Chi non vuole il governo ombra

 

Il rischio che le divisioni e i poteri di veto di una componente sull’altra generino smarrimento nell’opinione pubblica di centro-sinistra appare pericolosamente concretizzarsi. Le reazioni dei Comunisti italiani e dei Verdi nei confronti della proposta, sostenuta dalla Margherita, di varare un governo ombra e di procedere all’individuazione di portavoce unici della coalizione non giovano alla credibilità di un’alternativa di governo da costruirsi per tempo, così da intercettare il consenso dei tanti delusi dall’operato della maggioranza.
Il Popolo, 19/06/2002

 

Francesco Rutelli ha richiamato l’importanza di assumere in tempi molto stretti le decisioni necessarie a definire gli assetti futuri della coalizione, a cominciare da quelle famose regole di convivenza interna tante volte auspicate e mai realizzate. Si tratta, in effetti, di questioni non più rinviabili, se non vogliamo continuare a rimanere nel mezzo del guado facendoci del male.
Poche sere fa mi è capitato di vedere in televisione il ministro Gasparri ironizzare sul centrosinistra: “il giorno dopo i ballottaggi – diceva in modo più o meno beffardo – dovendo commentare un risultato a loro dire positivo, non sono neanche riusciti a trovare un accordo su chi dovesse presentarsi in conferenza stampa…”.
Ecco: su questo nostro modo di essere la destra costruisce una polemica facile ed efficace, che mira a mettere in luce le divisioni di un’opposizione in cui troppo spesso sembrano prevalere i poteri di veto di una componente sull’altra.
Bisogna voltare pagina. Ciò che è successo a proposito della proposta sostenuta dalla Margherita di varare un governo ombra e di procedere all’individuazione di portavoce unici della coalizione in Parlamento, ha evidenziato limiti reali che rischiano di provocare disorientamento nell’opinione pubblica a noi favorevole. È bastato che Rutelli e Fassino – non solo, dunque, i leader delle due maggiori componenti della coalizione, ma anche il vertice “formale” dell’Ulivo – sostenessero la necessità di procedere in quella direzione, che subito è scattata l’”interdizione”, il potere di veto: il “solito” no. I Verdi e i Comunisti italiani hanno detto di non voler sentir parlare di governo ombra. Così si è dovuto rinviare il vertice dell’Ulivo già convocato, in attesa – si è detto – degli ”approfondimenti” necessari. Non so quali possano essere questi approfondimenti e dove condurrà l’estenuante discussione che si è immediatamente aperta. Ma ho chiari i motivi che sono alla base di certi veti ripetuti. Trascuro quelli legati a ragioni personali od alle vicende e ai calcoli inerenti la leadership dell’Ulivo che pure, a quattro anni dal voto politico, appaiono, se non grotteschi, almeno autolesionisti e comunque incomprensibili per chi, un anno fa ci ha votato.
Mi soffermo, invece, sulle ragioni politiche strutturali che oggi sembrano rendere molto difficile organizzare l’opposizione in modo da andare oltre quella che definisce la “condivisione di tanti no”.
Perché questo è il punto sul quale dobbiamo chiarirci davvero: noi siamo tutti d’accordo nel contrapporci con la massima fermezza ad una maggioranza e ad un governo che sta facendo del male al paese; e in molti siamo anche convinti che per vincere occorra realizzare quella connessione che impedisca la pericolosa frattura tra il riformismo e quella che D’Alema ha definito opposizione sociale. Ma poi non sembriamo tutti egualmente disponibili a ragionare su un credibile, articolato, coerente percorso da qui al 2006, fatto di contenuti ma anche di strumenti.
Si tratta di una questione decisiva. Perché è sempre più evidente che il blocco sociale che aveva creduto alle illusorie promesse di Berlusconi va rapidamente disarticolandosi, così come è indiscutibile il progressivo calo di consenso registrato dalla stessa leadership di governo, rilevato da tutti i sondaggi, ma svelato anche dai recenti risultati amministrativi soprattutto al Nord. E tuttavia non siamo ancora complessivamente consapevoli che noi non intercetteremo per inerzia questi ceti sociali, che avevano votato a destra nella convinzione che da quello schieramento – alleggerito di buona parte del vecchio bagaglio ideologico e culturale, abbandonato perché impresentabile e reso inservibile dalla Storia ma forse proprio per questo ritenuto più agile e adatto ad affrontare la modernità – potessero venire le risposte più utili per governare il cambiamento. Un anno è bastato per demolire quell’illusione e svelare la fragilità di politiche giocate esclusivamente sull’emotività delle persone. La delusione genera smarrimento. E non basterà il nostro essere politicamente distanti anni luce da questa maggioranza per recuperare al centrosinistra la fiducia della gente. Piuttosto corriamo tutti il rischio di un aggravarsi della crisi della politica e di un conseguente crescente distacco tra istituzioni e cittadini.
Dobbiamo allora costruire una alternativa che si fondi prima di tutto sulla nostra credibilità. E la credibilità la si dimostra mettendo in campo gia’ ora una proposta di governo; non all’ultimo momento. Non allestendo a ridosso delle elezioni l’ennesimo cartello elettorale, magari debole e contraddittorio.
Per questo ritengo che la strada del governo ombra, ancor prima dei portavoce unici, sarebbe una risposta giusta, perché misurerebbe agli occhi dell’opinione pubblica la nostra capacità di stare sui problemi, di dare risposte alternative serie e concrete a quelle pasticciate e improvvisate di questo governo. Non solo: il governo ombra – con l’assunzione di responsabilità che questo comporterebbe verso il paese – aiuterebbe comunque l’alleanza a crescere nel suo insieme, attraverso una positiva contaminazione di diversi riformismi, chiamati a concorrere non soltanto alla definizione di un programma condiviso, ma all’emergere di una nuova e originale cultura di governo. E a quel punto, sui contenuti, con grande laicità e libertà, verificheremmo le compatibilità politiche ed elettorali sulle quali chiedere dì essere giudicati.
Non si vuole percorrere questa strada? Si dica concretamente a quale alternativa si pensa. Dire “federazione dell’Ulivo” non può bastare, se non si ha chiaro che per stare insieme non è sufficiente avere lo Stesso avversario: bisogna cominciare a dire che cosa insieme s’intende fare.

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