Ambiente e sviluppo

Discorso in Consiglio regionale, ottobre 1989

Sinceramente proviamo un po’ di sorpresa per il tono e per l’atteggiamento radicale, a tinte molto forti, che ha connotato l’intervento del collega Ladu del Partito comunista. Questo atteggiamento così radicale, così pieno di certezze (come faceva osservare il collega Manchinu) quanto meno contrasta con la complessità non tanto e non solo della materia, in ordine alla quale stiamo discutendo oggi, ma con la complessità delle relazioni che si sono stabilite tra questa legge, i comportamenti politici e gli effetti che hanno determinato nello scenario più complesso della politica regionale e della società.

E’ una legge, questa approvata nell’aprile scorso con la Giunta di sinistra, rinviata dal Governo ed oggi nuovamente in discussione con una Giunta di pentapartito che noi consideriamo importante e fondamentale, e non da oggi. Tale l’avevamo considerata nella scorsa legislatura, e cioè una delle leggi più importanti per l’Autonomia regionale. Avevamo, in più modi e con una pluralità di iniziative, sollecitato l’attivazione della legge che disciplina il territorio e ne tutela i caratteri e le connotazioni naturali. Si è detto della nostra opposizione in quel momento. Ma se si dovesse valutare il grado di opposizione manifestato e preannunciato dal Partito Comunista, e per il tono del suo primo relatore e per il numero degli iscritti a parlare, dovremmo dedurne che il Partito Comunista si oppone all’approvazione di questa legge.

Questo tentativo, operato con un supporto esterno allo stesso Consiglio regionale e alle stesse forze politiche, di assumere nella vicenda urbanistica i toni e i ruoli di una contrapposizione radicale, configura un processo di progressiva disinformazione della gente sui contenuti dell’attività legislativa. Noi non facciamo un buon servizio nei confronti della nostra Autonomia, del nostro ruolo di interpreti dell’Autonomia, di legislatori, di operatori della politica tutte le volte che concorriamo ad accentuare i processi di disinformazione che travolgono la conoscenza della gente, che orientano le scelte e le valutazioni, gli atteggiamenti politici in relazione a dati presunti e il più delle volte non veri.

Vorremmo svolgere i lavori di questo Consiglio intorno alla riapprovazione della legge urbanistica in un clima decisamente più sereno e insieme più attento ai contenuti della materia che dobbiamo discutere. Una rilettura del dibattito che si svolse in aprile in questo Consiglio regionale, sfrondata dai toni enfatici, dalle aggettivazioni forti, mette in evidenza che nel Consiglio regionale si erano manifestate tutta una serie di convergenze e, in termini positivi, di condivisione di obiettivi generali della legge e delle politiche della Regione in direzione del governo del territorio.

Tale serie di bisogni, di esigenze, di problemi, di aspettative intorno alla legge urbanistica si pongono anche in questo momento e tali obiettivi, condivisi all’interno del Consiglio regionale, non hanno trovato soluzione in questo articolato di legge.

Avevamo posto il problema di conciliare la politica dei vincoli con gli obiettivi e le politiche della programmazione. Un autorevole esponente dell’allora maggioranza dichiarò che la politica dei vincoli è l’affermazione del fallimento della politica di programmazione. Ebbene, da questo non discende il superamento dei vincoli: la necessità dei vincoli rimane un’esigenza non eludibile, ma certamente si pone il problema di conciliare la politica dei vincoli con la politica della programmazione. Ponevamo, allora, l’esigenza di dare norme che fossero insieme chiare e semplici, capaci di eliminare le sovrapposizioni e le antinomie delle vecchie normative di settore, di rendere la norma immediatamente fruibile dai cittadini. Quindi anche oggi abbiamo bisogno di avere una legge urbanistica che sia comprensibile per tutti, che dia certezze al cittadino. Esisteva l’esigenza di coniugare le norme di salvaguardia con la certezza del diritto, di snellire le procedure di formazione degli strumenti urbanistici, garantendo il controllo sociale e la tutela dei cittadini, ma insieme rispettando gli ambiti di autonomia degli enti locali che nella gestione del territorio realizzano il punto più alto di esposizione sociale.

Come c’era l’esigenza di conciliare il bisogno che esiste in Sardegna con le mutate condizioni dell’economia sarda e delle normative che hanno sostanzialmente modificato i processi di formazione e di attuazione dei piani per l’edilizia economica e popolare.

