Soro contro il coro anti-Soru

La conferma è fisiologica se fa bene: decidano i risultati» Ma Dirindin deve dimettersi

L’Altra Voce, 27/06/2007

 

«Non mi associo al coro che ora enfatizza, prematuramente e dannosamente, la questione della ricandidatura. Il dibattito pro-contro Renato Soru serve solo a perdere di vista la prospettiva e il progetto generale di riforma della Regione e dello sviluppo della Sardegna. Non ho mai esaltato le sue virtù taumaturgiche, non ho mai condiviso il teorema fideistico su Soru. Ma ho sempre avuto per lui un rispetto che è cresciuto conoscendolo da vicino. Perciò dissento da chi ora lo sottopone a una critica radicale e distruttiva».

Dall’aeroporto di Olbia, dove aspetta di imbarcarsi per Roma, Antonello Soro risponde con disagio, di malavoglia, portato a glissare sulle ultime convulsioni in cui s’intorcina la politica sarda. Ma alla fine prevale il dovere di esprimersi contro la voglia di silenzio. È reduce da una settimana romana di fuoco che ne ha messo a dura prova il ruolo centrale, politico e personale, di snodo della vicenda nazionale: tra difficoltà del governo Prodi e aspettative finalmente al decollo del Partito democratico con l’ormai certa nomination di Walter Veltroni.

Da coordinatore nazionale della Margherita, Soro non è al massimo dell’umore: troppe tensioni e un’aria mefitica che copre come una nube tossica la vita nazionale, istituzionale e politica. Alla sua terra resta necessariamente sensibile e attento: ma con la fatica di chi deve confrontarsi con problemi di altra e ben più grave importanza. Con scelte che condizioneranno lo scenario nazionale per il prossimo decennio. Ma non si sottrare al commento (senza fare nomi, che ignora quando gli vengono evocati) dell’indietro tutta che Emanuele Sanna e poi Giacomo Spissu, fiancheggiati da Paolo Fadda, Peppino Balia e quelli dell’Udeur, hanno messo in scena sulla ricandidatura di Soru: in una concertazione cui non è pensabile sia estraneo Antonello Cabras.

Non entra nei dettagli, Soro, a parte la conferma motivata – dietro domanda specifica – del dissenso radicale e insuperabile nei confronti di Nerina Dirindin: di cui aveva chiesto la sostituzione anche una settimana fa nella direzione regionale del suo partito a Oristano. Per il resto, l’apertura (per parte dei Ds è stata una riapertura su posizioni ribaltate) del possibile bis di Soru «mi sembra un rito prettamente politicante, questo dibattere la questione con due anni di anticipo. Oscillando tra una pulsione plebiscitaria e un’altrettanto radicale repulsione verso uomini della provvidenza che non esistono, e per me non sono mai esistiti. Manca la gradualità delle posizioni nei giudizi e nel confronto», spiega Soro. «Un’assenza di equilibrio intempestiva. Perché non è all’ordine del giorno. Si pone e si porrà in sede di bilancio. Se si è governato bene, il secondo mandato è fisiologico in democrazia, nella scelta degli uomini per le istituzioni, se c’è consenso condiviso per i risultati del primo mandato».

Ma il problema è sul tappeto. L’ha messo lo stesso Soru quando ha esplicitamente chiesto la riconferma e il congresso Ds l’ha data in termini quasi plebiscitari che ora parte della Quercia (e non solo) rimette in discussione con manifestazioni palesi di sfiducia. «Esprimere adesso riserve e contrarietà equivale a distogliere tutti dall’obbiettivo di andare e bene fino in fondo, sminuendo i risultati già ottenuti. Come la politica del territorio, con una legge che è diventata modello ed esempio generale, guardata con interesse e ammirazione ovunque per la tutela dell’ambiente contro un abuso devastante. O la vertenza positivamente chiusa sulle entrate, che è la conquista maggiore: cambia per sempre la prospettive delle finanze regionali in termini non solo di cifre ma anche di dignità dell’autonomia con lo Stato».

