Soro: se andremo al voto e vinceremo, mai più alleanze così composite

Il capogruppo del PD domani da Napolitano: ecco la nostra proposta un esecutivo istituzionale per le regole.
La Nuova Sardegna, 28/01/2008

 

Domenica, giorno di riflessione. Ha riflettuto Giorgio Napolitano, e la stessa cosa ha fatto Antonello Soro, alla vigilia delle consultazioni al Quirinale. Domani, il deputato sardo guiderà la delegazione del Partito Democratico e in questa intervista alla «Nuova» anticipa i contenuti della proposta che verrà avanzata al Capo dello Stato per risolvere la crisi.

Ha letto di Napolitano, onorevole Soro? Lui stesso ammette che è difficile trovare una sintesi.
«Certo, ora è difficilissimo ma sono sicuro che, il Capo dello Stato, la sintesi, la troverà alla fine delle consultazioni».

Già, domani tocca a voi del Pd, lei compreso: cosa gli direte?
«Che si formi un governo di responsabilità nazionale il cui obiettivo sia la modifica delle attuali regole»

Un esecutivo che riformi solo la legge elettorale, o c’è dell’altro?
«Lo scopo finale è quello di liberarci dal caravanserraglio delle due coalizioni per consentire alla democrazia il recupero della capacità di decidere. Oltre alla nuova legge elettorale, il nuovo governo dovrebbe pensare a ridurre la frammentazione patologica dei due poli».

In che modo?
«Intanto, con la riforma dei regolamenti parlamentari: bisogna stroncare il fenomeno della proliferazione dei partitini».

Poi?
«Quindi, occorre proseguire con la riforma costituzionale che riguarda il parlamento, con una Camera che fa le leggi, il Senato federale, e la sfiducia costruttiva».

Mica poco. I vostri avversari sostengono che è una proposta mirata a prendere tempo.
«Se si raggiunge l’intesa e c’è la volontà politica, si risolve tutto in meno di un anno».

Berlusconi ha cambiato rotta: vuole le elezioni. Altrimenti porta in piazza milioni di persone.
«La sua ultima sortita, che poi è una minaccia, rende molto più difficile il percorso indicato da noi, e non solo da noi, cioè un governo di responsabilità nazionale. E pensare che solo due mesi fa Berlusconi riteneva indispensabile e non eludibile per la democrazia italiana la formazione di un esecutivo che fissasse le nuove regole».

Domani da Napolitano esporrete la vostra via alla soluzione della crisi, ma il rischio che si vada a elezioni anticipate è forte.
«Noi intanto porremo con forza la nostra proposta, ma sia chiaro: se l’esito finale delle consultazioni sarà il voto anticipato, punteremo alla vittoria. Allo stato attuale, ci preme segnalare agli italiani che Berlusconi ha rimesso nell’armadio l’abito buono dell’uomo di Stato per indossare subito quello di capofazione, impegnato a conquistare il bottino. Il leader di Forza Italia non tiene neanche conto che non è solo il Partito Democratico a tracciare sul terreno della politica il solco di una soluzione ragionevole e utile al Paese. Berlusconi non tiene neanche conto di altre, importanti adesioni al percorso indicato da noi».

A chi si riferisce?
«Alla Confindustria, ai sindacati, ai commercianti, ad altre organizzazioni di lavoratori: all’Italia che produce, insomma, e che continua a lavorare».

Il Cavaliere, ma anche il partito di Fini e la Lega, accelerano perché sono stra convinti di vincere.
«La nostra campagna elettorale sarà improntata alla chiarezza: non vogliamo apparire come i rassegnati di turno. Diremo che il metodo di Berlusconi è un metodo arrogante; che lui, convinto com’è di avere il successo in tasca, sta riesumando il vecchio arcipelago di partiti e partitini già presentato nel 1994. E’ la quinta volta che Berlusconi si presenta all’elettorato con la stessa formazione di quindici anni fa».

L’annuncio di Veltroni di voler correre da soli, come Pd, non ha giovato al centrosinistra.
«Anche nei momenti più difficili, è opportuno parlare con un linguaggio chiaro. Il Pd ha la consapevolezza che non sarà più possibile governare con una coalizione formata da tanti partiti così distanti tra di loro, uniti dall’obiettivo di conquistare il premio di maggioranza».

