Il rebus delle amministrazioni locali

 

La politica del governo Berlusconi penalizza pesantemente le autonomie locali. Gli amministratori si trovano dinanzi ad un bivio: inasprire i tributi locali oppure tagliare i servizi ai cittadini. In questo contesto di grande difficoltà, il Consiglio regionale della Sardegna non rinuncia al suo ambizioso progetto di trasferire nuove funzioni agli enti locali, così da attribuire al sistema delle nuove otto province l’effettiva rappresentanza del complesso degli interessi presenti nei loro territori.

Assemblea regionale amministratori della Margherita. Santa Giusta, 20/11/2004

 

Celebriamo questa prima assemblea degli amministratori locali della Margherita sarda in un tempo di grande inquietudine per il destino del nostro Paese. Un tempo di cambiamenti di scenario, segnato dalle guerre, dalle straordinarie modificazioni in corso nell’economia mondiale, dalla trasformazione e dall’allargamento dell’Unione europea.
Tra il declino dell’economia nazionale e l’arretramento del prestigio internazionale, l’inquietante operazione di revisione della nostra Costituzione. L’orologio della nostra storia nazionale sembra girare all’indietro. Ogni giorno appare più chiaro il divario tra improvvisazione confusa del Governo e agenda degli italiani.
In tre anni i conti pubblici faticosamente risanati dal Centro Sinistra sono tornati sotto sorveglianza delle autorità dell’Unione Europea. Basterà dire che il deficit tendenziale, a lungo colpevolmente mascherato, deve essere corretto in questi giorni con una manovra di 50 mila miliardi di vecchie lire e che l’avanzo primario in tre anni è passato da 4,7% a zero.
L’economia italiana non è competitiva, l’occupazione riprende, soprattutto nel Mezzogiorno, una tendenza negativa.
Il governo Berlusconi annaspa paurosamente, incapace di andare al di là di una propaganda stantia, esibendo lustrini sempre più sbiaditi, parole d’ordine consumate dalla sfiducia.
Sono tre i fattori decisivi per rimettere in marcia l’Italia. Ricerca e innovazione, formazione, coesione sociale.
Tre fattori di crisi clamorosa. Tre terreni di scontro politico e sociale in cui i più severi censori dell’ultima settimana hanno il nome di Ministri o ex Ministri del governo Berlusconi. Moratti che si ribella, Tremonti, Miccichè, Calderoli,…
E il Mezzogiorno è il terreno più esposto agli effetti del declino: lo ha ricordato il Presidente Ciampi nei giorni scorsi.
Le parole del Presidente da un lato mi confortano dall’altro segnalano la distanza incolmabile tra quanti hanno senso dello Stato e quanti scambiano le istituzioni con una proprietà privata.
Mentre nel mondo è ripartito il ciclo espansivo come non si vedeva da 18 anni, l’Italia è ferma, la produttività declina e le fasce medie della popolazione scoprono ogni giorno un nuovo disagio e accumulano timori e incertezze. La risposta del Governo è nella legge finanziaria all’esame della Camera dei Deputati.
Quello che è avvenuto nei giorni scorsi è un fatto straordinario: per la prima volta nella storia della repubblica, il governo alla vigilia del voto finale nella legge finanziaria ha annunciato in Parlamento di non essere in grado di sapere quali potranno essere i termini reali della manovra, i saldi, i contenuti della stessa quando nei prossimi giorni andrà al Senato.
La nostra decisione di ritirare gli emendamenti ha voluto denunciare in modo clamoroso la mancanza di un qualunque termine di confronto. Il caos che regna dentro la maggioranza genera sempre di più lo sfascio del Paese.
Il Presidente del consiglio ha cavalcato a giorni alterni, in modo ossessivo, la riduzione delle tasse come una panacea per i mali dell’economia non preoccupandosi né della copertura né dell’efficacia sui consumi ma unicamente dell’effetto correttivo dell’annuncio sull’andamento dei sondaggi di Forza Italia. Poi hanno ripiegato su una “mancia” diffusa su tutte le imprese scoprendo non la gratitudine ma il dileggio dei beneficiari, a iniziare dalla Confindustria. E infine il ricorso per il 4° anno consecutivo al trucco delle carte, la tecnica del bilancio virtuale che ha prodotto il disastro della finanza pubblica.