Noi oggi esaminiamo questa legge regionale rinviata in una cornice politica differente: la maggioranza è di segno diverso da quella che ha governato l’approvazione della legge nel mese di aprile. Questo non deve creare delle attese di stravolgimenti da un lato, né dall’altro di abiure da parte di nessuno. Nessuno, né i partiti che erano in quella maggioranza, né i partiti che sono stati all’opposizione rispetto a questa legge debbono fare oggi delle abiure. La maggioranza che governa la Regione in questo momento ha assunto una decisione estremamente chiara: non entrare nel merito del corpo della legge e dell’articolato, ma limitare gli interventi unicamente alla parte della legge che è stata oggetto di rinvio governativo, intervenendo in una parte conclusiva della formazione della legge.

Se il rilievo governativo avesse riguardato esclusivamente la norma finanziaria, noi avremmo fatto emendamenti solo sulla norma finanziaria, per essere molto chiari, La prima considerazione che vogliamo fare è che noi vogliamo che questa legge sia approvata: lo volevamo nel mese di aprile, lo confermiamo oggi pur avendo presente la complessità della materia, le forti ragioni di insoddisfazione che noi non crediamo appartenere esclusivamente al gruppo della Democrazia Cristiana.

In questa materia c’è un’evoluzione continua. Farebbe male chi pensasse che la registrazione di una diffusa e nuova conoscenza in ordine a questa materia rappresenti un atto di trasformismo o di accomodamento. Noi sappiamo che sono forti i riflessi di questa legge sugli interessi generali della società sarda. Ma sappiamo anche che va emergendo nell’ambito della nostra Regione una dimensione diversa, una sensibilità diversa: il tentativo di portare dentro questo Istituto i bisogni che sono rimasti fuori dalla storia dell’Autonomia, i bisogni che sono oltre il materiale che ha regolato, condizionato, ed arricchito di storia la vita della nostra Autonomia.

Noi oggi proviamo una sensazione: che l’Istituto Autonomistico possa e debba arricchire la sua vita di una sensibilità diversa perché rivolta ai bisogni cosiddetti nuovi della nostra società, e fra questi certamente è necessaria una maggiore attenzione a quello dell’ambiente, all’emergenza dell’ambiente.

In Sardegna si intreccia questa nuova coscienza, questa nuova considerazione del bene ambientale, con una più generale consapevolezza che esiste una connessione tra il territorio, la natura, la storia e l’identità della Sardegna. La coscienza nuova dell’ambiente che sta emergendo è insieme una nuova e più matura coscienza di sé che la Sardegna va vivendo, ed il bisogno di tutelare l’ambiente, di non cedere alle lusinghe di un richiamo innovativo che spinge a consumare parti del territorio e di geografia della Sardegna, in un rapporto di scambio mercantile. Questa lusinga appare ancora più attraente quanto più forti sono le ragioni di insoddisfazione della nostra economia, più scarse le occasioni di crescita e di sviluppo. Il bisogno di resistere a questa lusinga appare uno dei punti sul quale misurare la qualità del nostro governo e della nostra coerenza con gli obiettivi dichiarati di tutelare l’identità della Sardegna. Quindi il bisogno di tutelare insieme l’ambiente, la geografia, la qualità della nostra cornice naturale equivale e convive con un bisogno sempre forte di tutelare la nostra identità.

Questo è un obiettivo che nella nostra considerazione comanda su tutti: nella gerarchia dei valori che guidano e regolano la vita della nostra Regione deve essere al primo punto. Quando si pone il problema di coniugare l’ambiente e lo sviluppo. Un’esigenza legittima, che appartiene anch’essa ai problemi vivi della nostra modernità: lo sforzo di mediazione non può intaccare il valore che nella gerarchia viene primo.
Non potremo mai subordinare la nostra identità allo sviluppo. Nella stessa misura non potremo mai subordinare al nostro sviluppo la conservazione di quel valore più ricco di identità che è la natura, l’ambiente, la geografia in cui abbiamo vissuto e abbiamo formato per secoli di storia quella coscienza che è la coscienza di popolo sardo.

Se noi avessimo dovuto impostare oggi una nuova legge urbanistica, il gruppo della Democrazia Cristiana, probabilmente, avrebbe svolto in questa sede proposizioni di contenuto differenti da quelle che abbiamo formulato in sesta Commissione riapprovando la legge. Ma noi interveniamo in una fase conclusiva e prevale sopra ogni perplessità l’esigenza di attivare la legge, di approvare i nuovi moduli del riordino e della semplificazione delle norme legislative, dando la possibilità di arginare, di interrompere i ritmi di crescita e di insediamento che sono oggi in corso.

