Intervento su disegno di legge finanziaria 2006

Camera dei Deputati, 15 dicembre 2005

 

Desidero esprimere al Presidente del Consiglio, a nome del mio gruppo, le ragioni di una accresciuta sfiducia, i rinnovati motivi di opposizione al suo governo e alla politica che ha segnato la vita di questa legislatura che si conclude.
Lei signor Presidente ha guidato l’Italia verso il declino.
Non occorrono le stime severe delle società di rating per certificare il bilancio di cinque anni di governo.
E d’altra parte non sono una nostra malevola illazione le opinioni espresse dagli organismi internazionali di monitoraggio dell’economia mondiale.
Ma bastano le cifre contenute nei documenti governativi forniti al Parlamento.
Il debito pubblico ha ripreso a crescere più velocemente del Pil e dovrà scontare in futuro un trend dei tassi affatto tranquillo.
L’indebitamento tendenziale viaggia oltre il 5%.
Il gettito è costantemente inferiore alle previsioni, i consumi delle famiglie paralizzati in un contesto di nuove povertà assolutamente sotto stimato.
La produzione industriale ha segno costantemente negativo, gli investimenti fissi lordi sono pressoché immobili.

Le spese correnti sono aumentate, il saldo primario è stato azzerato e l’economia reale segna una crescita zero.
Ci sono tutte le condizioni per descrivere un paese non competitivo che si muove all’indietro nella classifica dei paesi affidabili.
Non è un caso che il nostro Paese perda credibilità nel contesto internazionale, nella fiducia dei cittadini, nel tasso di legalità.
Non è un caso se il sistema bancario sia scosso da tensioni esplosive mentre il Governo e la sua maggioranza sono incapaci di approvare una legge sul risparmio in grado di restituire regole e garanzie.
Il suo governo, on. Berlusconi, ha dissestato la finanza pubblica, ha sprecato in poco tempo il credito virtuoso costruito da Amato, Ciampi e Prodi negli anni precedenti.
Incertezze e precarietà rendono ogni giorno più insicuri gli imprenditori che hanno scommesso nello sviluppo del Mezzogiorno. E proprio per il sud infatti il Governo ha in questi anni pressoché azzerato ogni forma di sostegno.
Il bilancio è disastroso.
L’Italia è un paese sotto tutela: viene digerito come una banalità il richiamo del Fondo Monetario Internazionale che definisce la presentazione del Bilancio Italiano ben al di sotto delle pratiche di trasparenza adottate comunemente dai paesi industriali.

A questa condizione bisognerebbe opporre un governo autorevole, competente, con le idee chiare. Bisognerebbe mettere in campo una manovra economica e finanziaria coraggiosa, rigorosa, di respiro strategico, per indicare un futuro per l’Italia, per ripensare un ruolo nel nuovo equilibrio internazionale, per cogliere l’opportunità della globalizzazione di ritorno che ha restituito centralità al mediterraneo nel trasporto delle merci provenienti dai paesi del continente asiatico, per esaltare i punti di vantaggio competitivo presenti nel nostro paese, per investire nell’intelligenza e nei saperi, per ricucire le faglie sociali generate in questi anni, per proporre un disegno politico.
Nella manovra che proponete non c’è niente di questo, non ci sono segni di cambiamento.
C’è la manifestazione plateale e imprudente, di tutta la vostra inadeguatezza, della improvvisazione e dell’incontenibile disprezzo per gli interessi generali del Paese.
La finanza creativa ha ceduto il passo al piccolo cabotaggio.
Basterà ripercorrere la sequenza caotica degli ultimi 75 giorni.

Il governo ha presentato il 29 settembre la manovra.
Il 30 settembre il decreto legge contenente la parte fiscale della manovra.
Il 17 ottobre un Dl con misure correttive per il 2005.
Il 28 ottobre un emendamento al Bilancio a legislazione vigente con una correzione del tendenziale 2006.
L’8 novembre un emendamento con voto di fiducia sul decreto fiscale.
Il 9 novembre un maxi emendamento sulla legge finanziaria con totale riscrittura del testo, in circa 400 commi.
Ora un nuovo maxiemendamento, presentato in ora tarda, in un clima farsesco, con riscrittura dell’intero testo in 600 commi, più di cento pagine.
Una sequenza micidiale che crea seri problemi alla qualità dei documenti di Bilancio, che impedisce e vanifica il lavoro delle commissioni parlamentari, genera incertezza sulla finanza pubblica, chiude qualunque possibilità di accesso informativo a quanti hanno responsabilità costituzionale di decidere sulle leggi di Bilancio.
Votiamo, oggi, su un testo sostanzialmente sconosciuto, deciso al di fuori delle sedi proprie della nostra democrazia: con un consiglio dei ministri che vota una copertina vuota, formalizza solo ieri l’approvazione di un testo già depositato in Parlamento, un Parlamento che non può interferire.
Io capisco l’espressione di amarezza e delusione usata dal Presidente della Camera a commento di questo ennesimo voto di fiducia!
Ma non può bastare.
Anche il Presidente Casini dovrebbe fare un consuntivo del suo mandato, chiedersi quanto sia andata modificandosi, in questi 5 anni, la natura parlamentare della nostra democrazia.
E quale sia il tasso di legalità costituzionale presente nel nuovo ordinamento materiale passivamente subito, spesso gradito e ostentato.
E chiedersi e dirci cosa abbia fatto il Presidente della Camera per invertire questa deriva.

