Il ritorno della buona politica

23 maggio 2006

 

Romano Prodi ha presentato alla Camera il suo governo.

Il suo discorso programmatico esprime un inequivocabile ritorno alla buona politica. C’è, nello stile sobrio e insieme rigoroso delle sue parole, l’ambizione di governare l’Italia nel segno dell’equilibrio e della tolleranza, nella consapevolezza dei doveri e dei vincoli derivati dal compiuto dispiegarsi del sistema bipolare, che rende possibile una sicura scelta della coalizione di governo.

Questa scelta si è manifestata con chiarezza, nonostante la pessima legge elettorale che noi abbiamo contrastato e che pensiamo debba essere profondamente cambiata. Proprio in ragione di questa consapevolezza, penso che sia nostro dovere principale, dovere di chi ha responsabilità di governo, ricercare con il dialogo, con l’esercizio del confronto parlamentare, la ricomposizione di un tessuto unitario e condiviso di regole e di valori, a partire dallo sforzo, nel quale tutti dobbiamo impegnarci, di un reciproco riconoscimento dei diversi ruoli di rappresentanza vera e legittima del popolo italiano.

Penso che dovremo abbandonare la consuetudine demonizzatrice, rimuovendo le categorie del bene e del male assoluto come fattori di separazione dei due schieramenti in campo. Questo è un impegno ineludibile per consolidare e accrescere il carattere virtuoso del sistema bipolare italiano, per rinnovare la nostra democrazia. Questo confronto avrà un senso se riusciremo a rivolgerlo per intero verso il futuro dell’Italia, sfuggendo alla tentazione di prolungare una lunga e non sempre commendevole campagna elettorale e se sapremo tutti vincere la tentazione di vivere questa legislatura come una rivalsa.

Ci presentiamo a questo appuntamento con la consapevolezza dei problemi che sono aperti nel paese, in Parlamento e nel sistema politico italiano.

Sappiamo che ci aspetta una prova difficile e insieme esaltante. Dobbiamo dimostrare che è possibile governare l’Italia servendo l’interesse generale del paese e che è possibile coniugare la ripresa della nostra economia con l’allargamento dei diritti di cittadinanza e della coesione sociale.

Il governo propone una linea di politica economica convincente, perché non derivata dal desiderio o dalle emozioni, ma fondata sulle condizioni reali della nostra economia in rapporto al campo aperto della competizione globale.

Non mi appassiona partecipare in questo momento alla disputa semantica sulla natura del declino dell’economia italiana. Tuttavia credo che abbiamo un dovere di lealtà verso gli italiani nella segnalazione onesta e franca dello stato del paese, nel momento in cui ne assumiamo l’onere di guida, un dovere di verità che è anche un segno di responsabilità. L’Italia esce pesantemente penalizzata dal processo di formazione dei nuovi equilibri nei mercati internazionali, portandosi dentro un ciclo negativo che dura ormai da troppi anni per essere considerato congiunturale.

Le condizioni dell’economia reale in un quadro di finanza pubblica critico ci impongono di spingere per un innalzamento non banale del grado di produttività media dell’intera società italiana, dalla scuola alla giustizia, dalla pubblica amministrazione alla sanità, dal sistema delle infrastrutture alla gestione dei beni culturali e all’organizzazione delle amministrazioni locali.

Questa scelta comporta riforme importanti, molto importanti. Tali riforme non saranno possibili se non riusciremo a stimolare un clima di forte responsabilità morale e civile per il quale ogni italiano si senta partecipe di un disegno che non può essere lasciato sulle spalle di alcuni.

Penso che da subito occorra dare segnali evidenti della volontà di cambiare passo e di affrontare, con l’intenzione di scioglierli, i nodi che inibiscono la capacità competitiva del nostro paese.

La nostra missione, la missione del governo di centrosinistra, è quella di portare l’Italia fuori dal guado, di arrestare il declino e far ripartire la crescita secondo una chiara direzione di marcia. Dobbiamo fare presto e fare bene per rimettere in sintonia l’agenda governativa con quella degli italiani. Sappiamo che esistono nel nostro paese, al Nord e al Sud, ragioni serie di disagio, che sono vissute come una questione di cittadinanza incompiuta o compressa. Le modificazioni profonde del sistema economico, dell’architettura sociale, dei modelli culturali e delle opportunità di relazione, sostengono e alimentano questa domanda.