Il disagio, la tensione, l’insofferenza delle fasce deboli del Paese si scaricano pericolosamente nelle istituzioni più vicine e insieme più fragili. Il governo locale è da sempre la frontiera più esposta della nostra democrazia. Ne sanno qualcosa gli amministratori sardi esposti da tempo a manifestazioni di violenza e intimidazione spesso molto gravi che rendono qualche volta impraticabile la vita democratica.
Ad essi, alle vittime recenti e a quelle del passato, voglio esprimere la gratitudine e la solidarietà del nostro partito. E ad un tempo segnalare con amarezza che i reati contro gli amministratori restano da sempre impuniti.
La questione è insostenibile. Da questa Assemblea voglio rivolgere al Ministro dell’Interno un invito forte perché assuma una decisa iniziativa, perché produca su questo terreno uno sforzo supplementare, perché abbia fine questo incredibile regime di impunità.
Ma se il governo locale è sempre luogo di trincea democratica, in questo nuovo autunno della nostra repubblica tutto è più difficile.
La finanziaria approvata giovedì scorso costituisce l’ultimo atto di una cinica strategia che vorrebbe allontanare il dissenso dal governo nazionale per trasferire il conflitto nella sede dei governi locali. Berlusconi, attraverso quello che il presidente di Confindustria ha definito un “balletto umiliante”, sostiene di voler ridurre il prelievo fiscale scaricando sugli enti territoriali oneri e conflitti.
La finanziaria approvata dalla Camera riduce tra l’11 e il 13% i contributi dello Stato ai comuni. Crollano i fondi per gli investimenti nella misura del 30%. È il terzo anno che accade.
A questo va aggiunto il mancato rifinanziamento dei fondi per il trasporto locale, per lavoratori socialmente utili, per il reddito minimo di inserimento e più in generale per il sostegno alle imprese nel Mezzogiorno.
La condizione più critica riguarda i piccoli comuni. Ne sappiamo qualcosa in Sardegna, dove l’83% dei comuni ha meno di 5.000 abitanti.
La politica seguita dal governo verso le autonomie locali in questi anni è stata definita, nel recente congresso dell’Anci, una vera e propria aggressione. Dalla riduzione dei trasferimenti nella manovra 2004 al decreto “taglia spese” che ha falcidiato la spesa corrente negli enti locali imponendo una correzione in corso d’opera dei bilanci, fino a quest’ultima finanziaria.
È davvero a rischio la tenuta degli equilibri contabili, per la quasi totalità dei comuni italiani.
Si profila per i nostri amministratori la trappola di un federalismo carico di nuove responsabilità, di nuovi poteri ai quali non corrispondono risorse finanziarie adeguatamente trasferite dallo Stato.
Si tratta di una devoluzione che si presenta come un gioco a somma negativa: gli amministratori sono chiamati a scegliere tra inasprimento dei tributi locali oppure tagli alle prestazioni di servizio ai cittadini. In queste condizioni ci troviamo nella straordinaria circostanza di cominciare un’esperienza di governo della Sardegna nella stretta di una crisi drammatica delle istituzioni e dell’economia, generate dal governo Berlusconi, e di assumere l’eredità di una regione disastrata da 5 anni di non governo.
Abbiamo travato una Regione disseminata di emergenze. A partire da quella delle casse vuote, saccheggiate da governanti incompetenti e distratti, che hanno trascorso cinque anni nella palude litigiosa delle loro mediocri vanità.
Gli uomini che nei giorni scorsi cercavano la paralisi del Consiglio regionale, per impedire alla maggioranza di esercitare il suo mandato, sono gli stessi che per un’intera legislatura hanno preferito tutelare interessi di parte, indifferenti a quelli generali e spesso in conflitto con gli stessi.
E poi le altre emergenze: la crisi industriale, i rischi di degrado ambientale, di perdita dei poteri della nostra autonomia. In questo quadro ha mosso i primi passi il governo di Renato Soru.
Voglio esprimere in questa occasione un giudizio positivo sul complesso del lavoro svolto, nonostante le difficoltà di adattamento ad un regime nuovo nei rapporti tra la Giunta e il Consiglio regionale. I sardi hanno compreso che è in corso una svolta, una nuova direzione politica.
Noi vogliamo favorirla, usando saggezza e generosità, rimovendo ogni inutile distinzione quando non sia finalizzata a rafforzare la politica che insieme abbiamo scelto. E saremo ad un tempo intransigenti nel perseguire il nostro progetto. In questa direzione sarà utile accentuare il legame di coesione con le forze più affini che hanno scelto di dare vita alla federazione dell’Ulivo.