Nel merito. Le ragioni del nostro dissenso non sono minori.
Per quello che possiamo sapere il nuovo testo, oggetto come noto di profondi contrasti all’interno della maggioranza, ricco come sempre di miserie elettoralistiche, non risana i conti pubblici, non favorisce la crescita, non favorisce il riequilibrio territoriale, non contiene misure in favore della competitività delle imprese.
Svuota le casse degli enti locali e trasferisce un peso insostenibile alle famiglie.
Deprime l’economia, riduce i fattori di coesione sociale, genera nuove divisioni ed esalta quelle esistenti.
Non è estraneo a questo giudizio il rifiuto, ostinato e ostentato, di una risposta concreta e positiva alla domanda di risarcimento della Regione sarda per la violata autonomia finanziaria stabilita in Costituzione.

Abbiamo ricercato un segno riconoscibile di una matrice politicamente responsabile nella manovra.
Ne abbiamo trovate due, non equivocabili.
La prima. Il condono, vero contrassegno identitario di questo governo.
Puntuale come le feste di fine d’anno riemerge la filosofia di fondo del berlusconismo, la fiera del saldo fiscale.
Costante è anche la cosmesi lessicale per trovare nomi nuovi per cose vecchie.
La porno-tax diventa tassa etica e il condono….programmazione fiscale preventiva per il futuro, con premio accessorio di “adeguamento” – si chiamerà così – per il biennio passato – Adeguamento sulla parola, senza accertamenti futuri –
Gli effetti dei condoni, dopo cinque anni, sono ormai un dato verificabile.
Incertezza sulle entrate, con effetti di fibrillazione per i saldi di finanza pubblica; allentamento e infine rottura del rapporto fiduciario tra cittadini e istituzioni sul terreno delicato della fiscalità, crescita inarrestabile dell’evasione fiscale.
E l’altro marcatore che riappare ineluttabile, come un fiume carsico, è il conflitto di interessi.
Lo registriamo perché, al di là del peso in sé della vicenda dei decoder per il digitale terrestre, colpisce la rozza superficialità con cui l’argomento è stato trattato. Dalla farsa del Consiglio dei Ministri tecnico convocato ieri, dopo la denuncia del sen. Zanda e dell’on Violante, alla banalità degli argomenti evocati a giustificazione.
Riemerge quella cultura un po’ autoritaria un po’ peronista che mette in secondo piano i valori, le regole, le procedure dello Stato democratico.
L’on. Berlusconi non riconosce il conflitto di interessi perché considera la cosa pubblica come una proprietà privata e gli interessi privati come un bene pubblico da tutelare, da favorire con leggi e decreti.
Questo voto segna in qualche modo l’epilogo di questa legislatura, il punto conclusivo del governo della Destra in questa fase della politica italiana.

Avremmo preferito in questa occasione un confronto ed un epilogo diversi, avremmo preferito misurare le distanze sulla base di un confronto vero: sui cinque anni passati ma anche sul futuro che immaginiamo per il nostro paese.
Invece, il Presidente ha preferito la scorciatoia di un voto blindato, ha preferito come già in tante occasioni – la riforma elettorale, la riforma della Costituzione, le leggi sulla giustizia – ha preferito chiudere la discussione, un po’ per timore della stessa, un po’ per paura della sua maggioranza.
I parlamentari della maggioranza tacciono, come consegnati, come in un regime illiberale. Tacciono i loro dubbi, le loro incertezze, la loro delusione per un’esperienza fallimentare.

Signor Presidente, non siamo felici per questo epilogo, non abbiamo mai pensato che l’insuccesso del suo governo potesse giovare all’Italia.
L’on. Berlusconi ha portato il Paese in questo autunno della Repubblica e noi sappiamo che non sarà facile risalire la china, ritrovare il passo giusto verso il futuro.
Ci proveremo con tutta la forza delle nostre ragioni, nella consapevolezza dei nostri doveri.
Perché noi abbiamo un’altra idea dell’Italia, della democrazia, del processo di formazione delle leggi, della gerarchia dei valori, della pluralità e della diffusione dei poteri.
Per questo la nostra alternatività non discende dalle convenienze di una stagione, ma trova radici profonde nella storia e nella vita degli italiani. Radici profonde e robuste, capaci di resistere alle spinte divisive di una miserrima legge elettorale.
Con questi sentimenti e con queste intenzioni voteremo contro la fiducia al Governo.

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