Passato il referendum, la legge elettorale

L’Unità, 14/04/1999

 

Onorevole Soro, ma è vero i Popolari hanno cambiato opinione sul doppio turno di collegio? Eppure è la novità principale della proposta di legge Amato-Villone, che anche voi avete sostenuto.
Non solo non abbiamo cambiato idea, ma anzi è proprio in ragione di quella proposta di riforma del sistema elettorale – che ha un carattere di organicità, prevedendo non solo il doppio turno ma anche il premio di maggioranza e il diritto di tribuna – che noi consideriamo inutile il referendum del 18 aprile.

Sembra però che a piazza del Gesù il segretario del Ppi Franco Marini abbia usato parole molto dure sulla proposta di doppio turno degli alleati diessini…
Purtroppo il dibattito politico viene talvolta condizionato in modo distorto da retroscena, a volte veri a volte un po’ fantasiosi. In realtà, in Senato si è già raggiunto un punto d’incontro. Un punto d’incontro che, naturalmente, non corrisponde al modello ottimale per nessuna delle componenti che pure si sono poi ritrovate in quel testo. Ma l’evoluzione del confronto politico dopo la Bicamerale ha portato a trovare la convergenza in un sistema che mette insieme la risposta a un bisogno di governabilità e a quello di una rappresentanza delle più importanti correnti politiche del nostro paese. Dunque il nostro sostegno a quel disegno di legge rimane, come anche la volontà, espressa sin dal primo momento, di ricercare un consenso più largo di quello della maggioranza. Nel Polo esistono componenti che non hanno rinunciato a una nuova stagione di riforme.

Walter Veltroni però ripete che senza la vittoria del “sì” al referendum quel processo di riforme rischia di saltare.
Trovo sorprendente che si voglia interpretare la risposta positiva a questo referendum come un svolta che crea le condizioni per una stagione di riforme, mentre invece l’approvazione della legge Amato sarebbe solo un fatto residuale. A meno che non si voglia attribuire ai referendum un significato più esteso di quello contenuto nel quesito referendario, caricarli di suggestioni, di interpretazioni risolutive di tutti i problemi. Mario Segni da dieci anni sostiene con enfasi che la vittoria del “sì” risolverà tutti i problemi del Paese. Poi questo non accade, e si crea anche una certa sfiducia dei cittadini nei confronti del referendum.

Ma lei non crede che se dovesse vincere il “no” o se non si raggiungesse il quorum le posizioni, anche quelle del Ppi, finirebbero per irrigidirsi e che la legge elettorale finirebbe nel cestino?
Non mi pare, anche perché i protagonisti della politica sono sempre gli stessi, che partecipino ai vari tavoli referendari o al dibattito in Parlamento. E allora non può essere che un leader di partito è bipolarista e riformista quando sostiene il quesito referendario e cessa di esserlo se sostiene la legge Amato-Villone. La consapevolezza che quello contenuto nel quesito referendario è un mostro giuridico non ci sottrae dall’impegno per la definizione di una nuova legge elettorale, qualunque sia l’esito del referendum. E non una legge ipotetica, ma quella approvata dal Consiglio dei ministri.

E invece, se vincesse il “sì” sarebbe più difficile trovare un accordo più vasto, anche con il centrodestra, come chiedono il Popolari?
No, credo che sia indifferente. Perché il centrodestra e il centrosinistra sono largamente rappresentati sia tra i sostenitori del “si” che tra quelli del “no”. Se poi qualcuno immaginava di cavalcare un’onda di grande popolarità attraverso il referendum, si è sbagliato di parecchio.

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