Il senso vero dell’autonomia

Discorso in Consiglio regionale del 13 novembre I 992 alla vigilia della seconda giunta Cabras, 13/11/1992

 

Io, signor Presidente, credo che troveremo il modo, ci sforziamo ancora tutti di trovare il modo, per concludere positivamente questa vicenda.

Sono convinto che questa pausa di riflessione, ancorché irrituale, sia utile per ritrovare nelle nostre valutazioni, e questo è in qualche misura avvenuto, il senso pieno degli avvenimenti, delle scelte, degli obiettivi che abbiamo di fronte, per rintracciare il quadro dei riferimenti esterni a questo Consiglio regionale. Lo hanno fatto molti, in particolare credo lo abbiano fatto con una passione civile di cui rendiamo atto l’onorevole Melis e l’onorevole Cogodi.

Dobbiamo rintracciare fuori di questo palazzo, nello scenario del mondo nel quale viviamo, le ragioni per le quali ci siamo in qualche modo tutti avventurati su una strada che non abbiamo mai pensato essere né facile né scontata. Il cambiamento dello scenario mondiale che si è verificato in questi mesi ultimi mette in discussione il peso, la gerarchia del nostro Paese nei rapporti col mondo, gli equilibri tra forze dell’economia, le relazioni che intercorrono tra la nostra dimensione regionale e il resto del mondo, i sacrifici ai quali siamo chiamati tutti, gli italiani, gli europei, noi sardi, il meridione più di tutti.

Questo scenario, questa crisi della politica che mette in discussione ognuno di noi dentro i propri partiti, dentro le istituzioni, rispetto alla propria storia anche personale, tutto questo cambiare che si verifica intorno a noi è il quadro di riferimento nel quale abbiamo avviato in Consiglio regionale un tentativo che aveva l’ambizione di essere una grande coalizione per le riforme, come si è detto, per l’emergenza, per rintracciare il senso vero dell’autonomia regionale, quel senso che in qualche misura abbiamo smarrito nella nostra storia regionale.

Ho detto una scelta né facile né tanto meno scontata; ma la grande novità è proprio questa: aver scelto una strada né facile né scontata, la scelta di mettere in gioco l’esistente in qualche modo garantito sia per chi stava al governo sia per chi stava all’opposizione; la scelta di rinunciare alle rendite, quelle di una coalizione governante, autosufficiente, capace di assicurare a questa Regione la conclusione della legislatura sul piano della credibilità che aveva assicurato alla Regione negli anni precedenti. Abbiamo scelto di mettere in gioco l’esistente per ricercare in campo aperto un nuovo
equilibrio fatto di competizione e collaborazione nell’interesse della Sardegna.

Non un pasticcio, non un’ammucchiata in cui tutti quanti diventiamo uguali, ma un nuovo equilibrio politico, un nuovo assetto della dimensione regionale nel quale i grandi partiti popolari insieme a quelli che hanno avvertito con più determinazione le ragioni della crisi concorrevano a risolvere i problemi della Sardegna in un rapporto di competizione non più garantita dalle ideologie, dalle vecchie alleanze, non più garantita dagli schieramenti di uno stereotipo che abbiamo cancellato ma garantita, questa competizione, ancorata alla capacità di risolvere i problemi, di essere affidabili per la gente, di essere reciprocamente affidabili, in un rapporto in cui le alleanze prossime venture dovessero guadagnarsi non in ragione dell’ispirazione ideologica, non per la storia lontana, ma dovessero guadagnarsi perché si è più capaci di essere insieme comunemente sensibili con le stesse risposte, con risposte degne del rispetto della gente.

Questo era il progetto serio, la prospettiva alta per la quale insieme al rischio della politica potevamo ritrovare la passione per una scelta che non fosse una scelta di conservazione ma che fosse davvero questa sì, una scelta di cambiamento dei nostri comportamenti, una scelta di cambiamento del modo di essere della politica in Sardegna. Per una politica che non fosse fatta soltanto di califfati, di assessori che hanno l’autista, la macchina e il capo di gabinetto, che non è fatta della conservazione delle vecchie tradizioni, dei vecchi poteri, dei vecchi privilegi, ma anche dal piacere di sentirsi degni del mandato che ci hanno dato, all’altezza delle aspettative che la gente ripone in noi, pronti a scommettere sul nostro destino anche personale.

