Informazione e politica autonomistica

Informazione e politica autonomistica
Intervento svolto alla prima Conferenza regionale sui problemi dell’informazione, Cagliari, 12/11/1987

 

La Democrazia Cristiana guarda con interesse a questa conferenza, non solo per i contenuti che sono impliciti, ma anche perché riprende un modo di porre il problema dell’informazione che si era interrotto dal 1981, con la Conferenza regionale di produzione sull’informazione e programmazione radio-televisiva, che aveva assunto, in quella sede, le dimensioni di un’occasione di confronto organico sul problema dell’informazione in Sardegna.

Probabilmente, una preparazione della conferenza che avesse coinvolto più intensamente, nella fase preliminare le varie componenti interessate avrebbe prodotto una partecipazione più larga, ma soprattutto più convinta.

L’interesse nasce dalla considerazione che, mai come in questo momento, il futuro dell’informazione, in Sardegna, è strettamente connesso col futuro dell’autonomia. Perché l’autonomia, come ogni altro soggetto della vita moderna, è forte se dispone d’informazione, della nuova risorsa che vale più del petrolio, più di qualunque altra materia prima.

Se l’autonomia dispone della capacità di conoscere e di far conoscere se stessa, l’identità che vuole portare dentro di sé, l’autonomia è forte. Se non dispone dell’informazione nel senso appena detto, l’autonomia è più debole. E, certamente, in questo senso ci si deve muovere.

Il mio partito lo ha già fatto proponendo, all’interno della legge per l’attuazione dell’arti 3 dello Statuto regionale, della nuova legge di rinascita, il piano telematico.

In questo piano l’informazione è uno dei punti sui quali giocare le carte dello sviluppo, coinvolgendo e contrattando con la solidarietà nazionale al più alto livello, che è, appunto, quello dell’attuazione dell’art.13. Quindi, non come un fatto marginale, direi, da convegno, ma informazione, piano telematico come connessione con il mondo.

In questo senso, sia l’assessore Fadda, sia la collega Serri, hanno richiamato l’esigenza di aggiornamento delle norme statutarie della Regione autonoma della Sardegna. Nel momento in cui si va verso l’attivazione della commissione speciale per la riforma dello Statuto, dobbiamo farci carico di aggiornare il nostro statuto in questa materia.

Oggi, si può dire che l’informazione, in Sardegna, interagisce non solo col futuro dell’autonomia, ma con lo stato attuale di crisi dell’istituto autonomistico. E’ una crisi di natura complessa, che si gioca su due versanti: da un lato, la difficoltà a partecipare alla vita nazionale e, dall’altro, la difficoltà a conservare o ad allargare il consenso dei sardi intorno all’istituto dell’autonomia. Su entrambi questi due versanti interagisce l’informazione, pur non essendone, certamente, occasione unica di crisi.

La crisi dei rapporti, di partecipazione della nostra autonomia alla vita nazionale del Paese, ha sicuramente delle ragioni complesse, di natura politica anzitutto. L’incapacità maggiore o minore di iniziativa politica, di contrattualità con le sedi nelle quali si decide il futuro del Paese non dipendono certamente solo dall’informazione ma, in questo senso, l’informazione gioca ugualmente un suo ruolo.
A questo proposito, è stato richiamato più volte il ruolo della Rete 3. A mio avviso è giusto richiamare le competenze, le responsabilità, le occasioni mancate e possibili della Rete 3; ma il discorso, più complessivamente, deve riguardare il sistema dell’informazione, i soggetti dell’informazione in Sardegna: quelli della carta stampata e delle emittenti televisive.

Il problema della integrazione regionale nel circuito dell’informazione nazionale era uno degli obiettivi, forse quello centrale, della Terza rete radio-televisiva. Ne ha accennato anche l’assessore nella sua introduzione, quest’obiettivo non è stato compiuto. Probabilmente, per certi versi, si rischia addirittura di fare dei passi indietro se la Terza rete (e non solo questa, perché il discorso dovrebbe essere tatto a tutti i livelli) non si pone il proposito non tanto e non solo di produrre informazione riferita alle vicende e ai soggetti che possono fruirne in Sardegna, quanto per rendere il Paese cosciente della questione sarda, che non è soltanto la questione del malessere che passa attraverso le pagine di cronaca nera, le uniche dei quotidiani nazionali della Rete i e della Rete 2 che rendono informato il Paese della vita sarda. In questo modo, vendiamo un’immagine della Sardegna che non è rappresentativa dell’identità sarda, che è esattamente il contrario.

L’obiettivo che dobbiamo porci è quello di utilizzare il sistema dell’informazione come un momento di partecipazione compiuta alla vita nazionale del Paese. In questo senso, come partiti politici, dobbiamo impegnarci, mediante contatti con chi ha la possibilità di attivare questi canali, per evitare che, non solo nella fase di ristrutturazione della Terza rete venga eliminato quel poco di autonomia che già esiste nella sede regionale sarda, ma, anzi, che ne venga allargato l’ambito.

