Elezioni: doveri di chiarezza

DC Sardegna, febbraio 1992

 

La prossima consultazione elettorale si svolgerà in un contesto molto diverso rispetto a quelli che ordinariamente hanno accompagnato le elezioni, dal dopoguerra ad oggi. Non si è in presenza di una crisi di governo; non è in discussione l’alleanza di pentapartito; la politica estera non ha più quella centralità nel dibattito interno che invece aveva in passato.
I cittadini hanno dunque la sensazione di andare a votare solo perché il Parlamento è giunto alla sua scadenza naturale, quasi che fossero chiamati semplicemente a ridar mandato e vigore a ciò che naturalmente si è esaurito, senza che tutto ciò sia sostanziato da un profondo e discriminante significato politico.
Si sovrappongono così nell’immaginario collettivo l’idea della crisi dei partiti e i sentimenti, spesso contraddittori e mutevoli, di insofferenza e ostilità verso i simboli del nostro sistema democratico.
I partiti, e il nostro è quello più esplicitamente impegnato, cercano la strada dell’autoriforma, scontando qualche difficoltà nella ricerca di un modello capace di conciliare l’esigenza del rinnovamento con il dovere di assicurare governabilità e stabilità delle istituzioni.
In questo clima trionfa lo scetticismo, ma anche la rabbia di quanti sono duramente colpiti dai processi economici recessivi in atto.
Piuttosto che contemplare la difficoltà di questa stagione gioverà operare uno sforzo di chiarezza per far comprendere agli elettori i nostri intendimenti. Farci riconoscere per l’identità della nostra esperienza politica presente e non limitarci a confidare nella rendi¬ta di un passato vincente.
La DC si presenta agli elettori con un programma riassumibile in quattro punti:
1) fare subito le riforme istituzionali;
2) tutelare la famiglia sia sotto il profilo economico che giuridico;
3) rientrare dal debito pubblico;
4) mantenere ed espandere, con nuovi investimenti, il sistema industriale del Sud.
In un contesto confuso quale quello che viviamo, sarebbe opportuno esplicitare al massimo gli obiettivi programmatici, riportando il dibattito sul terreno della concretezza e chiedendo fiducia anche in nome della nostra tradizione.
Il modello sociale ed economico realizzato dai cattolici democra¬tici è l’unica novità della cultura politica europea da due secoli a questa parte.
In nessun altro Paese del vecchio continente si è tentato di conciliare democrazia e benessere con la stessa intensità con cui si è cercato di farlo in Italia. Altrove le oligarchie governano eludendo qualsiasi sollecitazione che abbia la consistenza di un mandato, da noi debbono continuamente scontrarsi con l’opinione pubblica.
Oggi è però avvertita maggiormente, e giustamente, l’esigenza di una sintesi politica che coniughi modernità, efficienza, autenticità e solidarietà.
Ed è un’istanza che deve poter essere soddisfatta, oltre che dai programmi, anche dalle persone.
In questa campagna elettorale caratterizzata dalla preferenza unica, i partiti sono in larga misura ciò che rappresentano i loro candidati. Ora più di prima, dunque, il voto è un giudizio sulle persone oltre che sulle idee e sulle strategie. Ed è per questo che sarebbe bene acquisire un rapporto qualitativamente elevato con gli elettori, che sia occasione di reciproca conoscenza e di reciproco stimolo.
Recuperare il popolarismo significa sapere che la competizione avviene in un contesto che tende a privarci tutti di qualsiasi alibi retorico e dialettico, che tende a porci dinanzi l’evidenza dei problemi e dei bisogni unita all’intensità dei desideri. E a questo confronto non dobbiamo sottrarci. Anzi! Abbiamo più di altri motivi e dignità storica per sostenerlo a testa alta.

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