La stampa si autoregoli

Europa, 25/03/2011

 

Nonostante la grancassa sulla “riforma epocale”, al governo Berlusconi stanno realmente a cuore due soli problemi: le intercettazioni e la prescrizione breve.

Sulla seconda questione, le posizioni di maggioranza e opposizione appaiono inconciliabili; sulla prima occorre forse un supplemento di riflessione da parte di tutti. Le inchieste sul presidente del consiglio che in queste settimane hanno occupato le pagine dei giornali e riempito i programmi di approfondimento televisivo non fanno che confermare l’utilità delle intercettazioni telefoniche nelle attività investigative. Ed esse si aggiungono ai moltissimi esempi di indagini condotte con successo grazie a questo strumento per i reati contro la criminalità organizzata o per quelli contro la pubblica amministrazione.

Tuttavia, proprio chi riconosce l’indispensabilità delle intercettazioni, anche per contrastare la posizione di quanti vorrebbero limitarle eccessivamente, non può disconoscere gli effetti perversi della diffusione di tali contenuti su stampa e televisione. Troppo spesso, infatti, nelle intercettazioni pubblicate sui giornali compaiono, magari per circostanze del tutto casuali, persone totalmente estranee alle indagini, oppure vengono riportati particolari intimi, attinenti alla vita privata dei singoli, che pur non avendo alcun rilievo penale, vengono amplificati unicamente per solleticare la fantasia pruriginosa del pubblico.

In questo modo la vita privata di tante persone, la cui unica colpa è quella di essere citate nel corso di una conversazione telefonica, spesso con affermazioni non precise o non veritiere, entra in un barbaro tritacarne. Ciò è vero particolarmente per le persone più deboli: non solo per i minori, molte volte vittime anche indirette di tale esposizione mediatica, feriti nel loro sviluppo con conseguenze indelebili. Ma anche per gli adulti, spesso oggetto di attenzione ossessiva, che finisce per influire sulle relazioni sociali, in famiglia come sul posto di lavoro. Chi ha responsabilità pubbliche, infatti, proprio in ragione del suo ruolo, deve talvolta accettare una qualche compressione della propria sfera privata: anche perché ha generalmente strumenti per difendersi con maggiore efficacia da tali intrusioni.

Per converso, è inaccettabile che i cittadini comuni finiscano per essere stritolati dal racconto pubblico di vicende delle quali a volte sono solo marginali protagonisti o semplici comparse. Occorre porre un limite a questa deriva. E tuttavia, la risposta non può venire da soluzioni meramente repressive, con sanzioni sproporzionate ed ispirate più ad una logica vendicativa che ad una seria politica di prevenzione del danno. Si dovrebbe invece cercare il giusto bilanciamento fra le esigenze di informazione sui fatti di interesse pubblico, e la tutela della sfera privata delle persone.

Per individuare tale difficile equilibrio, specie in tempo di internet, hanno poca efficacia le regole imposte dall’alto con spirito persecutorio. Sono invece convinto che occorra chiedere agli stessi operatori dell’informazione un confronto e una elaborazione su norme e cautele di applicazione comune, per spezzare il circuito perverso di una competizione al ribasso tra le diverse testate giornalistiche, alla ricerca del particolare piccante che faccia vendere una copia o guadagnare qualche telespettatore in più. È questa l’impostazione del codice di deontologia dei giornalisti, già da tempo previsto dal codice sulla privacy (decreto legislativo 196/2003). A promuoverlo è il Garante per la protezione dei dati, ma la sua adozione spetta direttamente al Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti. A dispetto del nome, le sue disposizioni non sono semplici norme deontologiche, da applicare all’interno della categoria professionale, magari con logiche corporative.

Sono in realtà regole dell’ordinamento generale, valide per chiunque scriva od operi sui mezzi di informazione, il cui rispetto può essere fatto valere davanti al Garante o al giudice ordinario.

Il codice deontologico oggi vigente, dopo quasi tredici anni dalla sua approvazione, ha bisogno di essere aggiornato e specificato con disposizioni di maggiore dettaglio, anche per fare tesoro della ricca giurisprudenza e delle numerose pronunce del Garante emanate in questi anni. È realistico prevedere che Berlusconi con la sua fragile maggioranza di governo non riuscirà a far approvare alcuna riforma, e consumerà quel che resta della legislatura in un crescendo di annunci e minacce.

Ma tutti abbiamo il dovere della proposta a iniziare da un uso più efficace degli strumenti esistenti. Sarebbe una bella sfida per i giornalisti, trovare, in cooperazione con il Garante, una risposta adeguata in grado di evitare interventi normativi che limitano di fatto la libertà di informazione.

Autoregolarsi, con disposizioni credibili e lungimiranti, potrebbe essere il modo più credibile ed efficace per difendere il ruolo essenziale ed ineliminabile ricoperto in ogni democrazia dagli operatori dell’informazione

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