Rischiate di isolarvi, come Partito Democratico.
«Non sono d’accordo. Non siamo né saremo chiusi alle alleanze purché queste siano compatibili con il nostro programma».

Non è più pensabile, allora, una coalizione che tenga assieme tutti i partiti del governo Prodi?
«Certo che no. La prospettiva di un governo con il Pd non può comprendere una maggioranza che vada da Rifondazione a Mastella com’è accaduto nel 2006».

Mastella, già. E’ stato lui che vi ha fatto cadere oppure tutto viene da più lontano?
«Su Mastella grava la responsabilità di essere passato in soli due giorni dall’appoggio esterno al voto contrario. Ma lui è giunto buon ultimo perché altri senatori, per la logica perversa di questa orribile legge elettorale, hanno minato le basi del governo fino a farlo cadere».

Beh, non è che il governo Prodi abbia brillato per risultati: almeno questo è il messaggio arrivato alla gente.
«Non concordo neanche in questo caso. Eravamo alla vigilia del varo di leggi importanti: la terza ondata di liberalizzazioni; provvedimenti per i servizi pubblici locali; misure di politica economica e internazionale. Ci stavamo per avviare alla fase di una nuova concertazione. Eppoi, va considerato che, per le ragioni che dicevo prima sulla composizione della nostra coalizione, molto spesso Prodi si dovuto impegnare alle mediazioni più esasperate: è difficile, in questa situazione, centrare in pieno l’obiettivo delle riforme. Ecco, tutto questo non dovrà più accadere».

Il vostro programma è apparso troppo ambizioso.
«No, quel programma ha rappresentato la sintesi di una coalizione troppo composita: per questa ragione, dicevo che il nuovo programma e l’azione di governo dovranno essere perfettamente coerenti».

Anche lei ha difeso ciò che il governo Prodi ha fatto in venti mesi, ma forse non siete stati efficaci nella comunicazione.
«Può darsi che siamo incappati in qualche errore di comunicazione e che la gente non abbia percepito esattamente ciò che è stato realizzato, ma tengo a precisare che un governo proiettato in una prospettiva di durata di 60 mesi necessariamente impiega la sua prima fase a realizzare una serie di riforme indispensabili, senza essere ossessionato dal consenso popolare».

Serve anche quello.
«Vero. Il governo Prodi però ha subito pensato a risanare i conti pubblici. Si spiega così l’ extragettito di 20 miliardi di euro: risorse che, se ce lo avessero consentito, avremmo restituito alle famiglie italiane. Forse le liberalizzazioni non sono state ben comprese perché sono stati toccati interessi. Forse non si è capito che volevamo indirizzare le risorse verso lo sviluppo, e non verso le rendite».

D’Alema ieri ha dichiarato che, in caso di sconfitta elettorale, non sarà un dramma tornare al vecchio mestiere di oppositori.
«Intanto noi vogliamo vincere e, come Partito Democratico, ci impegneremo per evitare che l’Italia sia ancora guidata da una coalizione di centrodestra, reduce da risultati fallimentari. Certo, esiste anche l’ipotesi della sconfitta, ma non pensiamo minimamente che un successo o un insuccesso possa mettere fine alla democrazia».

Con la seconda caduta del suo governo, l’epoca Prodi è terminata.
«Romano Prodi aveva sempre affermato che, al termine di questa esperienza, lui avrebbe considerato il suo percorso al capolinea, come premier».

Ha dichiarato di voler fare il nonno, ma ci credono in pochi.
«E infatti non farà solo il nonno. E’ sempre il presidente del nostro partito e la sua esperienza sarà ancora molto utile al Pd e al Paese».

Veltroni infatti è già in campagna elettorale.
«Anche questo è un fatto assodato e programmato: toccherà a Walter Veltroni raccogliere l’eredità di Romano Prodi».

E Antonello Soro, cosa farà?
«Intanto, per quanto dura questa legislatura, farà il capogruppo del Partito Democratico».

E nella prossima?
«Non potrò fare il nonno, come Prodi».

Perché?
«Non lo sono ancora».

PRIVACY POLICY