Economia, una primavera in affanno

Il Popolo, 19/03/1999

 

Negli esigui spazi di attenzione lasciati liberi dai mille appuntamenti primaverili del Palazzo politico, si è avvertito l’affanno dell’economia reale e quindi di uno stato d’incertezza per il benessere degli italiani.
Tutte le stime parlano di una crescita lenta: nell’anno in corso l’economia italiana segnerà il passo, fermandosi all’1,5 per cento, in un quadro europeo di generale rallentamento. La stima non suscita sorprese né, di per sé, eccita reazioni scomposte nel governo. E tuttavia non sfugge a nessuno il contestuale trend positivo dell’economia statunitense e in generale dell’area del dollaro, né sfugge che il contrasto tra la prosperità americana e la stagnazione del nostro continente fa accumulare al nostro sistema produttivo un ritardo di investimenti e quindi di dotazione tecnologica. Esiste il rischio che si formi un ritardo strutturale che può essere pregiudizievole del nostro futuro.
In questa cornice è esplosa la polemica intorno alla segnalazione, formulata dal Governatore della Banca d’Italia, di una fuga di capitali italiani oltre frontiera. I dati sugli investimenti diretti degli imprenditori italiani all’estero e di quelli stranieri in Italia non lasciano dubbi di sorta: quasi trentamila miliardi i primi, poco più di cinquemila i secondi nel 1998. Due anni prima il saldo negativo era pari a tremila miliardi.
Confindustria e sindacati hanno ripreso una pratica del lamento e della contestazione reciproca che sembrava essere stata cancellata dal patto sociale di dicembre. E molti commentatori hanno ripreso a parlare del rischio di una colonizzazione e a domandarsi se non occorra riprodurre sistemi di protezione o di limitazione al dispiegarsi di una libera circolazione dei capitali.
Credo che occorra realisticamente trovare la misura di un giudizio né rassegnato né isterico. La dimensione globale dei mercati non tollera barriere e la pretesa di una riproduzione artificiale di confini nazionali è del tutto anacronistica: si tratta di comprendere l’essenza della questione.
Tre considerazioni mi sembrano ragionevoli. La prima: la lunga rincorsa dell’Euro ha imposto una radicale riaggiustamento dei bilanci statali, ha limitato l’ammontare degli aiuti pubblici al settore produttivo, ha impedito il tradizionale rifugio nella svalutazione della moneta. In questo quadro non si può escludere che molte imprese italiane abbiano avuto scarsa fiducia nel successo del centro sinistra e nel risanamento dei conti: e che per questo abbiano preferito orientare nei mercati esteri i loro investimenti. Ma non credo sia questa la ragione di quel saldo negativo.
Noi siamo molto forti come esportatori commerciali, vendiamo bene i nostri prodotti; ma fino a poco tempo fa eravamo un paese di imprenditori timidi negli investimenti sui mercati esterni. Ora avviene che questi crescano ed è un bene, perché una forte capacità di esportare si difende se su quei mercati ci si radica come investitori. Ma è indispensabile che il flusso dei capitali non si muova a senso unico. Dobbiamo evitare che in Italia entrino capitali stranieri solo per operazioni finanziarie: perché questo rischierebbe di indebolire il nostro sistema industriale e alla lunga di trasformarci in una grande area di consumo per beni prodotti all’estero. Per stimolare gli investimenti industriali nel nostro Paese è indispensabile creare ragioni di convenienza, operando su fisco, flessibilità, ricerca e procedure: quattro fattori di attrazione che noi possiamo modulare. Se non creiamo ragioni di convenienza, gli auspici di una forte struttura economica italiana diventano grida manzoniane.
Il Parlamento ha in carico due provvedimenti legislativi che contengono misure decisive per tradurre la volontà manifestata con il Patto sociale in azione concreta ed efficace di stimolazione del nostro sistema economico. Nessuna emergenza elettorale o referendaria può giustificare un ritardo nell’esame e nell’approvazione di queste leggi: la maggioranza che sostiene il Governo D’Alema meriterà la fiducia degli italiani se saprà trovare la forza di anteporre queste scelte alle convenienze di parte.

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