Questo è il tempo del fare. Questo, per noi che in Sardegna siamo classe dirigente, è anche il tempo del dovere.
Per questo voglio chiedere al Presidente, alla maggioranza, a tutti noi, di avere coraggio, molto coraggio. La sfida che abbiamo accettato è tanto difficile quanto grande è la fiducia nelle nostre ragioni, nella giustezza del nostro progetto politico.
Ci dirà Francesco Rutelli, presente al nostro incontro, come sarà possibile invertire la rotta verso il declino dell’Italia, come sconfiggere gli avventuristi che hanno impoverito il nostro Paese, come restituire fiducia agli italiani.
Noi, in Sardegna, dobbiamo fare al meglio la nostra parte. Mantenendo con rigore e con determinazione gli impegni che abbiamo assunto davanti agli elettori. Voglio richiamare quelli che considero principali.
Abbiamo detto che vogliamo cambiare la politica, allargando le forme di partecipazione alla vita della nostra autonomia, stimolando la libera informazione, la trasparenza, la moralità dell’impegno pubblico; favorendo la nascita di una nuova classe dirigente capace di coniugare al meglio competenza e cultura democratica. E poi abbiamo detto che dobbiamo cambiare la Regione, introducendo efficienza, adeguando la pubblica amministrazione alle nuove sfide della competizione in cui siamo chiamati a misurarci. Avvicinandola ai cittadini a partire da un nuovo rapporto tra i comuni e gli organi dell’autonomia.
E ancora ci siamo impegnati a promuovere un nuovo progetto di sviluppo economico e sociale fondato sulle qualità del nostro territorio, del suo ambiente, dei suoi prodotti, della sua storia, della sua cultura. Investendo nella formazione, l’innovazione, le competenze. Giocando le nostre opportunità sui fattori di vantaggio competitivo dentro questo nuovo ordine della competizione globale, in cui non si scontrano più le economie nazionali ma sistemi territoriali all’interno di macroaree economiche e culturali.
E i sistemi territoriali a cerniera tre le grandi aree, come la Sardegna nell’area mediterranea, possono avere un ruolo propulsivo nei processi in atto. E quindi dobbiamo rendere identificabile all’esterno la Sardegna come un sistema che possiede un profilo culturale, ambientale, economico-produttivo assolutamente singolare.
Per questo dobbiamo partire dalla nostra identità, il nostro essere diversi in un mondo globalizzato e omologato che apprezza e valorizza tutto ciò che è specifico, locale, identitario. Difendere la nostra identità non è quindi un vezzo culturale ma una precisa scelta strategica.
E quindi diviene indispensabile riportare in equilibrio il nostro territorio. Non possiamo più assistere allo spopolamento, all’invecchiamento, all’impoverimento dei nostri comuni dell’interno, dei piccoli comuni verso i centri costieri artificiali e nelle città capoluogo.
Nei piccoli comuni – che sono la quasi totalità dei comuni sardi – si trovano le radici della nostra civiltà. Lì siamo nati come popolo, li troviamo le tracce di scelte antiche, il suono della nostra lingua, i segni della memoria.
Per questo dobbiamo creare una politica che renda possibile ritornare nei nostri paesi, dare una missione ad ognuno di essi, riprendere il governo del territorio. È per questa ragione, anche per questa ragione, che sosteniamo con decisione la legge proposta dal nostro Assessore per la salvaguardia delle coste; per consentire una pianificazione equilibrata, per promuovere un’inversione decisa, seria del modello di economia turistica. Puntando sulla qualità dell’offerta piuttosto che sulla quantità di seconde case e di anonimi villaggi artificiali.
È per questa ragione, anche per questa ragione, che la battaglia inaugurata sulla questione delle servitù militari acquista oggi un significato nuovo e centrale. Due terzi del demanio militare italiano ha sede in Sardegna. Il nostro contributo alla difesa del Paese è stato nei 50 anni maggiore di qualunque Regione. Il nostro territorio oggi vale di più e dobbiamo riprenderne il governo.
Per queste ragioni diventa decisivo un percorso risoluto, forte, di riforma della nostra autonomia, del nostro statuto, delle nostre forme di governo. Forme nuove a partire dal ruolo centrale che dovremo consegnare alle comunità locali.
Su questo disegno ci siamo impegnati davanti ai sardi. In questa sfida abbiamo raccolto consensi e speranze.
Su queste sfide dobbiamo essere fermi, senza incertezze, senza cedimenti alle sirene della conservazione, della palude consociativa degli interessi rappresentati e strutturati capaci di alzare la voce assai più forte dei quella della generalità dei sardi.