Questo era il senso alto della scommessa che abbiamo deciso di giocare, vincendo molte resistenze, ognuno di noi, vincendo molte giuste diffidenze, vincendo ognuno di noi nel proprio partito, nell’insieme dei partiti, la diffidenza verso un obiettivo non perché nuovo ma perché la consapevolezza di quello che è la politica in Sardegna, in quello che è il gioco delle parti che ogni tanto riappare, poteva rendere difficile il successo di questo tentativo. In questo quadro abbiamo aperto un confronto sul programma sulle cose da fare e lo abbiamo fatto mettendoci tutta la disponibilità, da parte di tutti, per porre al centro del programma gli interessi della Sardegna, per vedere in che modo la riforma della Regione potesse essere fatta non per scrivere altri libri di documenti da raccogliere negli archivi delle cose non fatte ma per dare subito, in tempi certi, risposte a quelle cose capaci di aggiornare l’istituzione autonomistica sarda alle mutate condizioni e alla nostra voglia di aggiornare gli schemi della politica al cambiamento della società civile.

Non è stato un lavoro facile né posso dire che il prodotto di quel confronto sia un prodotto generico: è un prodotto preciso che ha dato una qualche risposta, che ha fatto emergere le cose che ci mettono insieme perché poi ci sono tante altre cose che non sono comuni, sulle quali non potremo mai probabilmente, in tempi brevi, convenire, però siamo riusciti a convenire su molte cose importanti, dando vita ad un programma che noi riconosciamo, facendo un buon lavoro, che è il frutto di rinunce da parte di tutti, da parte di alcuni forse più che di altri, rinunce a un lessico consueto, rinunce ad alcuni schemi di ragionamento che ognuno di noi ha iscritti nel proprio codice genetico, rinunce anche forse alla vanità di poter dire: avevo ragione anch’io.
E in questo modo abbiamo lavorato al programma trovando convergenze forse più larghe di quelle che hanno segnato l’elezione del Presidente della Giunta regionale, perché le convergenze sulle cose da fare erano più larghe, perché il sentimento che c’è stato nel ritrovare dentro questo programma una posizione dell’autonomia regionale era più larga.

lo credo che in questo quadro abbiamo eletto Presidente della Regione Antonello Cabras e poi sono nati i problemi della struttura.
Ecco, io credo di aver detto altre volte e di dirlo oggi con convinzione: il peso del problema della struttura del governo regionale rispetto alle dimensioni del progetto politico è un piccolo peso.

Si è rischiato o forse si è perso il senso delle dimensioni fra l’altezza, l’elevatezza dell’aspirazione, dell’ambizione, della pretesa che avevamo di fare una grande coalizione per l’emergenza e per la riforma e il modo nel quale si è allungata, si è trascinata, si è affievolita la trattativa rispetto al problema della struttura, introducendo un falso problema.
Io devo dire che è un falso problema quello della novità, della discontinuità rispetto al vecchio esecutivo.

E’ un falso problema e noi lo abbiamo detto subito, perché da un lato la continuità di questa nuova Giunta rispetto a quella esistente è assicurata, è indelebile per la presenza dello stesso Presidente, ma la discontinuità, la novità è data non solo dal programma di governo, ma dalla presenza di un altro partito che era all’opposizione, una parte importante dell’opposizione rispetto a quella Giunta.
E allora non c’era questo problema, non doveva porsi questo problema della discontinuità rispetto all’esecutivo, perché c’era insieme continuità e discontinuità e l’altezza del profilo delle nostre ambizioni programmatiche era tale da rimuovere la piccola dimensione, il piccolo profilo della discussione sul tasso di discontinuità rispetto al precedente. Un tasso da misurare non so più con quale strumento.

Noi abbiamo subito sul terreno del problema della struttura un’iniziativa di estenuante trattativismo, particolarmente da parte di un partito: non veti espliciti sia chiaro, ma una costante, crescente pressione per sottolineare quale doveva essere il tasso di novità rispetto alla precedente Giunta, non un tasso fisso nel tempo, un tasso variabile che di notte scendeva e di giorno ricresceva.
Forse abbiamo subito e compreso tutta una serie di richieste per tacitare ripetute e infinite esigenze di composizione di un dissidio interno, un dissidio, sia chiaro, che noi abbiamo rispettato e rispettiamo perché ispirato probabilmente da ragioni più nobili di quanto non possa apparire, ma che ha conferito alla politica nostra in Sardegna un approccio spesso drogato, talvolta schizofrenico nell’affrontare i problemi, in una sequenza incredibile. Noi diciamo e abbiamo detto che la conferma di cinque assessori che avessero appartenuto alla precedente Giunta non avrebbe né aggiunto né tolto niente ai caratteri di continuità e di discontinuità per le ragioni che ho detto. Questo fu il nostro giudizio quando proponemmo una rosa di sette assessori comprendenti sei assessori uscenti e un tecnico.

