Politica e trascendenza

Brani di un’intervista rilasciata al Direttore dell’Ortobene, 1993

 

Mi chiedo se esista una cultura politica dei cattolici sardi: un complesso di convinzioni-convenzioni che esprimano l’identità riconosciuta e riconoscibile dei cristiani sardi intorno all’organizzazione sociale, intorno alle questioni che hanno scandito la storia degli ultimi decenni nella nostra isola.

Io penso che l’identità sia confusa e in qualche modo sommersa.
C’è stato un periodo non breve di diaspora acritica, passiva, di assenze a volte rassegnata, a volte ostile di componenti significative del mondo cattolico non tanto e non solo dall’impegno quanto dalla elaborazione di tesi, dall’espressione compiuta di indicazioni. Passiva e acritica, perché non conseguente ad una divergenza di giudizi ma piuttosto ad una assenza di giudizi.
Per converso, il mondo della politica di ispirazione cristiana – sostanzialmente identificabile nel solo partito DC – ha trascorso gli ultimi quindici anni in un processo di progressiva autodistruzione rinunciando alla politica in favore della gestione, rinunciando al confronto in favore della competizione muscolare, selezionando una domanda interna di ruoli e “sistemazioni” a tutto svantaggio del dibattito e della coerenza ideale. Intorno ai vecchi notabili, padroni delle tessere del consenso (ma questo consenso è stato scambiato con l’uso discrezionale delle risorse pubbliche invocato come giusto e buono dai pastori di anime!) è cresciuta una generazione di portaborse senza professione, senza letture che non fossero dei tabulati di tessere, più arida della precedente e più indisponibile al confronto delle idee e dei valori, considerati optionals inutili per il successo. Quanta distrazione da parte del clero nella valutazione della competenza e dell’onestà dei rappresentanti politici!
Nessuno può vantare in entrambe le sponde un titolo di purezza assoluta da queste responsabilità (naturalmente anche in questa dimensione esiste una gerarchia affatto indifferente!): tutti abbiamo subito il riverbero di un orientamento diffuso nella cultura nazionale intorno al feticcio della competizione inarrestabile, della politica, dell’omologazione dei valori e degli ideali. E insieme tutti abbiamo forse messo in sottordine il valore della comunione e della tolleranza, privilegiando il giudizio, radicale e conclusivo, sulla comprensione e sulla conoscenza degli altri.
Il degrado delle nostre città è figlio di tanti padri e non è questa la sede per farne il censimento. Però mi sembra ineludibile porre al centro dell’impegno nostro non solo una questione di rivendicazioni economiche, di indirizzi strutturali, quanto piuttosto l’aspetto più sfuggente e in qualche modo sottaciuto di un crescente allentamento dei vincoli di comunità, della qualità delle relazioni interne.
I nostri comuni diverranno sempre più contenitori di soggettività ostili: ostili a qualunque progetto di cambiamento, ostili a qualunque proposito dichiarato di conservazione, ostili a qualunque occasione di sviluppo che sia concretamente proposto e praticabile. Appassionati nel sospetto e nella maldicenza, dietrologi rispetto a qualsiasi successo del proprio vicino. Prevale il coro compatto soltanto nel lamento per le occasioni mancate, per il fallimento di cui siamo tutti protagonisti.
Mi pare sottovalutato il bisogno di un forte impegno di evangelizzazione. Ad esempio nella realtà che conosco meglio, alla vecchia struttura pagana dominante in Barbagia, fonte di un codice di comportamenti primordiale tutto giocato sulla forza, si è progressivamente sostituita una diffusa condizione agnostica che privilegia la teatralità alla profondità delle convinzioni. E spesso dentro la recita di molto “mondo cattolico” manca il progetto cristiano. Meno partecipazione alla festa di San Francesco di Lula e più convegnistica sulla solidarietà.
Forse le scuole di impegno sociale e politico possono costituire un approccio positivo per invertire la rotta: purché non siano occasione strumentale ad obiettivi di breve periodo, ma piuttosto sforzo energico per coniugare l’entusiasmo di molti giovani con la competenza e l’informazione, per suscitare una dimensione di amore cristiano tanto desueto quanto necessario per cambiare nel profondo la qualità della nostra vita comunitaria.
L’unità non è un articolo di fede ma neppure, come spesso accade di cogliere nelle diverse letture, una questione di potere.
I cattolici devono sentire come un dovere ineludibile, implicito alla propria condizione, la difesa del loro progetto di vita cristiana.
E il dovere di impegno su questo obiettivo, non si pone in discussione l’unita.
Si pone, in una gerarchia di scelta subordinata, il problema di una opzione differenziata di partiti come strumento per l’affermazione dell’impegno dei cattolici.
in via astratta mi pare ovvia la soluzione pluralistica.
In concreto dobbiamo rifarci all contesto storico, che nella fattispecie che ci riguarda, è assolutamente incerto e per molti aspetti in divenire.
Tuttavia mi sembra difficile sostenere che tutti gli attuali partiti siano neutrali in ordine alle idee e ai valori.

La forte caratterizzazione temporalista, dominante nella civiltà attuale, tollera certo la fede personale ma appare impermeabile e spesso ostile nei confronti di una cultura che si richiami alla trascendenza.
Si ha riguardo per gli interessi dell’uomo, meno assai per quelli della persona.
Quando si esalta l’opzione pluralistica occorrerebbe richiamare a giudizio la storia degli ultimi anni, in un paragone teso ed esigente, fra le dichiarazioni di tolleranza e di rispetto e il concreto delle battaglie, referendiarie e parlamentari, contro i principi fondamentali della scelta cristiana.
Tuttavia il futuro richiede un supplemento di chiarezza e di testimonianza a tutti: sarà indispensabile una scelta di campo trasparente e persuasiva per guadagnare un consenso affatto scontato.
E bisognerà concretamente dimostrare che al centro della nostra politica si pone la dignità trascendente della persona, la sacralità della vita umana, la stabilità della famiglia fondata sul matrimonio.
E ancora la pace, la giustizia coniugata con la solidarietà, il rispetto per la libertà di tutti gli uomini e tutte le donne. Bisognerà recuperare al nostro modo di essere nelle istituzioni e nella vita di comunità quel tanto di chiarezza per far emergere – non a tutti i costi, in modo strumentale, ma perché vere e non offuscabili – le distinzioni, l’identità. E questo bisogno di chiarezza e di distinzione diventa tanto più necessario quanto più si avvera, nel nostro Paese una stagione di democrazia compiuta, fondata sulla regola dell’alternanza.

 

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