Noi e la morte di quel ragazzo

Europa, 12/11/2009

 

Con un appassionato intervento su Europa, Luigi Manconi richiama il nuovo vertice del Pd sulla necessità di una più puntuale riflessione sulla vicenda del giovane Stefano Cucchi.

Giustamente viene sottolineato il nesso che lega questo tragico episodio alla condizione delle carceri italiane e al più generale degrado del sistema di garanzie del nostro paese. Ho molta stima di Manconi e so con quanta dedizione e con quanta competenza si dedica da anni a questi temi. E d’altra parte il suo impegno civile trapela con forza dalle parole che dedica a quest’ultima vicenda carceraria.

Non c’è quindi alcun intento polemico se in questa circostanza rilevo un grossolano errore di giudizio sulla presunta sottovalutazione della morte di Stefano Cucchi da parte del nostro partito.

Secondo Manconi non ci saremmo occupati della vicenda, facendone materia di iniziativa parlamentare.
Come presidente del gruppo del Pd alla camera ho il dovere di ricordare che il 27 ottobre scorso, nell’aula di Montecitorio, in diretta televisiva, il ministro Alfano è stato chiamato a rispondere a una interrogazione urgente presentata da me e sottoscritta da altri trentadue parlamentari del mio gruppo.

Soltanto cinque giorni dopo il decesso del povero Stefano, assai prima che si accendessero i riflettori del sistema mediatico nazionale, il governo, per merito del Pd, era in parlamento a fornire le prime “timide” risposte su quanto accaduto.

Poche parole che abbiamo giudicato del tutto insufficienti ed evasive ma che ci hanno permesso di attirare subito l’attenzione su questo drammatico caso, sul quale siamo tornati a insistere anche nei giorni successivi con diversi interventi, tra gli altri, dei colleghi Sereni, Ferranti, Giachetti e Bernardini. Un modo per tenere viva l’attenzione dell’opinione pubblica italiana.

L’intervento del gruppo parlamentare della camera non poteva essere più tempestivo. D’altronde, condivido pienamente l’analisi di Manconi sul significato politico che riveste questa storia: che va oltre una semplice, seppur tragica, questione di cronaca giudiziaria. In quanto è accaduto, nella spessa cortina di silenzi accompagnati da iniziali tentativi di scaricabarile tra i principali attori istituzionali competenti, nella recentissima oscura vicenda del giovane Giuseppe Saladino a Parma, nelle vergognose parole del sottosegretario Giovanardi, sono riflesse davvero molte delle debolezze e delle distorsioni del nostro sistema. Ebbene, io credo che siano in gioco valori e principi ancora più fondamentali di quelli richiamati.

Abbiamo la massima fiducia nella magistratura inquirente, nelle forze di polizia, nell’amministrazione penitenziaria, ma proprio per questo non possiamo accettare che queste tragedie gettino un’ombra di discredito sulle istituzioni della repubblica. Se permettiamo che all’ultimo dei nostri detenuti siano negate le garanzie più elementari noi apriamo una crepa pericolosa nelle fondamenta dello stato di diritto. Temo che quanto accaduto sia la prova tangibile di quello che può succedere se viene meno quella cultura della legalità alla quale abbiamo il dovere di riferirci, anche quando sovraffollamento, personale mal pagato, strutture spesso fatiscenti, anche nelle stagioni politiche più difficili e contrastate, rendono tutto più complicato. Garanzie per i più deboli, rispetto delle regole, tutela della dignità della persona, rifiuto della tentazione di fare della sicurezza e della giustizia un fatto privato: questi sono valori che definiscono il profilo di civiltà di un paese.

Per queste ragioni, far luce su quanto avvenuto non restituirà Stefano Cucchi alla sua bella famiglia ma può contribuire a rendere più forti l’autorità e il prestigio dello stato.

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