Questo sentimento di cittadinanza incompiuta disegna una nuova domanda politica, dagli esiti non sempre contenibili nel solco della tradizionale competizione partitica, certamente non estranea alle motivazioni di voto di molti elettori dell’una e dell’altra coalizione. È indispensabile ricercare una nuova e più ragionata comprensione di questa domanda, fuggendo entrambe le tentazioni presenti: quella di assecondare gli umori e cavalcare le pulsioni populiste, e quella, altrettanto pericolosa, di sottovalutarne la portata.

Il futuro dell’Italia si gioca sulla ricucitura del rapporto tra politica e morale, sulla capacità della prima di riconquistare la fiducia dei cittadini nel merito, senza inganni e suggestioni, e sull’espressione di un progetto alto e ambizioso, in un paragone teso tra le nostre idee e i nostri comportamenti.

Penso che il dovere della politica e insieme il suo rischio stiano nella ricerca di una prospettiva culturale e istituzionale fondata sulla libertà, non per paura del futuro, ma per la capacità di prepararlo e regolarlo, per accrescere il ruolo della società civile nello Stato e per rendere la società italiana più forte e più libera, sullo sfondo di istituzioni capaci di offrire a tutti pari opportunità.

All’interno di questa prospettiva si intrecciano il destino del governo Prodi e quello del Partito Democratico. Gli elettori hanno indicato, con una chiarezza che non lascia adito a interpretazioni, quale debba essere l’approdo di questa nostra lunga transizione, per dare alla politica italiana un soggetto che abbia la forza di fare scelte difficili e che sappia governare una società competitiva e solidale. Si tratta di una forza che nessuno nella coalizione di centrosinistra può avere da solo, una forza che sappia dare stabilità alla democrazia bipolare, sottraendola alla deriva personalistica e populista che costituisce il tarlo delle moderne democrazie occidentali.

Tra Margherita e Democratici di Sinistra si è formata, nel corso di molti anni, dentro il Parlamento, nelle regioni e nelle città, una progressiva convergenza politica su scelte comuni che esprimono uno stesso progetto riformista, declinato al futuro per rispondere alle sfide del XXI secolo, avendo alle spalle, non rinnegate, ma acquisite e presupposte, le migliori tradizioni della cultura politica maturata nel XX secolo.

Il riformismo dell’Ulivo ha davanti a sé le nuove linee di faglia che dividono il campo della politica e della società, e nasce dall’ambizione di offrire una risposta alla domanda generata dall’estensione planetaria dell’economia e dell’informazione, dei conflitti aperti tra gli interessi e tra le culture che si fronteggiano nel nostro tempo.

È cresciuto il desiderio di partecipare alla costruzione di un grande Partito Democratico, italiano ed europeo, che abbia come riferimento primario di base associativa la grande platea di elettori che nell’ottobre scorso hanno investito Romano Prodi della responsabilità di leadership e ne hanno condiviso la proposta.

Per consolidare ed estendere in Italia il sistema bipolare del cittadino arbitro, titolare di una scelta consapevole della posta democratica, ma insieme per migliorate la qualità democratica del nostro paese, ricercando una risposta persuasiva alla domanda di efficienza di una democrazia decidente e a quella, ugualmente ineludibile, di partecipazione e di inclusione.

C’è un diffuso bisogno di partecipare a una stagione di buona politica per riformare i caratteri di uno Stato forte, democratico, nel quale tutti gli italiani si riconoscono. Uno Stato autorevole perché più efficiente e insieme più trasparente, uno Stato più unito perché capace di comprendere ed esaltare le diversità territoriali e culturali, uno Stato laico in quanto capace di riconoscere e garantire le libertà di orientamento religioso, ma allo stesso tempo di tutelare con rigore la propria autonomia dalle stesse.

Il governo Prodi è strettamente legato a un grande progetto politico, un progetto che vivrà se saprà alimentarsi di concretezza, ma anche di utopia. La concretezza dei comportamenti, delle misure, delle azioni, ma insieme l’utopia della buona politica, che ha davanti un grande traguardo, un disegno che va al di là delle nostre biografie. Perché le biografie si consumano e i progetti rimangono.

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