quadro che emerge da questi dati e da queste considerazioni è quello di un’autonomia debole e inefficiente, chiacchierona e litigiosa, distante dai bisogni della società sarda, incapace di elaborare e praticare un’offerta di governo seria e credibile. Qui sta, io credo, il punto centrale per comprendere la qualità dei rapporti fra Stato e Regione. La forza della nostra autonomia, il suo potere di interferire nella politica più generale del Paese, di muoversi in sintonia con le grandi tendenze, di avere il prestigio e il rispetto dì una dimensione forte nell’ordinamento del nostro Stato democratico, ma più ancora nei rapporti di forza reale della politica, tutto questo non può affidarsi ad una relazione inutilmente declamatoria e neppure al richiamo, peraltro debole, quando non decisamente assente, alle competenze statutarie,

L’autonomia sarda, la sua specialità, è torte se è forte il suo potere di rappresentanza, di coinvolgimento della società sarda, delle sue migliori energie; se è torte la testimonianza di un uso maturo dei suoi poteri di autogoverno e se è forte e decisa la capacità di proporre, di elaborare, di partecipare e di far partecipare la società sarda alla vita nazionale. L’autonomia speciale della Sardegna è torte se è capace di esaltare le ragioni della nostra speciale identità, di trasferire informazione e consapevolezza di sé.

Occorre davvero riscoprire il fascino e il significato della nostra autonomia: può essere l’occasione per vincere la sfida non già di una Finanziaria dello Stato, ma del domani della Sardegna.

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