Il Presidente propose giovedì scorso un’ipotesi di Giunta in cui Otto assessori su dodici erano nuovi: è apparso insufficiente.
E noi abbiamo subito proposto la nostra disponibilità non facile, non scontata.
Ma perché scandalizzarsi del fatto che non sia stato né facile né e scontato proporre la disponibilità a ridurre a tre la conferma degli assessori provenienti dalla precedente esperienza. Si è obiettato ancora e abbiamo subito in queste settimane tutte queste iniziative di condizionamento esterno alle nostre scelte in un clima nel quale c’era chi tutti i giorni ci proponeva di cambiare e c’era che tutti i giorni invece si riparava, altri partiti, in uno splendido isolamento di chi ritiene di dover solo guardare quanto avviene, giudicare e se volete anche con un atteggiamento di sufficienza dire: ma guardate questi due grandi partiti come discutono. E devo dire che anche questo non ha concorso a mantenere il profilo che era giusto mantenere in questa circostanza.

Noi lo abbiamo fatto rischiando l’incomprensione dei nostri militanti, lo abbiamo fatto comprimendo l’orgoglio del nostro partito, privilegiando la duttilità delle nostre posizioni, la disponibilità a modificare le nostre posizioni, la comprensione per le ragioni degli altri.
Non credo che alcuno abbia potuto leggere questo nostro atteggiamento come imbelle rinuncia alla nostra funzione di partito di maggioranza relativa.
E’ solo che abbiamo pensato che la questione della struttura fosse subordinata nella gerarchia delle cose che contano rispetto al progetto politico di una grande iniziativa di governo.

Avremmo potuto in molte occasioni dire che era insopportabile il modo nel quale questa vicenda progrediva. Abbiamo invece scelto, rischiando ancora una volta l’incomprensione di molti, non solo dei nostri militanti, anche dell’opinione pubblica, un ulteriore tentativo per rimuovere senza offesa per nessuno, senza piegare l’orgoglio e la dignità delle persone che sono un valore importante anche nei tempi di quella che qualcuno considera la politica spazzatura. Abbiamo scelto di proporre una rosa di candidati alla carica di assessore tutti esterni al Consiglio regionale, ma non per rifuggire dall’idea che abbiamo che la funzione di governo sia una funzione politica: perché noi siamo convinti che la funzione di governo non è una funzione tecnica.

una funzione politica dove la competenza deve associarsi alla comprensione della complessità dei rapporti sociali, alla sensibilità della cultura, alla capacità di mediare gli interessi particolari con quelli generali.
Questa funzione di governo è una funzione politica e allora quando noi abbiamo proposto e proponiamo una rosa di candidati alla carica di assessore che sia esterna ai nostri attuali consiglieri regionali non lo facciamo per fuggire alle nostre responsabilità, non lo facciamo per introdurre rigidità ma proprio per escludere che ci siano le rigidità che per due mesi sono state proposte.

Qual è il modo più chiaro, che non offende nessuno, per rimuovere quelle rigidità se non quello di andare interamente fuori dal Consiglio regionale, non per una fuga però, non per un disimpegno, per un allentamento della nostra partecipazione ma per un supplemento di fiducia ancora una volta, di fiducia, di convinzione negli obiettivi dichiarati.
E allora noi vogliamo dire ancora oggi che comunque vada a concludersi questa vicenda, quali che siano le proposte di Giunta che verranno formulate, noi riteniamo che la Democrazia Cristiana se partecipa al governo partecipa nella pienezza di assunzione di responsabilità tutte intere, sia che metta in campo consiglieri regionali che dovranno dimettersi, sia che scelga, come credo che noi continuiamo a scegliere, di ricercare all’esterno del Consiglio regionale le figure degli assessori.
Perché gli uomini che noi proponiamo sono uomini della Democrazia Cristiana, che aderiscono ai valori, ai principi e ai programmi del nostro partito e per i quali noi ci impegniamo a dare tutto l’insieme della motivazione, della intenzione, della assunzione di responsabilità.

