Liberalizzazioni, troppe parti in commedia

30 novembre 2006

 

La coalizione di centrosinistra, nonostante le fosche previsioni di coloro che in soli cinque anni sono riusciti a far tornare l’Italia nelle ultime posizioni di quasi tutte le classifiche di competitività, ha dimostrato sinora una eccezionale capacità di coesione nell’affrontare problemi resi indifferibili dal malgoverno delle destre: contenimento della spesa pubblica e rispetto dei vincoli comunitari, riequilibrio delle disuguaglianze economiche e delle disparità sociali, lotta all’evasione e all’illegalità.

Questa unità di intenti, questo spirito di squadra, non va assolutamente perduto ora che appare finalmente possibile inserire nell’agenda di governo quelle tematiche di sviluppo, di crescita ed efficienza, di qualità dei servizi, che differenziano un governo realmente riformista da uno preoccupato solamente di mantenere il consenso elettorale ottenuto, insomma di tirare a campare.

Se riusciremo a liberarci dei pregiudizi e sapremo aprire un serio confronto di merito dentro il centrosinistra, non sarà difficile trovare la giusta sintonia per dispiegare efficacemente una nuova fase del progetto di governo, a partire da un’altra stagione di liberalizzazioni che serva a far emergere le tante potenzialità presenti nel nostro paese.

Se si vuole realmente dare il segno tangibile di un nuovo corso, mi sembra opportuno avviare questo intervento riformatore dal livello di governo più vicino alla collettività, e quindi da quei servizi pubblici locali che rappresentano il punto più esposto per misurare il rapporto di fiducia tra cittadino e istituzioni.

Il settore dei servizi pubblici locali è stato oggetto, negli ultimi anni, di una produzione legislativa sovrabbondante, che ha prodotto un forte disorientamento negli operatori e ha, al tempo stesso, consentito alle amministrazioni di poter operare sottraendosi alle regole del mercato.

Il progetto di arrivare progressivamente a liberalizzare il mercato dei servizi pubblici locali, avviato negli anni Novanta, ha subito una brusca frenata negli anni del governo Berlusconi, durante i quali è prevalso quasi ovunque l’affidamento diretto a società a capitale interamente pubblico controllate dall’ente locale proprietario.

Sul punto occorre essere chiari.

Anche all’interno della nostra coalizione vi è chi è pronto ad arroccarsi su posizioni di strenua difesa delle rendite monopolistiche che le imprese locali sono in grado di assicurare ai comuni, temendo altresì di perdere quel controllo del territorio, anche in termini di influenza sul corpo elettorale, garantito dall’erogazione diretta di servizi pubblici alla collettività. Si tratta, a mio parere, di un’impostazione sbagliata sotto ogni punto di vista.

Fermo restando il mantenimento in capo agli enti locali della proprietà dei beni (reti e impianti) destinati al servizio pubblico locale, la strada non può che essere quella dell’apertura al mercato, del confronto concorrenziale, se si vuole realmente fornire all’utenza servizi di qualità con tariffe più basse, garantendo inoltre occasioni di sviluppo per le imprese che mirano a crescere e innovare.

Gli obiettivi di liberalizzazione e di introduzione di meccanismi di competizione per il mercato richiedono sforzi aggiuntivi e vanno ben oltre quanto, pur d’importante, fatto con le privatizzazioni degli anni Novanta. Queste solo raramente hanno determinato il trasferimento del controllo sulle ex municipalizzate dagli enti locali proprietari al settore privato. Le amministrazioni comunali hanno, infatti, preferito non cedere ai privati la governance delle ex municipalizzate mantenendo sia le funzioni di indirizzo e programmazione, sia quelle di gestione delle aziende medesime attraverso ampie partecipazioni nel loro capitale. Non si è trattato quindi, se non in casi limitati, di privatizzazioni di carattere sostanziale, ma piuttosto di operazioni finanziarie tese ad alleggerire la pesante posizione debitoria dell’ente ricorrendo a nuovi canali di finanziamento della spesa.

