Il popolarismo come bussola

Il Popolo, 02/03/1999

 

È una partita doppia quella davanti a noi, che il Partito popolare ha cominciato a giocare e che avrà i risultati che riusciremo a determinare. La prima partita avrà i suoi esiti immediati nei i prossimi mesi: il referendum elettorale, il Quirinale, le elezioni europee, quelle amministrative. La seconda è di più lunga portata, ma anch’essa si gioca giorno dopo giorno per l’affermazione di una certa idea della democrazia italiana rispetto a una crescente tentazione di “pensiero unico” che, dietro la lusinga della semplificazione, mira piuttosto all’impoverimento del tessuto politico del nostro Paese.
Il Partito popolare rappresenta oggi un dato importante di stabilità dell’alleanza di centro sinistra. Lo siamo in termini di lealtà con gli alleati, di sobrietà di comportamenti, di equilibrio in tutte le proposte che avanziamo, a cominciare da quelle in materia istituzionale. Non ci appartiene la inconcludente litigiosità di altri, la nostra coerenza politica e parlamentare è, per fortuna, davanti agli occhi dei cittadini.
Questo è un dato di responsabilità, un ancoraggio a ciò che poi conta davvero nella vita del paese, anche se da solo non basta in un quadro che da parte di altri si cerca invece di complicare e di frammentare ulteriormente. C’è questa contraddizione tra l’aspirazione forte a una maggiore stabilità di segno bipolare, più europeo se vogliamo, e i colpi di coda di tutto un movimentismo politico legato insieme a vecchie logiche e nuovi protagonismi personali. Il sistema proporzionale delle prossime elezioni europee sta facendo purtroppo da catalizzatore a questo soprassalto di competizione dentro le stesse aree di appartenenza, salvo i cocci che bisognerà rimettere insieme la sera del 14 giugno prossimo.
Questo è il primo aspetto da contrastare, la prima partita che stiamo giocando. Ma su questa si innesta l’altra, più di prospettiva e più generale ancora, eppure anch’essa straordinariamente coinvolgente dei nostri comportamenti concreti di ogni giorno. Occorre offrire agli italiani una proposta di contenuti e di valori che renda visibile l’attualità e la grandezza del popolarismo. Così, ogni giorno, va demolita la competizione intorno a sigle e bandierine di vecchi e nuovi tromboni della politica italiana. Questo vogliamo fare, altro che qualche mediocre tentativo di annessione di transfughi da una parte all’altra degli schieramenti politici.
Io credo che noi popolari non faremmo una cosa intelligente né utile se pretendessimo di raccogliere il consenso degli italiani incerti e preoccupati attraverso la mediazione di una dirigenza spesso vecchia, stanca, che ha cumulato troppi errori di valutazione negli anni passati per poter avere titolo a guidare i processi del futuro. Senza polemiche, senza inutili ostracismi, ciò che dobbiamo fare è diverso, è confermare con molta chiarezza che la grande apertura di cui il nostro partito ha bisogno è rivolta a quella estesa fascia di italiani che sentono una forte vocazione sociale, che avvertono il bisogno di restituire alla politica un supplemento d’anima, che trovano insopportabile rassegnarsi a un pensiero dominante che restringe ai più fortunati il diritto di cittadinanza, nell’indifferenza verso i fenomeni di emarginazione sociale che colpiscono una parte non irrilevante del nostro Paese e che possiamo emblematizzare nella difficile condizione giovanile e in quella di tante zone del Meridione.
L’appello al popolarismo che abbiamo rivolto trova qui la sua ragione d’essere. C’è una diffusa preoccupazione del mondo cattolico, del mondo democratico tutto su questi temi. La sintonia che ricerchiamo va in questa direzione. La proposta politica dei popolari vuole assumere questo riferimento e questo rilievo, che troverà un momento importante nell’assemblea nazionale di fine mese.
Dobbiamo mobilitarci per saper spiegare le nostre posizioni. Noi non abbiamo incertezze nell’assumere come obiettivo essenziale quello di uno Stato più efficiente e di una governabilità più solida da ricercare anche attraverso gli opportuni cambiamenti della legge elettorale. Ma nel nostro codice genetico c’è una resistenza altrettanto forte a tutto ciò che monta sugli umori e sulle mode del momento.
Il referendum elettorale è un’arma a doppio taglio in questa direzione. Stiamo assistendo a un uso del referendum come tribuna per l’autopromozione politica, come “strumento” per lanciare la compagna elettorale europea, e tutto ciò sta avvenendo nella più completa indifferenza verso il merito, verso i contenuti della legge elettorale.
Ogni discussione sul merito di questa legge viene esorcizzata nel nome di un primato del voto dei cittadini, brandito come un’arma della quale qualcuno ritiene di avere la disponibilità esclusiva. Eppure, anche qui non basta dire “no”.
Occorre che questo no sia accompagnato da una nostra risposta propositiva alla nuova domanda di governabilità che noi intendiamo come nuova e più incidente capacità di partecipazione, non come la deriva del plebiscito.

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