Non è detto che l’assunzione di responsabilità di un partito si misuri sul grado di anzianità nei banchi del Consiglio regionale, degli uomini che lo rappresentano nel governo regionale!
Questo è un modo vecchio di considerare le cose. In queste settimane c’è stato chi ha creduto e chi non ha creduto a questo esperimento: io dico che siamo arrivati allo snodo decisivo in cui si chiede a tutti noi di fare la propria parte, a ognuno di noi, non solo ai partiti, anche alle persone, anche ai singoli consiglieri.

Noi abbiamo creduto in questa esperienza, ci abbiamo creduto spendendoci tutta la nostra energia e tutta la nostra passione civile, abbiamo subordinato convenienze ed interessi di appartenenza, forse le stesse prospettive politiche del nostro partito all’interesse della gente. E oggi rischiamo di tradire gli interessi della gente, gettando alle ortiche tutto quello che è stato.
lo sento forte anche personalmente tutto il carico di insofferenza che in Sardegna sta crescendo nei nostri confronti: sento che la gente non comprende più i riti della nostra politica.
E quel sentimento di insoddisfazione verso la politica è cresciuto in Sardegna proprio nel momento in cui più forte era il bisogno di un offerta di Governo alta, autorevole, persuasiva, capace di restituire ai sardi l’orgoglio dell’autonomia come una dimensione propria delle istituzioni.

Abbiamo sentito tante volte in questi giorni l’impulso a rinunciare, a prendere atto di un fallimento, di una distanza incolmabile tra l’altezza della nostre pretese, delle nostre ambizioni, della nostra prospettiva dichiarata, enunciata e per la quale abbiamo lavorato e la concretezza, la realtà del tessuto nel quale ci muoviamo – che noi costituiamo, tutti noi, che non siamo altri, siamo noi – incrostato di vecchi sedimenti, di scorie non degradabili di un sistema politico in fase dissolutiva.
L’impulso di molti in quest’aula, anche il mio, è per la rinuncia, per consegnare non si sa bene a chi il compito di riscrivere il contesto, di fare cose diverse.

Ma per riformarlo questo sistema occorre un soggetto politico che si faccia carico di riformarlo, che assuma la responsabilità di riformarlo, che abbia un campo nel quale muoversi per promuovere la riforma.
Viviamo una stagione politica in Italia, e ancor più in Sardegna, in cui ogni atto ordinario di governo, purché onesto e sincero, diventa un atto di coraggio.
E allora noi non possiamo sottrarci al dovere di dare risposte ai problemi, la diserzione che ci viene suggerita dai giornali non è un atto di coraggio: la diserzione che a ognuno di noi viene suggerita risiede nel proclamare che tutto è uno schifo, che bisogna andar via.

Quello non è un atto di coraggio, quella è la cosa più facile, che assicura complimenti e felicitazioni da parte di tutti per poco tempo, perché poi i problemi restano, perché poi intanto che noi abbiamo discusso di queste cose la difficoltà che abbiano di fronte è cresciuta e il bilancio della Regione per il quale non abbiamo neanche cominciato a discutere diventa sempre più un’impresa ciclopica, diventa sempre più un’impresa per la quale avvertiamo la difficoltà che è implicita nelle cose.
Sentiamo che la prospettiva non è nella capacità di questo Presidente, o di questo Assessore, ma è nella convinzione che deve esistere uno sforzo corale, perché abbiamo bisogno di dare risposte e queste risposte non sono scontate e obbligate ma richiedono una volontà politica di cambiamento fortissima.
Questa difficoltà è cresciuta: io credo che occorra oggi un supplemento da parte di tutti noi, un supplemento di senso del dovere per non sprecare questa occasione, per ritrovare quel filo del nostro progetto e riguadagnare, anche se tardivamente la fiducia e il rispetto dei sardi.

Io credo, signor Presidente, che dovremo fare ancora un supplemento di rinuncia tutti quanti, un supplemento di assunzione di responsabilità: io credo che non ci siano date molte occasioni ancora per riguadagnare il rispetto e la fiducia dei sardi.

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