Il dovere di governare

DC Sardegna,  febbraio 1993

 

Il Consiglio regionale appare in preda ad uno stato di tensione che ne condiziona in misura non trascurabile la produttività e l’efficienza.
La cosa è tanto più preoccupante quanto più grave si manifesta il ritardo delle istituzioni rispetto al diladarsi della crisi economica e sociale in cui la Sardegna si dibatte.
Merita quindi fare una qualche riflessione. Dubito che l’inconcludenza di molte riunioni sia riconducibile – come taluno sostiene – alla debolezza politica della grande coalizione.
Se questa congettura avesse fondamento non mancherebbero proposte di alternativa chiare e motivate. Non mi pare, sinceramente, di avvertire un coro in questa direzione.
La Giunta regionale non è oggetto specifico di un contrasto politico che vada al di là dell’ordinario: è piuttosto il terminale frequente di uno stato di tensione che ha origini complesse.
Nessuno può negare che si viva una stagione straordinaria in cui spesso sfuggono i contorni dei quotidiani cambiamenti.
Concorrono al disorientamento ragioni diverse tanto “ambientali” quanto collegate alla individualità dei singoli attori.
La prima applicazione della legge che distingue le funzioni di governo da quella legislativa; l’esistenza di una maggioranza larghissima che allenta il sentimento dell’appartenenza come vincolo di disciplina; la perdita di considerazione per la funzione parlamentare facilmente avvertibile nella pubblica opinione: sono condizioni oggettivamente incidenti sulla qualità generale della nostra politica.
Viviamo in rapida sequenza il declino inesorabile di molti modelli e di qualche feticcio che avevano informato la pratica politica assai più delle “ideologie”.
La consapevolezza o anche solo la sensazione che il sistema politico che ha caratterizzato il passato sia ormai irreversibilmente dissolto convive con l’assenza di contorni sicuri e visibili di quello che potrà essere il domani.
In questo contesto emergono due diverse tendenze. Quella di chi pensa di vivere una battuta d’arresto, un incidente di percorso e quindi si trincera in un atteggiamento difensivo e comunque conservativo, nella sostanza, delle attuali regole, dei riti partitocratici, magari utilizzando la tecnica trasformistica del Gattopardo.
E quella di chi si arrende all’istinto di diserzione: chiamandosi fuori, invocando il privato, abdicando a favore della mitica società civile.
Tra arroccamento e diserzione si stenta a trovare la misura.
La consuetudine a privilegiare la politica spettacolo e comunque l’apparenza rispetto ai contenuti espressivi di una cultura di governo rende spesso inconciliabili le diverse posizioni: il localismo prevale sulla dimensione generale, le posizioni radicali rispetto a quelle temperate, i toni forti della polemica e dello scontro rispetto a quelli miti della mediazione.
La vita dei partiti e dei gruppi è scossa da vibrazioni violentissime.
Si è esaurito un pilastro del sistema (io non dico del regime): la “corrente” come nicchia, impenetrabile alla trasparenza di giudizi e della stessa competizione, tutta affidata al potere del leader monocratico.
La tradizione delle cornate elettorali (fondamento di gerarchie e solidarietà molto spesso del tutto indifferenti rispetto ai contenuti delle scelte politiche) non è più attuale, ma la sua assenza induce una frammentazione parossistica.
Esiste infine – non solo all’interno della maggioranza – il disagio individuale di chi sente struggente la nostalgia di un tempo recente (eppure così lontano!) in cui esercitava una pratica di scambio potere-consenso, indisturbato e applaudito: e ora non trova una dimensione accettabile del proprio impegno.
Questo stato di malessere dentro il Palazzo dell’Autonomia regionale è comune a tutti i palazzi della politica in Italia: forse da noi, in assenza di una spinta giudiziaria, appare meno nitidamente nei suoi contorni e nella sua evoluzione.
Io credo che non dobbiamo sfuggire al dovere di una qualche reazione propositiva: ispirata alla fiducia nel futuro e non sospirata per paura di estinzione.
Dovremmo pensare al nuovo promuovendo, insieme alle Riforme, un transito rapido e deciso verso una nuova dirigenza dei partiti e delle istituzioni: il domani dell’Autonomia sarda così come il domani della nostra repubblica nascerà necessariamente nel segno di una forte discontinuità rispetto al passato.
Più che ai programmi, l’affidabilità della scommessa e consegnata ai protagonisti: non possono, per questa ragione candidarsi ai ruoli principali tutti quelli che hanno speso la loro responsabilità in un’altra stagione.
Non c’è in questa prospettiva un giudizio di merito né, ancora meno, una indiscriminata repulsione.
Esiste piuttosto – e solo gli stolti possono ignorarla – una necessità ineludibile di far sopravvivere la nostra democrazia e le nostre ispirazioni ai nostri personali destini.
Quando accettassimo questo orizzonte, troveremmo forse con più determinazione e con più sincerità il gusto di rendere un servizio alla Sardegna, occupandoci dei contenuti dell’azione di governo, dei problemi della gente comune, dei bisogni inappagati.
In queste settimane si è notato un attivismo del Presidente della Regione sul fronte di una cosiddetta nuova sinistra. Le iniziative politiche dell’Onorevole Cabras all’interno del suo Partito e in raccordo con alcuni segmenti di altri partiti che si ispirano al socialismo sono assolutamente legittimi e rientrano nella sfera delle libere opzioni di qualunque dirigente politico. Questo non impedisce di esprimere forti dubbi circa l’opportunità che il Presidente di una Giunta di coalizione – che ha tanti problemi da risolvere – introduca elementi di oggettiva frizione e allentamento della solidarietà all’interno dei partiti di maggioranza. La difficoltà del momento suggerirebbe esercizio di grande prudenza da parte di tutti. Dobbiamo richiamarci all’idea fondante di questa coalizione che poneva al centro della nostra politica l’esigenza di unire tutte le energie per contrastare la crisi economica e sociale, subordinando a questo obiettivo gli interessi e le rendite di parte, comprese le stesse prospettive elettorali dei singoli partiti.

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