I costi della politica

Europa, 18/05/2010

 

È in corso da qualche giorno una gara, patetica e maldestra, tra i vari esponenti della maggioranza per esibire annunci di taglio alle indennità parlamentari. È il sintomo di un incontenibile disagio per la fase non proprio brillante della coalizione di centrodestra.

Le sparate demagogiche, neppure molto originali, non possono però cancellare la responsabilità di una lunga e disinvolta sottovalutazione della crisi economica né coprire il tentativo di scaricare la manovra correttiva sulle fasce deboli della società italiana. Né serviranno i diversivi di Calderoli e Gasparri ad attenuare indignazione e sconforto dell’opinione pubblica per le storie di malaffare che ogni giorno arricchiscono la cronaca giudiziaria di Palazzo.

Penso che sia ineludibile, nell’interesse prima di tutto dei molti politici onesti e poi del prestigio della nostra democrazia, dare vita all’anagrafe degli eletti proposta dai radicali. Una forma semplice e chiara per dare risposta alla domanda di moralità e trasparenza. Una premessa di serietà per decidere i contenuti di una manovra economica severa. Tuttavia, non può essere deluso lo stimolo del presidente del senato che invita la “politica” a dare il buon esempio. Una parte non secondaria del costo della politica può essere facilmente rintracciata sia nei bilanci di camera e senato sia nella spesa per il finanziamento pubblico dei partiti: argomenti abitualmente sottratti al dibattito politico. Credo che in un momento di grave crisi sia giusto, su entrambi questi due fronti, assumere decisioni informate a rigore e responsabilità. Penso che un esempio buono sarebbe la decisione di azzerare tutte le indennità di funzione (presidenti e uffici di presidenza delle camere, presidenti e uffici di presidenza delle commissioni, ministri e sottosegretari). La funzione in sé è già largamente gratificante e può sopportare il taglio di un emolumento aggiuntivo rispetto a quello dei parlamentari semplici.

Ma se si vuole andare oltre il buon esempio e mettere mano alla giungla della spesa pubblica si può incominciare rimettendo in discussione l’architettura barocca e inefficiente di una pubblica amministrazione che moltiplica ogni anno i centri di spesa. È opportuno discutere (e decidere) seriamente dell’abolizione delle province e di tutta la pletora di enti inutili, assai spesso approdo finale di politici non rieletti . Naturalmente i parlamentari devono partecipare ai sacrifici del paese: lo abbiamo proposto un anno fa indicando la strada di un contributo di solidarietà attraverso la leva fiscale sui redditi più alti a partire da quello dei deputati e dei senatori.

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