Leadership e baricentro della coalizione

del 09/10/2002

 

La spinta dei movimenti, la mobilitazione spontanea, i “girotondi”, la richiesta di unità proveniente dal basso inducono a nuove domande e sollecitano nuove soluzioni. Occorre un processo di “ricostruzione” e la questione della leadership è solo l’ultimo dei temi da affrontare.

All’indomani di un passaggio politicamente difficile per il centrosinistra, come quello vissuto sull’Afghanistan, una discussione su un “Ulivo più grande” o “più piccolo” rischia di apparire una sorta di ultimo giro di valzer sul Titanic. Molto meglio, per restare alla metafora, cominciare a ragionare sulla falla che si è aperta nella coalizione e su cosa si debba fare per evitare il naufragio dell’opposizione, in un momento nel quale, peraltro, le condizioni politiche del Paese non solo richiederebbero, ma consentirebbero un rilancio forte di una proposta alternativa a quella di governo.
Proviamo a mettere ordine in una vicenda obiettivamente confusa individuando tre concetti che possono segnare un percorso di “ricostruzione”: progetto, metodo, leadership. Nulla di originale. Eppure basta, ad esempio, cambiare l’ordine dei “fattori” per ritrovarsi – come è accaduto – in un labirinto senza vie d’uscita. Così ci siamo a lungo arrovellati in una discussione molto astratta sul cosiddetto “grande ulivo”, rincorrendo arruolamenti su larga scala, prescindendo dalle compatibilità programmatiche, come se fosse imminente il crollo della maggioranza di centrodestra e dunque necessario mettere assieme, a qualsiasi costo, una nuova, più vasta, alleanza.
Un’operazione a geometria variabile che ha finito per mettere in crisi l’equilibrio sul quale si reggeva la coalizione che c’era. Un’altra, importante accelerazione del processo politico, venuta dal basso ha trovato impreparato l’Ulivo.
La spinta dei movimenti, la mobilitazione spontanea, i “girotondi”: una nuova domanda di partecipazione nella quale, come era inevitabile, razionalità ed emotività si sono amalgamate fino a confondersi. Ma dobbiamo chiederci perché questa risorsa civile si sia rapidamente trasformata da enorme potenzialità in un problema per il centrosinistra.
Azzardo un’ipotesi che mi appare non infondata: si è voluto “giocare” questo fenomeno largamente spontaneo e cresciuto come moto di indignazione contro la politica della destra ed in particolare contro le “leggi su misura” in tema di giustizia nella partita che irresponsabilmente si è aperta sulla leadership. Una parte dei Ds, per essere più chiari, ha pensato di poter usare i movimenti per spostare a sinistra il baricentro dell’Ulivo e avere una carta in più nella rincorsa a Cofferati. Ma aver posto il tema della leadership in questo modo quando mancano quattro anni alla fine della legislatura, ha significato indebolire la coalizione. Con il paradosso che alla domanda di unità e di Ulivo che pure veniva dal basso è stata data la risposta del massimo di divisione parlamentare.
Anche la vicenda del voto sull’Afghanistan, infatti, ha risentito della stessa onda d’urto: il merito della questione è il risultato schiacciato sotto il peso di altri interessi e di altri calcoli.
Anche questi legati al nodo della leadership. La volontà di mettere in discussione la guida di Francesco Rutelli da parte dei Verdi, dei Comunisti Italiani e di una parte dei Ds ha prevalso in modo evidente sul contenuto. Basta leggere le mozioni della Margherita e dei Ds per capire che la distinzione è stata dettata più da esigenze tattiche che di merito. E così abbiamo dovuto registrare una profonda regressione rispetto al voto di un anno fa, quando, sulla stessa materia, il centrosinistra si presentò largamente compatto.
A tutto questo aggiungiamo il fatto che le prossime elezioni europee, fissate nella primavera 2004, proporranno il meccanismo proporzionale, e dunque esalteranno la competizione tra le diverse componenti dei due schieramenti che cercheranno di prevalere conquistando spazi di visibilità. È dunque facile prevedere un aumento del tasso di conflittualità man mano che ci si avvicinerà ad un appuntamento che le forze politiche attendono per “fotografare” il loro reale peso elettorale, in vista delle politiche del 2006. Il complesso delle questioni aperte va affrontato, a mio avviso, con realismo ed equilibrio, rinunciando alla suggestione risolutoria del “leader provvidenziale”. Dobbiamo dunque prendere atto che l’opposizione oggi è e resta plurale; che questa realtà può essere persino positiva quando si tratta di dare rappresentanza e voce a chi non vuole questa destra al governo; che questa pluralità genera competizione, anche sulla leadership.
Realismo, oggi, vuol dire mettere mano agli obiettivi possibili. E allora che fare?
Il progetto: lavoro sui contenuti, impegno parlamentare comune su punti programmatici precisi, definizione di proposte alternative a quelle del governo. Non partiamo da zero: l’Ulivo in questi anni ha mostrato un’anima riformista che ha prodotto risultati importanti. Se poi in questo lavoro registreremo distanze e divergenze, non sarà un dramma. Un confronto costruttivo tra diversi sarà sempre meglio di una vuota e immobile unità.
Metodo: lavoriamo alla definizione di quello che in passato abbiamo chiamato “diritto di coalizione”, un pacchetto di regole sul quale fondare la convivenza nell’alleanza, garantendo il rispetto delle minoranze ma anche la capacità di decidere. Secondo l’unico principio democratico possibile, quello di maggioranza.
Leadership: convinciamoci una volta per tutte che la scelta di chi guiderà la coalizione nella prossima battaglia elettorale non è di oggi. Decideremo insieme quando sarà il tempo, e quando avremo saputo dare le risposte che inevitabilmente precedono, a cominciare dal programma. Intanto cerchiamo di usare al meglio le potenzialità e le risorse umane di cui l’Ulivo dispone.

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