Troppe polemiche sui contenitori. Entro l’autunno il manifesta ulivista

Il Riformista, 15 luglio 2006

 

Viviamo in questi giorni uno snodo per il futuro dell’Italia. Da una parte, la sfida del governo, alle prese con problemi e soluzioni strutturali e una situazione economica difficile; con una giusta battaglia per aprire finalmente, dopo gli anni immobili del governo Berlusconi, il settore dei servizi alle esigenze del cittadino-consumatore; con una nuova stagione della politica internazionale, alla prova della tempestosa crisi che in queste ore sta bruciando il Medio Oriente.

Uno scenario ricco di insidie, che, per rimettere in marcia l’economia, alla nostra squadra di governo chiede scatto, cuori e polmoni: esaltando i fattori di vantaggio competitivo del nostro Paese a partire dal territorio, dalle sue specialità e dai suoi talenti, dalla cultura; investendo nel merito e nella mobilità sociale; riducendo rendite e privilegi; e assieme puntando a conservare ed esaltare gli elementi di coesione, che costituiscono il tessuto connettivo del nostro Paese.

Dall’altra parte, pare cominciare a indovinarsi l’approdo della troppo lunga transizione politica verso un sistema compiutamente bipolare, capace di rispondere, in modo convincente, alla domanda di efficienza ed efficacia di una democrazia decidente e alla richiesta, egualmente ineludibile, di partecipazione e di inclusione.

Questa duplice prova, quella del governo e quella di sistema del nostro panorama politico-istituzionale, può segnare il ritorno dell’Italia in una posizione centrale negli equilibri dei grandi Paesi occidentali, ma certo non può dispiegarsi interamente in assenza di un progetto che vada al di là di un governo di legislatura.

Perchè il Paese torni protagonista sulla scena europea ed internazionale ha bisogno di una narrativa credibile, di un orizzonte certo, di un progetto ambizioso, all’altezza della sfida che ci interpella. L’opportunità (e il rischio) cui l’Italia oggi è, dunque, esposta è quella dell’ammodernamento del suo sistema politico, di una architettura che necessità di un cambiamento radicale e profondo, di un investimento di senso che noi chiamiamo Partito Democratico.

E’ per questo che già oggi il Partito Democratico corrisponde alla domanda di fondo di uno schieramento più largo della somma della Margherita con i Democratici di Sinistra. Allo stesso tempo, però, dobbiamo farci carico, con pazienza e coraggio, dei dubbi, delle incertezze, delle diffidenze che questo progetto tuttora evoca, perfino nel nostro campo.

Quando il confronto sul futuro si gioca mettendo in campo proposte alternative, nessuno può far finta di nulla. Anzi, ci spinge ancora di più a mettere a nudo l’incongruenza di chi, coltivando il dubbio, se non l’opposizione esplicita alla prospettiva del Partito Democratico, non lo accompagna ad una chiara indicazione alternativa, che guardi verso il futuro.

In altri termini, la conservazione di un centrosinistra frammentato è un’idea residuale, che fa pendant con l’attuale (e pessima) legge elettorale: entrambe, cioè, sono sintomo di un paese che corteggia pericolosamente il declino. Oggi, e dobbiamo dirlo con forza, il rischio più alto che corriamo è quello di restare ostaggio delle nostre biografie politiche, tutte ancora troppo dentro ad un passato reso inservibile dagli straordinari cambiamenti che stiamo vivendo. Una zavorra, un freno, e non un punto di partenza.

Le famiglie politiche italiane si sono sviluppate e articolare nel XX secolo secondo linee di faglia che separavano classi e interessi in conflitto in un contesto internazionale morto e sepolto da oltre 25 anni.

Chi può davvero pensare di muoversi in questo tumultuoso presente con bussole e mappe inadatte a leggere questa nuova geografia politica ed economica, prescindendo dalla modificazione profonda delle architetture sociali, degli stili di vita, degli assetti etici e valoriali? Un discorso che vale anche per i contenitori europei su cui polemizziamo fin troppo. Siamo ben consapevoli che non sufficiente il lignaggio e l’ampiezza della famiglia del socialismo europeo, se questa non si apre veramente e nel profondo all’incontro con nuove sensibilità e culture che meglio restituiscono la complessità del cambiamento in corso. Così come sappiamo che il Partito Democratico Europeo, che pure ha strutturato importanti relazioni con altre esperienze internazionali, a partire da quella dei democratici americani, per arrivare all’Oriente, all’India, è ancora assai giovane e non abbastanza presuntuoso da pensare di porsi come riferimento unico del riformismo europeo.

Ma se lo sforzo che stiamo faticosamente facendo in Italia riuscissimo a proiettarlo sulla dimensione europea potremmo camminare insieme più spediti, magari partendo, ripeto partendo, dalla prospettiva di un rapporto federativo tra democratici e socialisti in campo europeo.

Così, l’Assemblea federale della Margherita che comincia domani così come il Consiglio Nazionale dei DS di lunedì – ma anche i tanti dibattiti vitali aperti nella società italiana, tra i movimenti e gli amministrori locali – devono essere l’occasione per fare un ulteriore, decisivo passo avanti dopo quello già significativo vissuto con la formazione di liste comuni alle elezioni politiche dello scorso aprile, e con la costituzione dei gruppi unitari dell’Ulivo in Parlamento.

Nelle settimane che abbiamo alle spalle mi è sembrata prevalere la forza inerziale delle identità contrapposte su temi potenzialmente divisivi come la questione del pluralismo culturale, della autonomia della politica, appunto della collocazione internazionale.

Io sono convinto, e lo dirò domani, che sia assolutamente possibile trovare una risposta condivisa a questi problemi e che varrebbe la pena di segnalare più e meglio come, nel dibattito di queste settimane, sia stato messo in ombra l’enorme patrimonio di scelte fatte assieme; scelte costruite in anni di lavoro comune. Penso in particolare all’esperienza del Big Talk della Margherita o all’Assemblea di Firenze dei DS. Un complesso di convergenze che disegnano il profilo nitido di un nuovo riformismo italiano che, attraverso una stagione di confronto, possa traguardare nel prossimo autunno ad una bozza di manifesto politico per aprire la discussione dentro i congressi dei partiti e nella grande platea dei nostri elettori, secondo un calendario che saremo in grado di armonizzare perchè si arrivi infine, nella prossima primavera, all’approvazione di un manifesto fondativo e si avvii la fase costituente del nuovo Partito Democratico. In questo compito saremo favoriti dalla circostanza che sgombra l’agenda politica fino al 2009 di appuntamenti elettorali di grande rilievo. Avremo, perciò, tutto il tempo perchè possa maturare e dare frutto la più larga convergenza.

Viviamo allora, al Governo, in Parlamento, nelle piazze questa stagione con un supplemento di passione e di volontà mettendoci tutti in discussione fino in fondo per affermare con il Partito Democratico la nostra idea di buona politica. Una politica il cui dovere e assieme il suo rischio risiedano nella ricerca di una prospettiva culturale ed istituzionale fondata nella libertà.

Per non avere paura del futuro e del cambiamento. Anzi. Per prepararlo, anticiparlo, costruirlo, guidarlo. Insieme.

PRIVACY POLICY