Per non vivere di soli “no”

Le amministrative appena svoltesi sono l’occasione per alcune riflessioni sul futuro della Margherita e dell’intera coalizione. Bisogna andare oltre un’unità fondata sulla condivisione, peraltro pienamente legittima, di molti no al governo Berlusconi ed iniziare ad elaborare un programma alternativo. Il contenuto delle politiche che si propongono agli elettori, la credibilità delle classi dirigenti, la concretezza e la praticabilità delle risposte, la capacità di costruire fiducia in uno scenario sociale sempre più incerto devono essere i punti dai quali muovere per rilanciare il progetto ulivista.
Il Popolo, 12/06/2002

In Francia la sinistra piange sul risultato del primo turno delle politiche. In Italia il centrosinistra sorride per l’ottimo esito dei ballottaggi.
Segmenti diversi di un mosaico, quello del centrosinistra europeo, che deve ricomporsi in forme nuove per rispondere alla sfida della destra.
I dati politici, nel loro insieme, dimostrano, comunque che in Italia il centrosinistra tiene molto meglio che altrove. Alle elezioni politiche del 2001 l’Ulivo ha perso, nel maggioritario, di soli quattrocentomila voti. E ora le amministrative confermano il sostanziale equilibrio politico tra i due schieramenti. Il centrosinistra italiano, dunque, è vivo e ancora pienamente in gioco.
Non si tratta di cercare motivi per facili ottimismi o pretesti per altrettanto semplici autoconsolazioni in un panorama come quello europeo spazzato da un vento di destra che appare travolgente: il fatto è che il “caso italiano” può offrire spunti per riflessioni sul futuro. Non partiamo da zero.
E allora dovremmo guardare avanti, cominciando con l’assumere maggiore consapevolezza di ciò che abbiamo già fatto. Forse è un paradosso: ma è come se le difficoltà abbiano finito con il condizionarci a tal punto da leggere le nostre scelte come dettate da esigenze “difensive”.
Invece la storia politica italiana può essere letta in positivo, cercando di rintracciare – scavando tra contraddizioni e incertezze – le ragioni di una originalità che può essere considerata una risorsa anche per l’Europa.
Già nel ‘96, ad esempio, l’Ulivo si presentò agli elettori con l’ambizione di essere qualcosa di più di una tradizionale coalizione o un semplice contenitore di diverse culture politiche.
Ora si può affermare che, al di là di molte delusioni, lo spirito dell’Ulivo – forse anche per quell’eterogenesi dei fini che talvolta ispira la politica – ha animato un laboratorio nel quale il riformismo è maturato e ha prodotto risultati.
La mia personale esperienza di capogruppo nella scorsa legislatura mi ha portato a verificare quanto nella concreta, quotidiana azione parlamentare si riducesse gradualmente la distanza tra le diverse tradizioni politiche all’interno della coalizione e quanto nello stesso tempo emergesse un patrimonio comune largamente condiviso, fatto di programmi, cultura di governo, volontà di stare dentro la modernità dimostrando capacità di innovazione.
Le alchimie della politica astratta hanno in parte dilapidato questa ricchezza.
Con questo rischio deve fare i conti anche la Margherita. Quella che è una intelligente scelta strategica, coerente con il percorso politico che ho ricordato, per alcuni è stata, e forse per qualcuno continua ad essere, una sorta di costrizione. L’unica via di fuga possibile rispetto all’inevitabile declinare dei partiti, poco più che un rifugio.
Questo almeno per una parte della classe dirigente, perché invece gli elettori hanno saputo riconoscere nella Margherita una novità attraente soprattutto perché capace di recuperare e rilanciare proprio quel nucleo del progetto ulivista che i partiti avevano fatto cadere.
Insomma, prima l’Ulivo, poi la Margherita – dentro il disegno politico dell’Ulivo – hanno rappresentato risposte innovative e coraggiose di un progetto che, per non rimanere incompiuto, ha bisogno di ulteriori passi.
È sempre più evidente, infatti, che le risposte che i riformisti e, più in generale, lo schieramento progressista, cercano per fronteggiare l’offensiva politica e culturale delle destre si trovano in gran parte fuori del perimetro delle tradizionali e logore appartenenze.
Non è un caso che la sinistra perde di più laddove si presenta con schemi vecchi e inadeguati, o, per essere più chiari, dove ripropone semplicemente la sua natura socialdemocratica.
Non credo nemmeno che il problema stia nelle dosi: più centro, o più sinistra. Né ho mai ritenuto saggio pensare ad equilibri geometrici delle coalizioni. Il problema vero, sostanziale, è il contenuto delle politiche che si propongono agli elettori, la qualità dei programmi, la credibilità delle classi dirigenti, la concretezza e la praticabilità delle risposte, la capacità di costruire fiducia in uno scenario sociale sempre più dominato da paure e incertezze. C’è chi, al contrario, di fronte alle difficoltà propone il ritorno al passato.
Dobbiamo riconoscerlo: siamo ad un bivio. Si apre ora, di fronte a noi, una competizione, che deve essere leale e ideale ma non muscolare, tra due idee politiche diverse. C’è chi si preoccupa di realizzare una unità fondata esclusivamente sulla condivisione di molti no.
Trovandoci all’opposizione è facile ritrovarsi d’accordo nel dire con convinzione tanti di quei no: all’ingiusta riforma fiscale di Tremonti; alla strisciante privatizzazione della Sanità; alla “trilogia della vergogna” in materia giudiziaria imposta ad uso e consumo di Berlusconi. E così via: vista la natura di questo governo, la materia non mancherà.
Ma solo sui no non si costruisce una politica di governo. Non è scontato sottolinearlo: su questo punto dobbiamo abituarci ad essere più chiari e sinceri tra noi. L’allargamento dell’Ulivo, ad esempio, di cui molti parlano dandolo per scontato, non può prescindere da regole precise di convivenza interna e soprattutto da scelte coerenti in termini di programma.
Se non vogliamo che quell’allargamento produca solo un fragile cartello elettorale costruito su equivoci ed ambiguità ipocritamente ignorati, dobbiamo mettere in campo un progetto di governo coerente, moderno e credibile. Altrimenti l’esperienza del primo Ulivo non ci avrà insegnato nulla. Invece dobbiamo non solo vincere le elezioni: dovremo anche essere nelle condizioni di governare.
Dobbiamo allora pazientemente cercare le risposte capaci di coniugare le nuove domande di libertà, la tutela dei nuovi diritti, il bisogno di sicurezza, con una prospettiva che riconosca la coesione sociale come pilastro fondante del nostro vivere.
Sappiamo che quelle risposte potranno essere diverse, ma anche che non ci dovrà essere equivoco tra il nostro profilo riformista e di forza di governo e certe scivolate massimaliste e protestatarie come quelle che a volte Diliberto, a volte Pecoraro Scanio (solo per fare un esempio) vorrebbero imporre all’Ulivo.
Non amo le citazioni ma come direbbe Francesco Guccini: “Bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà”.

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