Esistono interessi consolidati, pezzi di società sarda che vorrebbero ritornare al passato, riprodurre gli schemi, le consuetudini, le dirigenze che nei 5 anni passati hanno mortificato la nostra Autonomia. E quindi, troveremo resistenze e opposizioni. E d’altra parte, nessuno di noi, di quanti abbiamo responsabilità politica, ha mai pensato nella primavera scorsa, che sarebbe stato facile.
Al Presidente voglio dire che il nostro partito si sente lealmente impegnato a sostenere il programma di governo, senza riserve, con i suoi uomini e le sue donne dentro e fuori del Consiglio regionale. Perché siamo animanti dalla sua stessa ambizione, dalla stessa idea della Sardegna che vogliamo. Perché sentiamo di essere in sintonia con la Sardegna più profonda e vera, perché sappiamo di aver concorso a suscitare il risveglio della nostra parte migliore, perché avvertiamo la possibilità straordinaria di orientare il nostro futuro secondo una nuova direzione di senso.
Io considero decisiva la questione degli enti locali. Dobbiamo completare il disegno di federalismo interno alla luce del principio di sussidiarietà. È l’occasione, per il nuovo consiglio regionale, di riconsiderare nel complesso le funzioni della Regione e dei suoi enti strumentali trasferendo ai Comuni ed alle Province tutto ciò che la appesantisce in termini di gestione, e la rende lenta e spesso inadempiente nell’attività di indirizzo e di coordinamento delle funzioni pubbliche.
Si tratterà, nel merito, di individuare tra le funzioni conferite dallo Stato alla Regione, quelle che devono rimanere a Cagliari e quelle che devono essere trasferite alle nuove province ed ai comuni. Si può dire che il vero primo pezzo della riforma della Regione si attua facendola concentrare sulle più importanti funzioni di programmazione, e per converso riordinando il sistema degli enti locali.
La legge regionale di trasferimento delle funzioni agli enti locali è ora l’occasione per attribuire al sistema delle nuove otto province la rappresentanza complessiva degli interessi dei loro territori e, insieme, di eliminare enti regionali intrinsecamente inutili. In tale fase di revisione delle cose che devono fare il governo regionale e le autonomie locali vi sarà anche lo spazio per riportare a numeri, compiti e composizione più adeguata il sistema delle comunità montane sarde.
Io credo che questo lavoro debba essere portato a termine entro la prossima primavera, possibilmente prima della competizione elettorale amministrativa, in modo da far misurare gruppi rinnovati di classe dirigente con nuovi poteri e nuove ambizioni di sviluppo dei loro territori e delle loro comunità. È uno sforzo che la Margherita della Sardegna pensa debba essere accompagnato dalla riflessione degli amministratori locali e portato a compimento anche dal contributo della loro esperienza concreta.
Per questo, nelle prossime settimane riuniremo una consulta per discutere le linee di fondo della bozza di disegno di legge elaborato dalla Giunta, e far giungere al nostro gruppo consiliare ed alla coalizione il risultato di questo confronto.
Per vincere la sfida non bastano i vertici politici, i consiglieri regionali. Abbiamo bisogno di rendere più saldo il legame, l’alleanza con tutte le parti della società sarda che condividono il nostro disegno. A partire dalle comunità locali.
I nostri amministratori possono essere, devono essere il centro del nostro lavoro politico. Non come terminali passivi di un progetto deciso altrove ma come protagonisti consapevoli di questa straordinaria stagione.
Credo che noi dobbiamo modificare l’equilibrio su cui si regge in Sardegna la vita politica. Dobbiamo accrescere il peso degli eletti nelle comunità locali, a partire dalla vita del nostro Partito. Il nuovo Statuto che è in corso di elaborazione (coordinato da Francesco Sitzia) dovrà registrare questo obiettivo.
Abbiamo iniziato in questi mesi un lavoro di nuova organizzazione del Partito. Il nostro obiettivo, come lo slogan, che abbiamo adottato è quello di mettere radici. Non è tempo di bilanci, non ancora.
Però registro un interesse che cresce ogni giorno, un nuovo generale desiderio di ritornare all’impegno politico, di scommettere sulle nostre ragioni.
A tutti voi chiedo di aiutarci, di concorrere con la vostra intelligenza e con la vostra passione, a costruire un grande partito per una grande disegno. Nell’interesse della Sardegna.

PRIVACY POLICY