La rinuncia non è fantasia

La Nuova Sardegna, 23/09/1990

 

Alla mia proposta di riprendere il confronto in Consiglio regionale sui temi delle riforme dello Statuto Speciale, Mannoni risponde evocando una presunta antinomia fra questioni istituzionali e atti di governo della Regione.

Una riflessione in tema di Statuto viene ridotta al rango di interessata astrazione e ritenuta ammissibile esclusivamente come luogo residuale di confronto, subordinato alla verifica di “impedimento” al dispiegarsi dell’azione di governo.
Non mi sento di condividere. Io non subisco il fascino del mito riformatore tanto da smarrire la complessità della presente realtà politica e neppure soffro angosciosamente il dato di un confronto ossessivo fra il presente e il passato.

Registro progressi e ritardi: come sempre avviene nelle responsabilità che mi derivano dal presiedere un gruppo consiliare interno alla coalizione di maggioranza regionale.
E, insieme, percepisco una parabola degradante della nostra comune coscienza autonomistica: non soltanto nel dibattito dei “governanti” ma soprattutto nella sensibilità e nell’interesse popolare.

L’immagine della nostra Autonomia si appanna certamente per la lentezza con cui offre risposte alle tante domande della gente, perché la struttura del nostro impianto economico rimane debole e dipendente, perché i governi regionali hanno privilegiato la gestione alla legislazione, al disegno di una nuova dimensione statuale.

Ma non è solo questo. Le relazioni poco costruttive fra i partiti e la conflittualità permanente all’interno degli stessi, il primato della logica di schieramento sui contenuti del governo concorrono al disperdere ed estinguere il sentimento di affezione verso l’istituto autonomistico regionale e ne degradano il potere di rappresentanza, di legittimazione attraverso il quale e in ragione del quale si possono migliorare le condizioni di cittadinanza della nostra comunità, facendola partecipe della vita nazionale.
La crisi della politica si intreccia con la crisi delle istituzioni in un rapporto circolare (quello che Pigliaru trenta anni fa’ definiva la “terribile equazione”): degrado delle classi dirigenti e degrado dell’Autonomia si inseguono scambiandosi il ruolo di causa ed effetto.

Dentro questa spirale si colloca la tendenza diffusa a contemplare i ritardi e insufficienze, ritenendo la denuncia un atto esaustivo della funzione politica.
Condivido con l’onorevole Mannoni la valutazione che sia indispensabile imprimere un ritmo di grande produttività al secondo anno di questa legislatura per affrontare i molti problemi aperti.

Ma l’elencazione dei problemi non comporta, di per s, una politica. Né identifica automaticamente la concretezza.
Esprime esigenze: da queste occorre passare alla politica che è assai più complesso esercizio. E compete a noi dimostrare più che lamentare. Anche sul fronte delle istituzioni.
Il regionalismo e particolarmente quello speciale viene compresso nell’esaltazione di un nuovo centralismo sistemico. 11 rischio è quello di smarrire insieme agli strumenti della nostra autoaffermazione anche le ragioni della specialità: e cioè l’identità di popolo. La rinuncia non è atto di fantasia. Sembrerà fatto accademico ad alcuni, ma rinunciare a riaffermare, ridisegnandone i contorni, le coordinate di riferimento istituzionale, i contenuti della nostra dimensione statuale è compito irrinunciabile. Non è un comodo rifugio per contemplare le stelle intanto che i bagliori della guerra riscaldano la terra, ma un supplemento di fiducia nella politica

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