Un quadro tutto positivo, allora?
«Certo che no. Esiste un’incompiutezza della riforma istituzionale: non accompagnata da un puntuale, adeguato ruolo del Consiglio regionale. Non certo per consociativismo o compartecipazione amministrativa dell’assemblea nel governo della Regione. Ci sono ritardi ascrivibili a Soru ma anche ai leader del Consiglio. C’è troppa litigiosità nella maggioranza, come a Roma del resto, che non giova neanche a Soru. Si è inceppato il meccanismo di un rapporto armonico tra Consiglio e presidente, aggravato da alcuni assessori che hanno creato difficoltà anche a Soru. Resto convinto che non si possa e non si debba soprattutto affidare la gestione dei problemi a una sola persona: non ci sono effetti duraturi senza una forte azione collegiale. Sul piano pratico, c’è anche un ritardo nella difficilissima rimodulazione delle scelte per l’industria, che soffre da molto tempo di una crisi strutturale. Ma la strada maestra passa per la valorizzazione e lo sviluppo dei territori, come si sta cercando di fare. Frenare questo processo con critiche in parte ingenerose e spesso improprie, nuoce alla maggioranza, alle sue prospettive, danneggia il divenire della Sardegna».

C’è un cambiamento di scenario. Le contestazioni a Soru partivano soprattutto dalla maggioranza consiliare, ora arrivano da notabili dei partiti, di cui restano arbitri e in qualche misura “padroni”. Uno scambio di ruoli repentino, ambiguo e visto soprattutto come pre-posizionamento nel Pd e in vista della scelta dei candidati alle prossime elezioni, presto o tardi che arrivino. Suscita sconcerto e sospetto. Anche in lei?
«Non entro in queste distinzioni: il rito politicante di cui ho parlato all’inizio. La richiesta di assestamento della Giunta e del suo operare va valutata con rispetto soprattutto degli obbiettivi d’interesse generale. Non appartengo alla categoria di quanti mettono al centro di tutto i poteri del presidente, ma ribadisco l’esigenza di una collegialità feconda. In particolare la vera discriminante dovrebbe essere la volontà condivisa di rafforzare il profilo riformistico per cui gli elettori ci hanno restituito il governo della Regione».

Si pone o ripropone anche il tema della leadership del Partito democratico, al quale Soru sembra ambire: con resistenze preventive notificate già molti mesi fa. Parere in proposito?
«Soru è impegnato e obbligato a fare bene il presidente della Regione. Oltre che nel gruppo dei 45 saggi del Pd. Nei due ruoli, può contribuire a far decollare il nuovo partito in Sardegna, come Prodi dal governo. Individuare un orizzonte che permetta al Pd aperture credibili alla società, in grado di rilegittimare la politica, è un compito che richiede l’apporto di tutti: come governare. E dentro questo orizzonte aperto, serve lo sguardo lungo e lungimirante per individuare i nuovi leader».

C’è una questione non gradevole che torna a ogni passaggio e vede parti della maggioranza in troppo stretta sintonia con il centrodestra: il pollice verso, ormai avversione dura e senza tregua, all’assessore Nerina Dirindin. Anche lei ne ha richiesto il dimissionamento. Perché, si è detto e si dice, la Margherita rivuole a ogni costo l’assessorato alla sanità per spenderlo alle prossime elezioni. Accusa fondata o arbitraria?
«Infondata e offensiva. Ho dissentito e dissento dalla signora Dirindin per l’interpretazione che ha dato del suo ruolo. La considero una consulente, estranea alle funzioni di governo. Non m’importa di partecipare a cordate sanitarie. I cittadini chiedono efficienza e il servizio sanitario sardo non è migliorato né cresciuto quanto avrebbe potuto e dovuto. Mentre è cresciuto l’uso discrezionale del potere dell’assessore, tipico di altre stagioni. Alcune nomine di amici dell’assessore, senza meriti speciali, rappresentano un atteggiamento negativo verso i sardi: non solo come portatori di competenze specifiche ma anche come manifestazione di sufficienza e sfiducia assolutamente inaccettabili. Perciò ho chiesto, e ribadisco, la sostituzione dell’assessore»

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