Bersani? Troppo legato ai vecchi schemi

Il Mattino, 29/06/2009

 

Soro: io sto con Dario, dà la garanzia di non essere ostaggio del passato
«Tra le caratteristiche di Parisi non c’è mai stato l’entusiasmo per il presente. Le voci allarmiste o, come nel caso citato, tendenzialmente nichiliste non sono utili. Il Pd non è un’armata Brancalcone, non vive guardando all’indietro. E il congresso non va vissuto come ultima spiaggia ma come momento di maturazione, di confronto sereno tra due leadership, due modi di intendere il partito e l’Italia»: Antonello Soro, presidente dei deputati democratici, replica al professore ulivista e spiega perché lui sosterrà Franceschini.

Eppure si parte con uno scontro duro.
«Invito a riflettere: questo è il primo congresso del Pd dalla sua fondazione, ed è anche il congresso dell’unico partito che oggi, in Italia, si celebra ancora, Questa desuetudine alla democrazia finisce col far sembrare un momento di aberrazione o scontro deleterio quel che nelle democrazie dovrebbe essere fisiologico e normale: un sano, franco, confronto di idee».

In campo ci sono solo due nomi. E, più le tifoserie che i due candidati, si fa a gara per schiacciare l’avversario in un cliché: Franceschini voce del nuovismo veltroniano, Bersani nostalgico di una socialdemocrazia fuori tempo.
«Sono sicuro che nei prossimi giorni i candidati renderanno più esplicito il profilo del partito che hanno in mente e il loro programma. E che potremo giudicarli sulle cose concrete».

Lei appoggerà il segretario in carica..
«Conosco a fondo Franceschini col quale ho condiviso tutta la fase della transizione, dalla fondazione della Margherita alla nascita del Pd. So che ha la stessa mia idea di partito riformista, largamente radicato nella società ma con l’ambizione di non esserne solo l’interprete. Riformismo vuoi dire cercare consenso maggioritario per cambiare la società, non assecondarne le pulsioni come fa il centrodestra. Il Pd nasce dalla consapevolezza che le nostre storie di origine hanno esaurito la loro funzione. E Franceschini mi dà garanzia della volontà di non rimanere ostaggio di una biografia che, per sua fortuna, è più recente e meno impegnativa, tutta svolta nella storia ulivista».

Perché Bersani non le darebbe invece questa garanzia?
«Considero Bersani un dirigente di grande rilievo. Ma i suoi richiami al passato mi sembrano figli di una attitudine al riflesso condizionato della sua storia. Vedremo i programmi. Ma, ripeto, mi sembra che Franceschini abbia parole migliori per parlare all’Italia del nostro tempo, investendo sulla novità».

Proprio il nuovismo è sotto accusa.
«Innovazione non è sinonimo di improvvisazione. E, aggiungo, esperienza e competenza non sono esclusiva di chi dirige la politica del centrosinistra da quindici anni alternandosi nei diversi ruoli».

Non teme lo scontro Ds-Margherita e una successiva divisione?
«Ho sufficiente fiducia nel gruppo dirigente per pensare che tutti abbiamo l’intelligenza di comprendere che indietro non si torna. Certo, c’è chi pensa al profilo di un Pd che somigli di più all’evoluzione di uno dei partiti del passato. Ma lo troverei disastroso: il passato non è né tutto buono né tutto cattivo, ma è passato, appartiene a storie concluse per volontà comune ed autonoma. Il Pd è una cosa nuova, non la riproposizione del vecchio dualismo».

È passato anche il dualismo Veltroni-D’Alema?
«Intanto registro che Veltroni si è chiamato fuori dal ruolo di sponsor militante di un candidato. E noto una certa asimmetria, visto che D’Alema non l’ha fatto. Ma mi sembra una mancanza di considerazione per Franceschini e Bersani immaginarli come proiezione di Veltroni e di D’Alema. Hanno entrambi personalità autonoma per essere giudicati per i loro programmi».

Non hanno convinto, però i giovani «piombini» che cercano un terzo uomo.
«lo credo che siano emerse le due candidature più rappresentative e che quella domanda di innovazione possa trovare risposta, indipendentemente da una terza candidatura. Non c’è bisogno di far fiorire mille nomi, magari con l’obiettivo di far fallire le primarie. Ecco, questo può essere un punto dirimente per valutare le due proposte in campo. Le primarie non sono, come ho sentito dire in Direzione, un male inevitabile nel breve ma da rimuovere. Affidare la scelta del segretario ad una platea libera, che somiglia molto al paese è la scommessa principale, il tratto distintivo del Pd. Troverei disastroso se si pensasse di tornare ai signori delle tessere che si siedono ad un tavolo per negoziare quote di potere».

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