L’impegno assunto è stato quello di limitare il nostro intervento ai rilievi governativi L’entità dei rilievi, così come sono stati formulati dal governo cosi come si possono leggere nella formulazione molto più esplicita che ne ha fatto il Ministero competente, sono tali che se noi li avessimo accolti tutti e per intero, probabilmente avremmo dovuto rinunciare alla riapprovazione della legge.

Abbiamo ristretto l’ambito di intervento dei rilievi su quelli che abbiamo ritenuto contrastare su una serie di valori, di affermazioni, di garanzie che vanno al di là della competenza che pure, e larga in materia di urbanistica e che riguardano la costituzionalità, la tutela di alcuni diritti che noi in qualche misura potremmo violare.

Noi riteniamo che le norme di salvaguardia debbano comunque assicurare un punto di non ritorno, un punto nel quale si interrompe il processo di crescita disordinata che l’attuale legislazione rende possibile. Ma i rilievi non intervengono sull’obiettivo del vincolo, non mettono in discussione, giustamente, che la legge urbanistica possa introdurre vincoli, anche molto estesi, Il rilievo interviene per l’impossibilità di vincoli che siano confliggenti con i diritti acquisiti dai singoli cittadini che hanno ottenuto una concessione edilizia ma, per esplicita dizione di questi atti, esso fa riferimento ai piani attuativi regolarmente convenzionati e/o attuati ponendo anzi un problema che rimane insoluto, che noi vorremmo risolvere.

Il problema che si pone non riguarda solo le singole concessioni ma anche le lottizzazioni convenzionate: si pongono dei problemi che noi vorremmo risolvere trovando la soluzione migliore. La Commissione, la maggioranza hanno individuato una strada. Può darsi che sia una strada perfettibile. Su questa possiamo misurare soluzioni più idonee, ma al momento è questa che noi abbiamo considerato essere la migliore.
Certamente non dobbiamo affrontare il problema in termini di quantità perché nella drammatizzazione giornalistica che se ne fa, certamente non per effetto di una fantasia di giornalisti ma di informazioni e disinformazioni, il problema non è di quantità. Perché se è vero che negli ultimi dieci anni, cioè dall’entrata in vigore dei piani di disciplina delle zone F costiere, in quel ambito sono stati autorizzati, cioè decretati, meno di 8 milioni di metri cubi su tutti i comuni della fascia costiera, è verosimile che molte di queste autorizzazioni siano scadute.

Allora, il ragionamento che dobbiamo fare non è di quantità, ma di attenzione e di soluzione del problema principale che noi abbiamo posto: la garanzia dei diritti che la Costituzione tutela, di quei diritti dai quali non possiamo prescindere e che, una volta che avessimo depurato dalla passione, e dall’enfasi dei discorsi, probabilmente si troverebbero punti di incontro all’interno di questo Consiglio molto più praticabili. D’altra parte, appare contraddittorio il tono così violento nel voler impedire che un solo metro cubo venga più costruito sulle coste da parte di chi avendo avuto responsabilità di governo già dal 1985 poteva mettere in essere il divieto proveniente dalla legge Galasso ed ha atteso l’estate 1989 per bloccare per almeno 300 metri la costruzione sulle coste.

Questa contraddittorietà emerge anche da un’altra scelta: con la legge approvata si è cancellato un istituto previsto dalla legge regionale 17/1981 che consentiva al servizio regionale per il governo ed il controllo degli abusi edilizi una iniziativa diretta nella repressione, sollevando i sindaci dalla responsabilità unica di far fronte a quel momento di conflitto sociale che è l’abuso edilizio. Con l’abrogazione della citata legge regionale 17/1981 si è soppresso anche lo strumento fondamentale di vigilanza che, così come configurato dalla stessa legge, non è più comparso nella legge regionale 23/1985 che rimane invece richiamata in questa. Quindi noi ci troveremo a fissare dei vincoli con grande difficoltà a farli rispettare. Lo pongo all’attenzione dei colleghi come uno dei problemi, dei tanti, che rimangono aperti.

Noi pensiamo che una volta rimossa, come dicevo, quel tanto di enfasi e di mobilitazione propagandistica, quella dei mattoni, che appare un po’ contraddittoria con le riaffermate intenzioni costruttive di questa opposizione, potremo confrontarci meglio sul contenuto di questo articolato e di questa legge e concorrere non solo all’approvazione pronta della legge urbanistica ma contribuire anche a dare un grado di informazione all’esterno del Consiglio regionale che sia più rispettoso della verità.

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