Mezzogiorno e federalismo: un’occasione mancata

Europa, 05/05/2011

 

Un’occasione mancata. L’ennesima. Con il decreto legislativo sugli “interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali” il governo ha dimostrato ancora una volta improvvisazione, pressapochismo, disordine.

Penso che il dualismo economico e sociale del paese costituisca un termine ineludibile di riferimento per qualunque strategia riformatrice, in fondo per qualunque politica di governo che abbia l’ambizione di superare la quotidianità.
Anche perché sappiamo che rispetto al passato si manifestano tendenze inedite: non cresce il sud e non cresce neppure il nord. Siamo il paese che cresce di meno nel mondo nel primo decennio del XXI secolo, un decennio in cui la destra è stata quasi ininterrottamente al governo. Di fronte a questo fallimento si diffonde al sud, come già in passato al nord, un forte sentimento di distacco e sfiducia nei confronti dello stato.

Un sentimento che può preludere ad un possibile sfaldamento democratico e nazionale che nessuno dovrebbe sottovalutare. Dobbiamo fare una premessa. Le esperienze nelle politiche di coesione degli anni passati – con misura diversa, con responsabilità diverse, centrali e regionali – hanno mancato l’obbiettivo di convergenza, un obbiettivo se non centrato sicuramente avvicinato in molte importanti realtà dell’Unione europea.

Il nuovo titolo quinto della Costituzione ha creato le condizioni per una ripartenza, per una seria riforma, capace di coniugare al meglio gli strumenti dell’economia e quelli della nuova architettura istituzionale. È evidente che serve una strategia di grande orizzonte e di grande respiro: perché una politica che punta a sostenere l’esistente, che riproduce le strade note del meridionalismo pietoso e caritatevole non ha futuro.
Abbiamo bisogno di modifiche profonde dei nostri modelli, a partire dalle scelte che riguardano funzioni e specializzazioni dell’Italia nel nuovo scenario globale.

Servono innovazione e coraggio. Occorreva più tempo? È possibile: ma il governo possiede una sua speciale agenda politica. E il governo ha scelto la strada ordinaria, già sperimentata, negativamente sperimentata, dei provvedimenti frammentati e scoordinati con molte buone intenzioni combinate al solito armamentario delle politiche meridionalistiche del passato.

Piano sud, decreto interministeriale per le infrastrutture, questo decreto legislativo, il nuovo provvedimento annunciato l’altro ieri dal ministro Tremonti… tanti provvedimenti tra loro scombinati, privi di una direzione univoca, privi di procedure e governance comune.

La prima notazione da fare è che questo decreto non si intreccia in alcun modo con la legge-delega per il federalismo: anzi pare davvero un corpo estraneo anche sul piano del linguaggio, tutto riferito al passato delle politiche di sviluppo e di coesione mentre non esiste traccia della nuova sintassi del federalismo fiscale, non c’è traccia delle procedure e degli obbiettivi indicati con la perequazione infrastrutturale, con i fabbisogni standard, con i livelli essenziali delle prestazioni.

E non è casuale che sia totalmente ignorata la struttura della spesa ordinaria in conto capitale, il destino degli attuali trasferimenti, la futura articolazione del ricorso al debito, come si incardina una nuova politica di sviluppo per il sud con la intelaiatura riformata della finanza pubblica multilivello prevista dalla legge 42.

Non è detto cosa sarà ordinario e cosa sarà aggiuntivo: non è difficile intuire che gli interventi speciali saranno sostitutivi di quelli ordinari ed è per questo che le norme relative alla spesa ordinaria in conto capitale sono le ultime nell’agenda del ministro Calderoli. Nella proposta del governo approvata dalla maggioranza non esiste alcun riferimento alla volontà di reintegrare le significative decurtazioni subite dal Fondo per le aree svantaggiate negli anni scorsi (venti miliardi!).

D’altra parte è un singolare provvedimento totalmente privo di quantificazioni: e questo non è irrilevante se si considera che, valutando il consuntivo della spesa in conto capitale nelle aree meridionali degli ultimi 3 anni, siamo davvero lontani non solo dall’obbiettivo del 45 per cento ma anche dall’equivalenza riferita al peso naturale (media riferita a popolazione e territorio).

Infine il decreto Fitto-Calderoli ridimensiona in modo radicale il protagonismo delle regioni promosso negli anni novanta attraverso una ricentralizzazione di tutte le funzioni amministrative. Davvero uno strano federalismo.

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