L’unione è forte e ci basta

Europa, 29 marzo 2007

Il voto contrario al rifinanziamento di tutte le missioni militari all’estero deciso da Berlusconi e Fini è un voto contro l’Italia. Una decisione grave e senza precedenti, un voltafaccia repentino e ingiustificato. Berlusconi e Fini hanno infatti dimenticato con disinvolta leggerezza che molte di queste missioni, a partire da quella in Afghanistan, sono state varate dal loro governo e sono state confermate con i loro voti dal parlamento lo scorso luglio e più recentemente l’8 marzo alla Camera e il 20 marzo nelle commissioni di merito al Senato.

Questo cambiamento di rotta, con il conseguente voto al Senato, certifica il deragliamento di una destra incapace di reggere le sfide di coerenza e di responsabilità cui sono chiamati gli attori principali nelle moderne democrazie. Berlusconi e Fini hanno commesso un errore clamoroso trattando gli impegni internazionali e di sicurezza come fossero argomenti di ordinaria competizione domestica. Impegni che invece vanno onorati sempre e comunque, qualunque sia la posizione che si occupa in parlamento. Noi non ce ne rallegriamo affatto perché il voto riguardava migliaia di militari italiani che aspettavano di avere il pieno sostegno del proprio parlamento. Berlusconi e Fini lo hanno negato.

Diversamente ha fatto l’Udc. Il suo leader Casini ha scelto con intelligenza e tempestività una buona occasione per segnare la differenza, per mettere in campo una diversa strategia politica. Chapeau. E tuttavia sarebbe contraddittorio e privo di alcuna logica politica l’eventuale tentativo di far discendere dalla scelta operata in Senato dall’Udc l’avvio di una diversa maggioranza politica nella legislatura in corso. Per converso, credo sia necessario evitare di alimentare l’idea di un bipolarismo fragile e precario, di una coalizione priva di respiro strategico, di un governo in attesa di soccorso. L’esperienza di governo guidata da Romano Prodi si muove lungo un percorso accidentato a causa di una orribile legge elettorale (che ha prodotto numeri stretti al Senato) a causa di un pesante debito ricevuto in eredità (che non è solo quello della finanza pubblica, ma che ha a che fare con una lunga eclissi della cultura della legalità), e a causa di una congiuntura internazionale che ha esposto il nostro paese al rischio della marginalità economica.

In questo quadro Prodi e i suoi ministri hanno avviato un lavoro positivo che inizia a dare frutti apprezzabili.
Ora, anche alla luce di quanto è accaduto al Senato, e soprattutto per questo, dobbiamo scommettere più su noi stessi, sulle nostre capacità di essere coerenti con le nostre idee e con il nostro programma più che sulla ricerca di alchimie politico-parlamentari estranee al trasparente funzionamento della democrazia bipolare, come ad esempio le ipotizzate maggioranze variabili. La maggioranza che governa il paese è quella uscita dalle elezioni dell’aprile scorso: ampia alla Camera, risicata al Senato, ma sempre maggioranza. Sta alla qualità delle nostre proposte, alle nostre scelte politico-parlamentari guadagnarci nuove occasioni per allargare l’area del consenso, per essere persuasivi nei confronti di quanti, dall’opposizione, vogliono davvero bene all’Italia. Convergenze sono dunque possibili e auspicabili: ma deve essere chiaro che puntiamo a consensi aggiuntivi e non sostitutivi.

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