Anche le successive operazioni di aggregazione, integrazione, fusione tra ex municipalizzate, concepite nell’ottica di una progressiva riorganizzazione dell’offerta in una logica di preparazione al mercato, non sembrano aver conseguito quei risultati attesi in termini di razionalizzazione ed efficienza dell’azione, rischiando, al contrario, di consolidare posizioni di rendita e di ampliare il divario tra un numero relativamente piccolo di soggetti forti già presenti sul mercato e operatori economici che vorrebbero accedervi ma che incontrano barriere all’ingresso.

A fronte di tali distorsioni, l’unica soluzione possibile è quella di conferire i compiti di servizio pubblico locale attraverso una generalizzata procedura d’appalto equa e trasparente, basata sulla parità di condizioni per tutti i concorrenti. Il ricorso alla concorrenza deve costituire il metodo ordinario, con il solo limite di non compromettere la missione di interesse generale delle imprese affidatarie del servizio, quando cioè ricorrano motivi di pubblico interesse di natura non economica tali da escludere l’applicazione di criteri di concorrenzialità. E tale circostanza deve essere adeguatamente valutata e motivata.

Quando, invece, per le caratteristiche economiche e tecnologiche di un’attività o di un settore, sono presenti soggetti economici in numero adeguato in grado di svolgere quella determinata attività e la competizione tra di loro può comportare significativi vantaggi per gli utenti del servizio, l’unica strada pienamente legittima è quella della gara, del confronto concorrenziale.

Tutto ciò non significa negare l’autonomia costituzionalmente garantita degli enti locali, ma resta il fatto determinante che l’individuazione delle modalità da osservare nell’erogazione dei servizi di pubblica utilità concerne interessi e valori ­ imparzialità, parità di trattamento, divieto di discriminazione, trasparenza, la stessa tutela e promozione della concorrenza ­ sottratti alla disponibilità dell’ente locale e la cui applicazione va assicurata uniformemente.

Per queste ragioni è ampiamente condivisibile l’impostazione del disegno di legge Lanzillotta, che fonda la nuova disciplina sul ricorso generale a procedure competitive a evidenza pubblica nella scelta del gestore, consentendo solo eccezionalmente forme diverse di affidamento dei servizi pubblici locali, laddove ciò sia motivatamente imposto da particolari situazioni di mercato. Opportunamente, quindi, il divieto di autoproduzione di beni e servizi non è stato assolutizzato: ciò significa che, se il ricorso al mercato, in circostanze eccezionali, non consentisse di provvedere all’erogazione del servizio, rivivrebbe l’autonomia e la responsabilità dell’ente locale, e l’autoproduzione, ancorché entro un arco temporale definito, tornerebbe a essere possibile.

Attraverso questo disegno di legge, si cerca in definitiva di porre rimedio a quella che senza dubbio rappresenta una delle cause principali di inefficienza nel settore dei servizi pubblici locali, ossia la sovrapposizione di diversi ruoli in capo a uno stesso soggetto -­ l’ente locale ­ che è quasi sempre, ancora oggi, contemporaneamente proprietario, gestore e regolatore delle aziende di servizi pubblici locali, concedente e affidatario dei servizi, nonché proprietario della rete e degli impianti. È di fondamentale importanza garantire finalmente una concorrenza effettiva e trasparente che stimoli l’efficienza, la razionalizzazione della spesa e la riduzione delle tariffe, mantenendo inalterate la copertura territoriale, la sicurezza e la continuità degli approvvigionamenti, l’accessibilità universale dei servizi.

Non siamo così ingenui da credere che l’operazione accennata di liberalizzazione sia cosa agevole; sappiamo bene, purtroppo, che in entrambe le coalizioni si annidano resistenze: in alcuni casi si tratta di posizioni diverse, ma pienamente legittime, circa il modo migliore di combinare efficienza dell’azione amministrativa e tutela dei diritti fondamentali della collettività; in altri casi si tratta, invece, di difesa inaccettabile di privilegi corporativi del ceto politico che siede nei CDA delle municipalizzate.

Sono sicuro che anche questa volta le forze riformiste dell’Ulivo sapranno far sentire la loro voce.

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