E i reduci dei vecchi partiti salgono sull’Arca di Noè

La Nuova Sardegna, 20/01/1994

 

Se il ’93 è stato l’anno dei cambiamenti più profondi nel sistema politico italiano, il ’94 può essere l’anno della ricomposizione di un patto di fiducia reciproca tra i cittadini e le istituzioni.
Penso che, per conseguire questo obiettivo, non sia sufficiente il momento delle elezioni e mi pare sempre più artificiosa e distorsiva la pretesa di costringere la politica dentro schemi preconfezionati.
Secondo un diffuso modo di pensare lo snodo risolutivo starebbe ormai nella semplificazione tra una destra e una sinistra: basterebbe certificare la propria dislocazione per corrispondere insieme ai propri obblighi e alle giuste attese.
Sembra interessare meno il dispiegarsi di una generale indulgenza al trasformismo. Eppure conterà alla fine qualcosa un ragionamento meno approssimativo sui contenuti delle proposte di programma, sulla veridicità delle biografie esposte in vetrina e, non ultimo, uno sguardo sullo scenario di nuove tendenze che vanno sempre più chiaramente esprimendosi nella cultura italiana.
L’anno nuovo si apre con l’ingombro di nuove pesanti macerie in Europa: il palato ruvido dell’indifferenza e dell’egoismo non sembra avvertire quelle materiali e morali della guerra iugoslava ma neppure quelle politiche e sociali di un vertiginoso arretramento rispetto alle speranze riposte due anni fa’ nel trattato di Maastricht.
Era la speranza dell’unità monetaria, dell’unione politica, del sostegno all’integrazione economica delle regioni svantaggiate, della solidarietà per gli esclusi dell’Est e del Sud del mondo.
Mi pare più visibile un’Europa di acuti conflitti sociali, dei rigurgiti razzisti e nazisti, della paura per la sicurezza dei cittadini, della povertà di… milioni di disoccupati.
Si manifestano realtà per niente rassicuranti: revanchismi e sciovinismi di settori sempre più vasti di società impauriti e preoccupati per un benessere consueto e non più garantito.
La crisi dei partiti, la rivelazione di tangentopoli, la recessione economica, la disoccupazione si intrecciano in un nesso inestricabile di opposizione sociale rancorosa, di rabbia e di sfiducia: ma insieme al sentimento di affezione sembra essersi appannata anche la ragionevolezza della politica.
E’ tempo di umori, di grida, di esclamazione.
L’Italia si scopre radicale e fondamentalista: vincono le certezze dogmatiche, l’intolleranza, il giustizialismo. La fragilità di molte ragioni corporative ostentate come forti e sicure si traduce nella ricerca di certezze collettive: il leader, la divisione radicale e rassicurante tra amici e nemici, tra nuovi e vecchi, tra buoni e cattivi, la piazza, il comizio come espressione di confronto, magari televisivo. Dietro il successo della lega e del MSI c’è forse qualcosa di più della protesta: ci sono forse un disagio ed un trauma più profondi nella cultura nazionale.
Sembrano messe in discussione o, più esattamente, rimosse idee che fino a qualche tempo fa’ si riteneva fossero patrimonio comune della nostra identità democratica: il senso dello stato, un sincero e non enfatico sentimento nazionale, la tolleranza, la solidarietà con il Meridione.
Il patto democratico sotteso alla nostra costituzione viene concepito da molti come un vincolo privatistico, una scelta a termine, subordinata di volta in volta al conseguimento di singoli traguardi parlamentari.
Prorompono tra gli applausi modelli particolaristici che hanno il proprio interesse come metro di giudizio nella valutazione dei fenomeni politici.
In questa logica le diversità sono vissute come incompatibilità: il dialogo diventa una sequenza di monologhi. Manca la sintesi: ma non si avverte una grande iniziativa per ricercarla.
La pretesa di risolvere questo tempo politico in un plebiscito tra destra e sinistra è, per quello che ci riguarda, inaccettabile.
E’ vero che la complessità e la frammentazione sociale non richiedono più risposte consociative: ma non negano, anzi postulano come ineludibile, un momento di mediazione.
In questo orizzonte si pongono i termini di un confronto assai vivace connesso alla nascita del partito popolare e alle ragioni di un possibile polo di riferimento per quella centralità riformatrice, solidarista e moderata che noi vogliamo rappresentare.
Questo centro non può essere il punto di raccordo tra quanti temono il cambiamento.
Ci sono molti reduci di passate stagioni interessati a costruire un’arca di Noè in cui trovare rifugio: non tanto per salpare verso una meta, quanto per conservare qualche privilegio.
Noi lavoriamo per un partito popolare come luogo di sintesi laica, ma non indifferente rispetto agli interrogativi che la modernità propone sulla condizione dell’uomo, dove possono trovare cittadinanza i cattolici democratici, le parti più mature dell’ambientalismo e della cultura liberaldemocratica, le grandi energie liberate dall’esperienza autonomista. Un luogo di sintesi che non può essere confuso con la destra neofascista né con la Lega.
Se abbiamo le nostre radici nell’umanesimo popolare cristiano che ha segnato così in profondità la nostra cultura nazionale e che si è alimentato nel tempo per l’aspirazione al riscatto sociale dei ceti popolari in Italia, non possiamo inseguire i sacerdoti di un liberismo selvaggio che nega la solidarietà anche quando non è assistenza, che assegna al Mezzogiorno un ruolo subalterno, che invoca una sorta di darwinismo sociale per conservare squilibri e differenze.
Nessuna legge elettorale può costringerci a schiacciare la nostra identità e la nostra ispirazione.
E non può invocarsi la negazione del comunismo come se l’orologio della storia si fosse fermato: la nostra diversità, la nostra attuale alternatività non possono essere declinate come una crociata.
Certo non giova alla riforma della politica che tutti invochiamo la massiccia operazione di trasformismo messa in campo dal PDS.
Nel nome di un comune denominatore progressista si vogliono spacciare politiche e storie personali logore e contraddittorie: l’approdo può forse essere di potere ma, innegabilmente, non di chiarezza.
E la chiarezza è il fondamento per una ripresa di fiducia tra i cittadini e le istituzioni. In un rapporto di reciproca affidabilità.
Il nostro Paese ha necessità di cambiamento ma anche di un ritorno alla normalità della vita nazionale dove ciascuno dei poteri dello Stato ritrovi la pienezza delle proprie prerogative. La nostra ambizione sarebbe quella di concorrere, senza pretese di esclusiva ma con il peso della nostra ispirazione, a rimuovere tutte le scorie di una stagione di involuzione e di deriva per riscoprire la dimensione etica della politica e riaffermare i valori laici della nostra Costituzione.

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