La crisi dell’istituto autonomistico, come dicevo, si gioca su due versanti. In questo momento, quello che deve preoccupare di più i rappresentanti eletti del popolo sardo è la forte crisi di sfiducia da parte dei sardi verso l’istituto autonomistico, i suoi protagonisti, la sua vita stessa, quale appare attraverso l’informazione che ne viene data. E quanto più inadeguata, impropria, parziale, settaria è l’informazione su quanto avviene dentro l’istituto dell’autonomia tanto più si allarga il solco di non conoscenza e, forse, di sfiducia fra i cittadini e l’istituto autonomistico.

Si pone il problema del rapporto tra gli operatori dell’informazione e gli operatori politici. Un rapporto conflittuale, risolto spesso all’interno delle proprie famiglie come un rapporto di giudizio e non di comprensione. Per cui, tutti i giorni, in ambito politico, si danno qualifiche di incapacità gratuite ai giornalisti che fanno la cronaca politica. Ma altrettanto viene fatto dai giornalisti che spesso, e non solo in famiglia, restituiscono questa patente agli operatori della politica. Il problema non è quello di dare patenti, perché ognuno ha quella che ritiene di avere e si conserva la propria, quanto il crescente disinteresse, la sottovalutazione del lavoro che viene svolto all’interno dell’istituto autonomistico, dell’attività legislativa, dei contenuti della politica sarda. Le tesi, le elaborazioni, il confronto, sono considerati atti minori, marginali nell’informazione della politica.

E’ in atto una rapida omologazione rispetto allo schema nazionale della politica come spettacolo, dello schema nazionale, nel quale il Parlamento nazionale è un fatto marginale, sempre più debole rispetto al ruolo dei partiti, e l’informazione nazionale è tutta giocata sugli umori, e non sulle dee di De Mita e di Craxi, che occupano molto più spazio dei contenuti della politica. Per cui il cittadino identifica la politica in alcuni, pochi protagonisti della politica. Questo tatto si sta verificando velocemente anche in Sardegna, in una regione nella quale, invece, i rapporti, all’interno della politica, della società, tra l’istituzione del Consiglio regionale e i partiti non sono in questi termini. Anzi, credo di poter dire che il Consiglio regionale, l’istituto dell’autonomia, oggi, non ha un ruolo subordinato ai partiti politici nei termini nei quali si verifica nella dimensione nazionale, però facilmente si viaggia in quella direzione.

Si tratta di comprendere se giova al futuro dell’autonomia favorire e accelerare il processo di omologazione nei confronti dì quello schema nazionale. Perché la qualità della politica sarda dipende anche da questo. Infatti, nella misura in cui l’azione legislativa, di contenuto, di presenza, di elaborazione che un singolo operatore politico svolge dentro l’istituzione rimane un fatto privo di valenza al di fuori del piccolo ambito degli addetti ai lavori, sempre di più viene disincentivata la funzione e tolta l’occasione di verificare e di far verificare l’aderenza degli operatori eletti e non agli impegni assunti col corpo elettorale. Questo fatto porta rapidamente verso un degrado della politica, di cui dobbiamo farci carico, e va detto non in termini di giudizio, ma per comprendere come spesso nasce la scarsa qualità della politica da un interscambio dei rapporti con l’informazione, giocato su un piano che, forse, non è quello giusto. Fra le grandi tendenze citate, vi è il rischio della concentrazione dei poteri e, quindi, dell’informazione come mega trend mondiale. All’interno di questa grande tendenza, vi è certamente il problema tutto italiano, che nasce prima di tutto nella concentrazione del potere economico e finanziario, che è iscritto all’ordine del giorno della politica nazionale. Su questo si è aperta una grande discussione, sulla necessità di regolare, in qualche modo di governare, la tendenza verso una concentrazione sempre più rapida del potere economico in Italia, che rischia di porre seri problemi di democrazia. Lo stesso rischio si corre nel settore dell’informazione.

In particolare, in Sardegna si gioca una partita tutta speciale, perché si corre il rischio di avere la concentrazione delle testate e la concentrazione degli enti pubblici che erogano finanziamenti. E’ sostanzialmente la Regione sarda la protagonista della concentrazione di erogazioni, e rischia di essere un solo assessore a gestire i denari pubblici, attraverso la sponsorizzazione dei prodotti sardi e una legge che viene gestita con fondi fuori bilancio, per cui l’erogazione non è soggetta a un controllo rigoroso da parte degli organi democratici del Consiglio regionale. E’, quindi, un processo che interferisce pesantemente con il sistema della informazione, in Sardegna, rischiando di inquinarlo al di là delle intenzioni di chi eroga il denaro pubblico e di chi lo riceve.

E’ un problema all’ordine de giorno in Sardegna, lo abbiamo posto in Consiglio regionale, e dovrà essere ridiscusso perché è ancora irrisolto.

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